Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
L’opposizione ordinaria di terzo, di cui al comma 1 dell’art. 404 c.p.c., non può essere esperita da tutti coloro che assumano la posizione di terzi rispetto al giudizio in cui è stata emessa la sentenza opposta, ma soltanto da coloro i quali, rivestendo tale qualità, facciano anche valere, in relazione al bene oggetto della controversia, un proprio diritto, autonomo e, nel contempo, incompatibile con il rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza stessa e siano, perciò, da essa pregiudicati in un loro diritto, pur senza essere soggetti agli effetti del giudicato.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Macerata, Pres. Iacoboni – Rel. Subrani, con sentenza n. 1056 del 22 settembre 2016.
IL CASO
Una curatela fallimentare conveniva in giudizio una società di locazione finanziaria, richiedendo l’annullamento ex art. 404 c.p.c. di un decreto dell’anno 2009, con cui il medesimo Tribunale, decidendo su reclamo ex art. 26 L. Fall. proposto dalla società di leasing, aveva accolto la rivendica di un bene immobile nei confronti di altro soggetto giuridico parimenti fallito.
Parte attrice allegava di aver sottoscritto un contratto di leasing immobiliare con la convenuta società e di averlo poi concesso in locazione semplice ad altra società di capitali, il cui liquidatore aveva poi successivamente stipulato un contratto di affitto di rami di azienda con un ulteriore soggetto giuridico, sempre società di capitali, non includente però l’immobile condotto in locazione; il contratto di leasing si era nel frattempo risolto per morosità nel pagamento dei canoni.
I tre soggetti giuridici coinvolti a vario titolo nella utilizzazione del bene, venivano dichiarati falliti dal Tribunale locale e la società di locazione finanziaria provvedeva a rivendicare il bene nei confronti di tutti i tre distinti fallimenti; le istanze di restituzione venivano rigettate, fatta salva, in sede di reclamo, quella nei confronti del fallimento della società, il cui liquidatore aveva posto in essere i contratti di affitto di ramo di azienda, con la esclusione del bene; che questa ultima società tuttavia non era più nella disponibilità del bene, e che essa opponente era l’unica legittima (quale utilizzatrice in forza del contratto di leasing, e detentrice dell’immobile) interlocutrice della società di leasing.
Del decreto che aveva quindi ordinato la restituzione del bene, la curatela parte attrice reclamava la illegittimità, asserendo l’ingiustificato arricchimento della concedente e lessor, la quale aveva ricevuto la riconsegna da parte di altro fallimento dell’immobile, di dimensioni però maggiori – aumentato di volume per lavori di edificazione da essa posti in essere – di quello a suo tempo concesso in leasing.
Nel giudizio in commento si è quindi costituita la società di leasing, chiedendo il rigetto delle domande della curatela ed in via preliminare, eccependo il difetto di interesse ad agire e di legittimazione all’opposizione, da parte del Fallimento.
Orbene, ha ritenuto il collegio del Tribunale di Macerata che l’eccezione pregiudiziale in limine litis formulata dalla convenuta, sia fondata. Il Fallimento, parte attrice, in buona sostanza assumeva che fosse pregiudicato dal decreto oggetto di opposizione l’affermato diritto di credito alla corresponsione, da parte della convenuta società di leasing, di una somma pari alla differenza tra il valore dell’immobile al tempo del contratto di leasing ed il valore di esso al momento della restituzione, ma la tesi in parola non veniva accolta.
Ciò per il motivo, ha affermato il Tribunale, che non era ravvisabile alcuna incompatibilità tra l’accertato diritto del lessee alla restituzione del bene (ne era pacifico l’obbligo di riconsegna da parte dell’altro fallimento che non aveva alcun titolo per detenerlo), che l’opponente non reclamava neppure per sè, con l’asserito credito.
Sostanzialmente il Tribunale ha affermato i principi come derivanti dalla Suprema Corte, secondo cui “L’opposizione ordinaria di terzo, di cui al comma 1 dell’art. 404 c.p.c., non può essere esperita da tutti coloro che assumano la posizione di terzi rispetto al giudizio in cui è stata emessa la sentenza opposta, ma soltanto da coloro i quali, rivestendo tale qualità, facciano anche valere, in relazione al bene oggetto della controversia, un proprio diritto, autonomo e, nel contempo, incompatibile con il rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza stessa e siano, perciò, da essa pregiudicati in un loro diritto, pur senza essere soggetti agli effetti del giudicato” (cfr Cass. S.U. n. 1997 del 2003; Cass. n. 23289 e 9647 del 2007; n. 6179 del 2009; n. 8888 del 2010).
Per quanto detto, dichiarando l’impugnazione inammissibile, difettando in capo al fallimento attore, il necessario interesse ad agire, le spese hanno seguito la soccombenza.
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