Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
L’ampliamento di superficie di un immobile in costruendo oggetto di locazione finanziaria, da parte dell’utilizzatore, non consente a quest’ultimo in difetto del preventivo consenso scritto della concedente, alcuna pretesa in ordine alle addizioni eventualmente comportanti un maggior valore del bene.
Opponibile anche alla curatela del fallimento successivamente intervenuto dello stesso utilizzatore, il dettato contrattuale di riferimento.
Questi i principi come ricavabili dal caso concreto, deciso con sentenza n. 540 del 25 maggio 2017 del Tribunale di Macerata, Giudice relatore Dott. Corrado Ascoli.
IL CASO
La Curatela di un fallimento conveniva in giudizio una società esercente attività di locazione finanziaria (leasing), invocando la condanna di quest’ultima al pagamento in favore della attrice, del corrispettivo relativo alla maggiore superficie che sarebbe stata realizzata dalla fallita sul bene oggetto del contratto di leasing intercorso tra la convenuta ed l’utilizzatore in bonis, per un ammontare di centinaia di migliaia di euro.
In punto di fatto, il lessor aveva risolto il contratto a causa della morosità dell’altra parte nel pagamento dei canoni ed il fallimento asseriva che l’immobile, a seguito dell’ampliamento di superficie realizzato dall’Utilizzatrice in bonis, avrebbe conseguito un valore superiore rispetto a quello del bene concesso in leasing ed in ragione del quale era stato pattuito il prezzo del contratto.
Di conseguenza, si sarebbe verificato un ingiusto ed ingiustificato arricchimento in favore della concedente ed un sostanziale nocumento per la Curatela, che sarebbe stata impossibilitata a recuperare e redistribuire nell’ambito del concorso, a beneficio del ceto creditorio, il maggior valore in termini di costi sostenuti in sede di edificazione.
In via subordinata, la Curatela instava invece per la condanna della concedente al versamento sempre in favore dell’attrice, del prezzo delle ulteriori opere asseritamente realizzate sulla maggior superficie, rispetto alla più ampia e complessiva estensione dell’immobile.
Resisteva in giudizio la convenuta, eccependo, in via preliminare l’incompetenza per territorio del Tribunale di Macerata e contestando, nel merito, che la maggior superficie ricavata era frutto in realtà di opere abusive eseguite dalla fallita all’interno dell’immobile, di cui la concedente non sarebbe stata neppure a conoscenza.
La convenuta affermava, altresì, di non aver ottenuto alcun vantaggio dalle opere edilizie poste in essere, in considerazione degli esborsi e degli oneri sopportati dalla medesima per ricondurre l’immobile alla piena conformità rispetto alla sua consistenza al momento della consegna e così rispetto alle indicazioni contenute nel progetto autorizzato dal Comune.
La convenuta concludeva, quindi, per il rigetto delle domande ex adverso spiegate.
Orbene, il Tribunale di Macerata, preliminarmente ha dichiarato infondata l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale adito sollevata dalla convenuta, ove essa aveva rilevato la sussistenza all’interno del dettato contrattuale di riferimento, della clausola derogativa della competenza ex art. 18 e s.s. c.p.c., tale da radicarla su Tribunali diversi da quello utilizzato dal fallimento attore.
In particolare, il Giudice rilevando che le norme derogatorie della competenza di cui all’art. 18 e s.s. c.p.c., non potevano trovare applicazione nel caso di specie, a mente della vis attractiva di cui all’art. 24 L.F. (“Il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano qualunque ne sia il valore”); affermava che sono devolute alla competenza del foro fallimentare, le azioni destinate lato sensu ad incidere sulle sorti della procedura concorsuale ed idonee a spiegare effetti sull’entità dell’attivo fallimentare e, quindi, sugli interessi della massa che da tale attivo potrà trovare maggiore o minore soddisfazione.
La competenza funzionale prevista all’art. 24 rimanendo ferma, a prescindere dalla circostanza che i rapporti oggetto della competenza siano preesistenti o successivi alla dichiarazione di fallimento (Cass. civ., 13.09.2007, n. 19165).
Nel merito, a sostegno del totale rigetto delle domande del fallimento, richiamava ancora il dettato contrattuale di riferimento, che precludeva espressamente all’Utilizzatrice la facoltà di apportare modifiche, addizioni o migliorie all’immobile, a sue singole parti o pertinenze, in assenza del preventivo consenso scritto prestato dalla Concedente.
