Procedimento patrocinato da Studio Legale Filesi di Roma
LE MASSIME
L’art. 1526 c.c. cessa di estendere la propria influenza con gli interventi del legislatore.
Quanto riscosso dal lessor poiché trova titolo in una causa di natura anche finanziaria, deve legittimamente restare acquisito al finanziatore-venditore, salvi i conguagli che possono essere fatti valere a debito o a credito, successivamente alla ricollocazione o alla vendita
Questi i principi come ricavabili dalla sentenza del Tribunale di Roma sezione ottava civile n. 3630 del 16 febbraio 2019- Giudice dott.ssa Massimiliana Battagliese
IL CASO
Proponevano opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento ottenuto dal lessor, sia la società utilizzatrice dei beni, sia i garanti; il decreto era stato concesso in relazione ai crediti che residuavano all’esito delle attività di rivendita dei beni, post risoluzione contrattuale. Chiedevano gli opponenti la revoca del decreto ingiuntivo, eccependo la decadenza ex art. 1957 c.c. nei confronti dei fideiussori, che, comunque, disconoscevano le sottoscrizioni degli atti di costituzione della garanzia; deducevano la illegittimità delle pattuizioni contrattuali, assumendo che i contratti portati all’esame, avendo natura traslativa, comportavano la applicazione dell’art. 1526 c.c.; chiedevano, pertanto, in via riconvenzionale, la restituzione della somma quantificata e ritenuta dovuta.
Si costituiva la società di leasing parte opposta, contestando ogni deduzione avversaria ed insistendo per la conferma del provvedimento monitorio.
Il Giudice tratteneva la causa in decisione, senza istruttoria, concedendo i termini come indicati dall’art. 190 c.p.c.
COMMENTO
Il thema decidendum della controversia, aveva quindi all’oggetto sia le questioni relative alla applicazione dell’art. 1526 c.c. al contratto di leasing, sia le questioni afferenti la decadenza dalla azione verso i fideiussori, ex art. 1957 c.c.
Orbene, quanto alla applicabilità dell’art. 1526 c.c., il Magistrato designato alla trattazione ha immediatamente rilevato, nella parte motiva della decisione, che le obbligazioni relative al contratto di locazione finanziaria risultavano concordate tra l’utilizzatore e la ex concedente, come emergeva dai documenti contrassegnati nel fascicolo monitorio e neppure contestati dagli opponenti.
Questi ultimi si limitavano infatti a sostenere, in sintesi, la irragionevolezza e la illegittimità delle somme richieste, invocando l’applicazione dell’art. 1526 c.c.
Ha quindi esposto il Giudice che detta norma, richiamata con alterne soluzioni nella giurisprudenza di legittimità, ha cessato di estendere la propria influenza con gli interventi del legislatore, che già con l’art. 72 quater della legge fallimentare, era intervenuto a dettare una disciplina specifica in materia, per poi definitivamente tipizzare la figura contrattuale, con la L. 124 del 4 agosto 2017. Disaminata la normativa nazionale di riferimento esso giudice ha ricordato che:
1) l’art. 1 della legge appena citata, introduce una definizione del contratto di leasing finanziario, seguita da una compiuta disciplina relativa agli effetti e alle conseguenze della risoluzione per inadempimento e da norme di coordinamento con alcune disposizioni normative che, ancora oggi, si interessano a tale fattispecie contrattuale;
2) in particolare il comma 136 dispone che: “Per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decréto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo”;
3) il legislatore nazionale, con tale disposizione normativa, ha recepito quindi gran parte dei risultati interpretativi a cui è pervenuta la giurisprudenza sino ad oggi, con l’obiettivo di definire i tratti caratteristici del leasing finanziario;
4) i commi 137 e 138 disciplinano gli effetti e le conseguenze della risoluzione del contratto di leasing finanziario in caso di inadempimento dell’utilizzatore; per quanto d’interesse per la fattispecie in esame, osservando il Giudice che il comma 138 prevede che, nel caso della risoluzione per inadempimento, il concedente:
- a) ha diritto alla restituzione del bene;
- b) è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene;
- c) da quanto ricavato dalla vendita o da altra utilizzazione del bene deve essere dedotta la somma corrispondente all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto nonché le spese anticipate per il recupero del bene, per la stima e per la stia conservazione per il tempo necessario alla vendita;
5) peraltro, quando il valore realizzato con la vendita o da altra collocazione del bene sia inferiore rispetto a quanto dovuto dall’utilizzatore al concedente, quest’ultimo mantiene il diritto di credito per la differenza;
6) il comma 139 detta poi la procedura che il concedente deve seguire per la vendita o per la ricollocazione del bene.
