Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
La azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cc non può essere oggetto di sospensione, quando la fondatezza dei credito da tutelare sia stato contestato in separato giudizio, in quanto non è possibile ravvisare, nel caso di specie, un ipotesi potenziale di conflitto tra giudicati.
Il secondo giudizio non deve di necessità essere sospeso, in attesa che nel primo si formi la cosa giudicata, ma può esserlo, ai sensi dell’art. 337 c.p.c., solo se il giudice del secondo giudizio, non intenda riconoscere l’autorità dell’altra decisione.
Non può configurarsi la violazione dell’art. 112 cpc in sede di appello, laddove la decisione adottata dal primo giudice, comporti la reiezione della pretesa dell’appellante, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto, quando la pretesa avanzata con il capo di una domanda non esaminato, risulti incompatibile con l’impostazione logico – giuridica della pronunzia.
Questi i principi espressi dalla Corte d’Appello di Roma, Pres. Cofano – Rel. Cabat, con la sentenza n. 2187 del 6 Aprile 2018.
IL CASO
Si erano costituiti i convenuti nel primo grado di giudizio, proponendo anche domanda riconvenzionale, a fronte delle domande di parte attrice società di leasing, che aveva proposto in prime cure giudizio di revocatoria ordinaria, ex art. 2901 e ss c.c. In particolare i convenuti in commento chiedendo di respingere le domande di parte attrice ed accogliere la riconvenzionale, con la previa declaratoria incidenter tantum di risoluzione dei contratti di locazione finanziaria e la condanna del lessor alla restituzione di tutte le rate riscosse, dichiarando non dovute quelle scadute ed a scadere; in subordine per la designazione di un CTU contabile, per la verifica, l’accertamento e la quantificazione degli interessi moratori, laddove fossero stati dovuti. Attesa l’apertura della procedura concorsuale di concordato preventivo quanto ad un garante persona giuridica, per la sospensione del processo sino alla chiusura del concordato, onde accertare quale fosse l’eventuale debito residuale di esso fideiussore.
Era intervenuto nel giudizio di revocatoria ordinaria in primo grado, anche altro creditore dei convenuti, aderendo alle domande formulate dal lessor parte attrice, nella forma dell’intervento autonomo adesivo ex art. 105 comma 1 cpc..
Con la prima sentenza in parte qua, il Tribunale di Roma accertava e dichiarava l ’inefficacia ex art. 2901 cc nei confronti della attrice, di tutti gli atti di disposizione del patrimonio posti in essere dai convenuti, più precisamente di un atto di donazione immobili, di un atto di costituzione di fondo patrimoniale destinato a far fronte ai bisogni della famiglia oltre che ed infine di un atto con il quale uno dei convenuti aveva rinunziato puramente e semplicemente al diritto di usufrutto ad esso spettante, su taluni immobili. Con la stessa sentenza dichiarando inammissibile il Tribunale di Roma l’intervento autonomo, con la condanna alle spese di lite.
Orbene con atto di appello tempestivamente notificato e di cui alla sentenza oggi in commento, i soccombenti in prime cure proponevano gravame con tre motivi di appello, chiedendo, previa sospensione della efficacia esecutiva, la totale riforma della sentenza impugnata, con la vittoria delle spese.
La società di leasing vittoriosa in prime cure, chiedeva indi il rigetto della formulata istanza di sospensione della provvisoria esecutività dell’impugnata sentenza, dell’appello e di tutte le domande formulate anche in via riconvenzionale, con vittoria di spese.
Restava contumace l’interveniente, al quale l’appello era stato notificato, nella qualità di litisconsorte processuale e sostanziale, necessario.
Con ordinanza in limine litis, la Corte distrettuale dichiarava inammissibile la richiesta di sospensiva in relazione al capo della sentenza che dichiarava l’inefficacia degli atti notarili ed infondata la richiesta di sospensiva in relazione al capo di condanna alle spese.
La causa veniva poi trattenuta in decisione.
IL COMMENTO
Con il primo motivo di appello, gli appellanti, dopo aver dedotto la pendenza di altro giudizio presso altro Tribunale con “perfetta identità di almeno due protagonisti dell’intero oggetto ” ed evidenziata la possibilità di un “contrasto di giudicati”, hanno lamentato la “erronea disapplicazione del disposto sancito dall’art. 295 cpc ”.
Il predetto primo motivo, è stato ritenuto infondato. La Corte distrettuale ha infatti richiamato i principi come espressi dai giudici della legge, (Cass. S.U. 10027/12) ove l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cc non può essere oggetto di sospensione, quando la fondatezza del credito da tutelare sia stato contestato in separato giudizio, in quanto non è possibile ravvisare, nel caso di specie, un ipotesi potenziale di conflitto tra giudicati (cfr ancora Cass. 17275/13, ma nello stesso senso anche Cass. 18321/15 e Cass. 2673716).
Salvi cioè soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata, sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato; in detti casi, recitano i giudici della legge, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato, soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., come si trae dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l’art. 282 c.p.c.: il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, invero, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado.
Consequentialiter e solo per fare un esempio, allorché penda, in grado di appello, sia il giudizio in cui è stata pronunciata una sentenza su causa di riconoscimento di paternità naturale e che l’abbia dichiarata, sia il giudizio che su tale base abbia accolto la domanda di petizione di eredità, ed entrambe le sentenze siano state impugnate, il secondo giudizio non deve di necessità essere sospeso, in attesa che nel primo si formi la cosa giudicata sulla dichiarazione di paternità naturale, ma può esserlo, ai sensi dell’art. 337 c.p.c., se il giudice del secondo giudizio non intenda riconoscere l’autorità dell’altra decisione.