La medesima clausola prescriveva altresì che tutti i relativi oneri e spese funzionalmente collegati alle predette eventuali opere aggiuntive, sarebbero rimasti ad esclusivo carico dell’Utilizzatore.
Stando ancora al regolamento negoziale pattuito, in caso di risoluzione del contratto, veniva sancito l’obbligo in capo all’Utilizzatore di effettuare la messa in pristino dell’immobile, ove fosse stata formulata una richiesta in tal senso da parte della società di leasing.
Veniva infine stabilito che, anche qualora non fosse stata formulata una specifica istanza volta al ripristino dello status quo ante in cui l’immobile versava, le eventuali modifiche, addizioni o migliorie, sarebbero rimaste acquisite al Concedente medesimo, senza indennizzo o compenso a favore dell’Utilizzatore.
Inconferenti sono indi risultate le eccezioni sollevate dalla Curatela, circa le osservazioni contenute nel provvedimento del Giudice delegato, che davano meramente atto della mutata consistenza materiale dell’immobile, rispetto alla sua condizione primigenia e di un maggior valore venale conseguente acquisito dal suddetto cespite.
Il contratto di locazione intercorso tra le parti, ha affermato il Giudice con la sentenza in commento, nel prendere in esame eventuali interventi modificativi ad opera dell’utilizzatrice, escludeva espressamente modifiche o migliorie che potessero alterare la struttura portante dell’immobile, imponendo altresì che le medesime fossero comunque eseguite a perfetta regola d’arte e nel pieno rispetto della normativa vigente.
In ragione delle motivazioni anzidette, la Curatela fallimentare non poteva pertanto avere nulla a che pretendere con riferimento all’ampliamento di superficie, di cui all’immobile oggetto di locazione finanziaria.
Mancava, infine e la sentenza lo ribadisce, la prova del preventivo consenso scritto della concedente, in ordine alle addizioni per cui era controversia.
La domanda attorea è stata quindi totalmente rigettata e le spese di lite hanno seguito la soccombenza.
IL COMMENTO
Il Tribunale di Macerata ha argomentato in primis in merito all’art. art. 24 L. Fall., il quale dispone che “il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano qualunque ne sia il valore …”; il giudice ha richiamato la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 19165/ 07, senza evidenziare che restano escluse dalla vis attractiva, quelle azioni che con il fallimento si trovano in una situazione di mera occasionalità e seppure non decisiva, la distinzione tra rapporti preesistenti o successivi alla dichiarazione di fallimento (per quest’ultima affermazione si vedano Cass. n. 11647/2004, n. 8238/2002).
Se è vero infatti che il Tribunale che ha dichiarato il fallimento, è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore, la “vis attractiva” dovrebbe incontrare un limite insuperabile, in relazione a quelle azioni già presenti in nuce nel patrimonio del fallito, anteriormente alla apertura della procedura concorsuale.
Non dovrebbero rientrare cioè nella vis attractiva, le controversie nelle quali il curatore si ponga come semplice avente causa del fallito, facendo valere diritti già preesistenti; negato ed in buona sostanza alla curatela, un generalizzato ed indistinto potere di rappresentanza di tutti i creditori, dovendosi limitare la nozione di azioni di massa, solo a quelle dirette alla conservazione del patrimonio del debitore, inteso quale garanzia generica per tutti i creditori, indistintamente.
Nella fattispecie e quindi portata all’esame del Giudice di Macerata, il fallimento, facendo valere una pretesa di credito nei confronti di terzi, che ictu oculi appariva costituire una situazione giuridica preesistente al fallimento e che dal fallimento non riceveva particolari ulteriori connotati, avrebbe dovuto, azionare la domanda (la cui legittimazione si trasferiva al curatore), avanti al giudice ordinariamente competente, da cui ben poteva derivare con il richiamo alla clausole derogatorie della competenza ex art. 18 e s.s. c.p.c. contenute in contratto, tempestivamente eccepite dalla convenuta, la declaratoria di incompetenza di esso Tribunale adito.
Quanto al resto della decisione, esaltando il Tribunale di Macerata il primato del contratto, delle condizioni generali e particolari applicate al rapporto, che sono rimaste insensibili alle finalità della azione legale come promossa dalla curatela fallimentare, ad asserito vantaggio e nell’interesse della massa dei creditori.
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