Svolta e quindi nella parte motiva della decisione, una più che esaustiva indagine sulla legge nazionale, il Tribunale di Roma ha espressamente affermato che alla stregua della nuova disciplina, l’esito delle conseguenze, in caso di interruzione del rapporto obbligatorio per inadempimento, non è difforme dagli approdi giurisprudenziali già costituenti l’orientamento costante seguito nella giurisprudenza (anche) di merito; è risultato cioè confermato che quanto riscosso, poiché trova titolo in una causa di natura anche finanziaria, deve legittimamente restare acquisito al finanziatore-venditore, salvi i conguagli che possono essere fatti valere a debito o a credito, successivamente alla ricollocazione o alla vendita; circostanza, questa, che proprio nel caso oggi in commento si era realizzata, avendo il concedente decurtato dal credito residuo, proprio quanto realizzato dalla vendita.
Quanto ed infine alla eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. il magistrato di Roma ha osservato che per quanto concerne il negozio di garanzia, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto valido inserire in un contratto di locazione, un autonomo contratto di fideiussione, al fine di garantire le obbligazioni pecuniarie “accettate” dal conduttore. Più in generale richiamando quanto più volte detto dalla dottrina e la giurisprudenza, che in tema di garanzia con clausola di pagamento a prima richiesta, occorra distinguere due ipotesi: quella in cui le parti abbiano voluto dar vita ad un contratto di fideiussione con clausola solve et repete, da quella in cui, viceversa, le stesse parti abbiano voluto dar vita ad un contratto autonomo di garanzia. Sotto tale profilo, il giudice ha quindi ritenuto corretto e dovuto l’esame, attesa e proprio l’eccezione di decadenza spiegata dai garanti. Posto che il mero inserimento nel corpo di un contratto, della clausola a prima richiesta, non è di per sé decisiva ai fini della qualificazione del negozio come garanzia autonoma, (giacché si impone sempre necessaria un’indagine circa la reale volontà delle parti e il rapporto in cui esse hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia; per altro verso la assunzione nell’una o nell’altra categoria, determinando diversamente gli effetti in capo al garante) In proposito rievocando il Giudice l’affermazione della più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui “Per distinguere il contratto autonomo di garanzia da un contratto di fideiussione, nello stipulare il quale siano state utilizzate le espressioni “a prima richiesta” e “ogni eccezione rimossa”, risulta fondamentale la relazione in cui le parti abbiano inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia, potendosi considerare, ai fini della qualificatone della garanzia, anche il contenuto dell’accordo tra il debitore principale e il garante. La caratteristica infatti fondamentale che distingue il contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione, risolvendosi nella assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, integrata dal fatto che viene esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall’art. 1945 c.c.” (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23900).
Su queste basi il Giudice è pervenuto all’accertamento che il contratto di cui era causa era piuttosto contestualizzato nel senso di un impegno dei fideiussori a pagare senza eccezioni, anche in caso di invalidità dell’obbligazione principale. Impegno che non è inderogabile, come chiarito sempre dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare, quando l’eccezione del garante è fondata sulla nullità del contratto principale per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, l’invalidità del contratto presupposto si estende al contratto di garanzia, rendendo la sua causa illecita), ma restando tuttavia valido allorché la clausola inserita preveda che il garante rinunci ad eccepire la validità dell’obbligazione principale; circostanza che nella fattispecie portata all’esame del Tribunale di Roma emergeva chiaramente, attraverso la lettura delle condizioni generali della fideiussione, che di più dispensavano espressamente il creditore, dall’osservanza dei termini previsti nell’art. 1957 c.c.