Il Tribunale di Roma, ad avviso e quindi della odierna Corte distrettuale, aveva correttamente rigettato l’istanza proposta in prime cure dai convenuti, escludendo, sulla scorta delle formulate domande, la configurabilità di un rapporto di pregiudizialità, tra i due giudizi.
Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti, senza nulla specificamente argomentare circa la sussistenza o meno degli elementi dall’art. 2901 cc, hanno invece censurato la sentenza di primo grado, giacchè essa avrebbe violato e/o disapplicato l’art. 132 cpc, limitandosi ad indicare soltanto definizioni tecniche degli istituti codicistici.
In particolare, gli appellanti lamentando la mancata valutazione delle eccezioni sollevate in ordine all’assoluta impossibilità di imputare ai soggetti donanti, la consapevolezza del pregiudizio che la donazione avrebbe arrecato ai creditori.
Anche detto motivo è stato ritenuto infondato, a prescindere dalla assoluta mancanza di allegazioni probatorie a sostegno delle formulate deduzioni ed eccezioni.
La Corte rilevando che nella ricostruzione della vicenda, tra l’atto di donazione della nuda proprietà dei cespiti da parte dei convenuti e l’atto di costituzione del fondo patrimoniale da parte degli altri convenuti, erano trascorsi solo pochi giorni, mentre tra la data di costituzione del fondo patrimoniale e la data in cui uno dei convenuti rinunziava al diritto di usufrutto sui beni, trascorreva addirittura un solo giorno, senza trascurare il fatto che tutti gli atti erano stati rogati nella stessa città, dallo stesso Notaio e che il fondo patrimoniale era stato costituito su beni in nuda proprietà.
Le richiamate operazioni immobiliari, erano poi avvenute nello stesso periodo in cui erano rimasti insoluti i canoni relativi ai cinque contratti di leasing stipulati dalla società utilizzatrice dei beni.
La Corte distrettuale ha poi aggiunto che, così come la donazione e la rinunzia al diritto di usufrutto, anche la costituzione del fondo patrimoniale è un tipico atto di liberalità e può essere dichiarato inefficace, perché di fatto riduce la garanzia generale spettante ai creditori, sul patrimonio dei costituenti.
Nel caso di specie, la costituzione del fondo patrimoniale, avvenuta su beni in nuda proprietà ricevuti dal donatario un mese prima, era chiaramente preordinata al successivo atto dì rinunzia al diritto di usufrutto, peraltro rogato dallo stesso notaio, soltanto il giorno dopo.
Ebbene, tenuto conto che l’azione revocatoria può essere proposta in presenza di una ragione di credito, nel caso di specie esistente ed anteriore agli atti di disposizione, anche se non ancora giudizialmente accertata nel suo ammontare, sono stati ritenuti sicuramente sussistenti, rispetto ai tre atti notarili, tutti i presupposti per la declaratoria di inefficacia, come correttamente ritenuto dal Tribunale in prime cure.
Evidenziata la gratuità dei tre atti notarili posti in essere dagli appellanti e la sussistenza del requisito oggettivo, la Corte di appello di Roma ha indi ravvisato nel caso di specie, anche la consapevolezza, da parte di tutti i partecipanti alla complessiva operazione economica, considerato lo stretto rapporto tra le parti e la modalità con cui il tutto era avvenuto, del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore.
Il percorso logico – giuridico seguito dal Tribunale, è risultato dunque esente da censure.
Con il terzo motivo di appello, gli appellanti hanno infine censurato la sentenza, giacchè avrebbe omesso ogni valutazione della domanda riconvenzionale.
In particolare uno degli appellanti, nel giudizio di primo grado aveva proposto domanda riconvenzionale, dal contenuto pressoché identico alle domanda già formulata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo pendente avanti altro foro e, comunque, in violazione dell’art. 36 cpc, come correttamente rilevato dalla società di leasing.
Con la sentenza impugnata, il Tribunale, ravvisata una ragione di credito, aveva accolto la domanda di revocatoria.
Su queste basi, ha indi osservato la Corte distrettuale, non poteva configurarsi la dedotta violazione dell’alt. 112 cpc, in quanto la decisione adottata dal Giudice di primo grado, comportava la reiezione della pretesa dell’appellante, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto, quando la pretesa avanzata con il capo di una domanda non esaminato, risulti incompatibile con l’impostazione logico – giuridica della pronunzia (cfr. Cass. 16788/06; Cass. 20311/11).
Anche il predetto ultimo motivo di gravame è stato respinto, con la condanna degli appellanti al pagamento delle spese e dei compensi del II grado di giudizio.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
L’AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA E LA CD. “AZIONE REVOCATORIA RISARCITORIA”
POSSONO ESSERE PROPOSTE ANCHE DAL TITOLARE DI UN CREDITO CONTESTATO O LITIGIOSO
Ordinanza | Cassazione Civile, Sez. sesta – 3, Pres. Amendola – Rel Scrima | 19.03.2018 | n.6702
REVOCATORIA: LA CONTESTAZIONE DEL CREDITO NON OBBLIGA LA SOSPENSIONE EX ART.295 CPC
NON SUSSISTE RAPPORTO DI PREGIUDIZIALITÀ CON L’OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO
Ordinanza | Cassazione civile, sezione prima | 12.07.2013 | n.17275
REVOCATORIA: NULLITÀ DEGLI ATTI POSTI IN ESSERE SOLO PER ARRECARE PREGIUDIZIO ALLE RAGIONI CREDITORIE
INCOMBE SUL DEBITORE L’ONERE DI PROVARE IL MANCATO PREGIUDIZIO DELLE RAGIONI DEL CREDITORE MEDIANTE ATTI DI DISPOSIZIONE DEL PROPRIO PATRIMONIO
Sentenza | Tribunale di Napoli, dott. Ettore Pastore Alinante | 05.07.2013 | n.8689
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