Ha infine motivato il Magistrato capitolino, richiamando ancora la giurisprudenza giusta la disposizione di cui all’art. 1945 c.c. — secondo cui il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salvo quella derivante dall’incapacità — non tutela un interesse pubblico, bensì un interesse di natura privata (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2009, n. 3525); da ciò derivando che tale clausola possa ritenersi valida ed efficace tra le parti dell’accordo autonomo di garanzia, pur comportando la possibilità per il garante di agire in ripetizione nei confronti del beneficiario — facendo valere tutti i diritti spettanti al debitore in base al rapporto principale – soltanto dopo aver provveduto al pagamento.
In conclusione il Giudice ha rigettato tutte le domande delle parti opponenti, confermando in toto il decreto ingiuntivo di pagamento, con la condanna degli opponenti alle spese ed ai compensi della lite. Merita a parere di chi scrive una particolare considerazione la sentenza oggi in commento, atteso che la stessa si colloca sulla scia dei precedenti nazionali, che hanno coraggiosamente fin qui affermato la applicazione immediata dei principi di cui alla legge 124/17, seppure un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento, come nel caso che ci occupa, sia stato avviato in epoca precedente la legge appena citata.
Ancora una volta e cioè, nessuna osservazione rectius nessuna riserva mentale ha impedito al magistrato di Roma di affermare il primato della legge, seppure jus superveniens, a fronte delle contestazioni in punto di applicazione dell’art. 1526 c.c, del quale più volte chi scrive ha sottolineato e proprio dopo la entrata in vigore della legge, i tratti dell’abuso.
Merita infine una lode la decisione in commento, nella parte in cui ha ripercorso un cammino iniziato con la riforma alla legge fallimentare dell’anno 2006 e la introduzione dell’art. 72 quater L.F., per poi culminare e proprio con la legge 124/2017, che sempre a parere di chi scrive, ne costituisce la logica conclusione.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributo pubblicati in Rivista:
LEASING: FONDAMENTALI I PRINCIPI SANCITI DALLA L. N. 124 DEL 4/8/2017
APPLICABILI ANCHE AI CONTRATTI STIPULATI ANTERIORMENTE MA RISOLTI SUCCESSIVAMENTE
Decreto | Tribunale di Modena, Pres. Salvatore- Rel. Mirabelli | 15.01.2019
LEASING: GRAVA SULL’UTILIZZATORE CONVENUTO L’ONERE DELLA PROVA DEL FATTO ESTINTIVO DELL’ALTRUI PRETESA
È LEGITTIMO L’ESERCIZIO DELLA POTESTÀ RICONOSCIUTA EX ART. 1456 C.C IN CASO DI MANCATO PAGAMENTO DEI CANONI
Ordinanza | Tribunale di Brescia, Giudice Luciano Ambrosoli | 03.12.2018 |
OPPOSIZIONE A PRECETTO: INAMMISSIBILI LE ECCEZIONI AFFERENTI IL DIRITTO SOSTANZIALE
SONO RISERVATE ESCLUSIVAMENTE AL GIUDICE COMPETENTE PER LA FORMAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO
Sentenza | Tribunale di Brescia, Giudice Angelina Augusta Baldissera | 15.11.2018 | n.3102
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/38861
LEASING: PRETESA APPLICATIVA DELL’ART. 1526 C.C. IN IPOTESI DI RISOLUZIONE ANTE APERTURA CONCORDATARIA
CON L’INTRODUZIONE DELL’ART. 72 QUATER L.F. È VENUTA MENO LA DISTINZIONE TRA LEASING DI GODIMENTO E LEASING TRASLATIVO
Sentenza | Tribunale di Milano Giudice Dott.ssa Anna Carbone | 26.10.2018 | n.10848
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