Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
L’art. 1526 comma 3° c.c. nel suo ambito di operatività per il leasing con funzione traslativa, unitamente a quella di finanziamento, presuppone l’avvenuta risoluzione del contratto per inadempimento, al fine di rendere efficace la logica perequativa del sinallagma nella fase patologica del rapporto.
La fattispecie, di contratto inoptato rectius decorso ante fallimento, gode di piena autonomia rispetto alle diverse ipotesi del contratto pendente, o risolto e non può non essere disciplinata dalla regolamentazione convenzionale.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli, Pres. De Matteis – Rel. Fucito, con decreto definitivo del 3 agosto 2018 reso nell’ambito di un giudizio di opposizione allo stato passivo.
IL CASO
La ricorrente, una società di leasing, aveva invocato la ammissione al passivo del fallimento della parte utilizzatrice e lessee, deducendo che era stato stipulato il contratto di leasing tra le parti, con scadenza naturale alla data dell’anno 2016 e che alla data del fallimento, con contratto ormai cessato per scadenza naturale, residuava per canoni scaduti ed insoluti da pagare una determinata somma di denaro oltre interessi di mora; la documentazione contrattuale era stata già utilizzata all’interno di un giudizio monitorio, cui aveva fatto seguito la opposizione di parte resistente, non ancora definita prima del fallimento.
In sede di ammissione al passivo, il curatore, nel redigere il progetto, dava parere favorevole alla domanda, dichiarando di non voler coltivare l’opposizione perché infondata.
Il giudice delegato alla verifica dei crediti, tuttavia, rigettava la domanda per la dichiarata applicabilità al caso di specie, dell’art. 1526 c.c..
In sede di opposizione allo stato passivo la ricorrente denunciava l’ingiustizia e la erroneità del provvedimento, nella parte in cui non considerava che l’art. 1526 c.c., non poteva applicarsi là dove il contratto di finanziamento non era risolto ante scadenza, bensì fosse pervenuto alla sua naturale fine, come nel caso portato all’esame, rispetto al quale le rate scadute si profilavano come mero inadempimento.
Lamentava inoltre con l’atto di opposizione allo stato passivo, che in ogni caso l’applicabilità dell’art. 1526 c.c, era stata superata dall’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136-140, l. 124/2017, dove era prevista una disciplina specifica per gli effetti del leasing finanziario, in deroga a quella generale applicata, attingendo al codice civile.
Orbene il Tribunale di Napoli, ha ritenuto del tutto fondata la domanda.
In primo luogo osservando che era pienamente opponibile al fallimento, la documentazione contrattuale per gli effetti dell’art. 2704 c.c., perchè già allegata pacificamente al procedimento monitorio, proseguito nell’opposizione non conclusasi, prima della dichiarazione di fallimento.
Ancora, assumendo esso stesso Tribunale, la non contestazione da parte della società di leasing ricorrente, della natura traslativa del contratto, bensì la sola applicabilità dell’art. 1526 c.c., là dove essa sarebbe stata preclusa dal fatto che il contratto in commento mai si era risolto, essendo pervenuto sic et simpliciter a normale scadenza, assumendo implicitamente che l’operatività dell’art. 1526, fosse condizionata dalla risoluzione per inadempimento del contratto ed impedita dal suo naturale svolgimento fisiologico.
A sostegno della deduzione, la ricorrente richiamava una lettera di diffida all’adempimento inviata alla parte utilizzatrice dei beni in bonis, dalla quale si evinceva che alcuna risoluzione era stata esercitata in quella sede e mai in concreto fu fatta; circostanza che nella sede collegiale, è stata indi ritenuta comprovata dal tenore della missiva prodotta dalla ricorrente.
Ha quindi correttamente motivato il Tribunale di Napoli, che effettivamente l’art. 1526 comma 3° c.c. nel suo ambito di operatività (perimetrato da Cass. 01/1715) per il leasing con funzione traslativa unitamente a quella di finanziamento ed ancora vigente per i rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136-140, l. 124/2017, presuppone l’avvenuta risoluzione del contratto per inadempimento, al fine di rendere efficace la logica perequativa del sinallagma nella fase patologica del rapporto.
Ma nel caso di specie, non vi era prova dell’avvenuta risoluzione del rapporto, che allo stato appariva venuto a naturale scadenza quinquennale, prima della dichiarazione di fallimento, per cui i canoni impagati, altro non rappresentavano che il mero residuo di credito dovuto ad un’azione di adempimento, senza che mai fossero stati posti profili restitutori, come derivanti dall’evento risoluzione del rapporto.
Per queste ragioni, la ricorrente è stata ammessa integralmente al passivo del fallimento del lessee, per i canoni scaduti come da estratto conto prodotto, riconoscendo gli interessi legali con funzione compensativa fino alla dichiarazione di fallimento e dalla scadenza del rapporto.
Le spese hanno seguito la totale soccombenza del fallimento parte resistente.
IL COMMENTO
Il contratto di leasing portato all’esame del Tribunale di Napoli, era stato stipulato nell’anno 2011 per la durata di mesi 60 (sessanta), giungendo così a naturale scadenza, come già sopra detto, nell’anno 2016, in epoca anteriore la dichiarazione di fallimento.
Pertanto, all’apertura del concorso, il rapporto contrattuale per cui era causa, aveva già esaurito i propri effetti e la società utilizzatrice versava in stato di grave inadempimento rispetto all’obbligo di pagamento dei canoni.
Chiarita tale circostanza, al fine di individuare la disciplina applicabile alla fattispecie in commento, veniva indi in rilievo la sentenza n. 2538 del 09.02.2016, con la quale la Suprema Corte di Cassazione, precisò che se il contratto di leasing è pendente al momento del fallimento di una delle parti, troverebbe applicazione l’art. 72 quater l.f..
Diversamente, in ipotesi di contratto anteriormente risolto, occorre distinguere a seconda che si tratti di leasing finanziario di godimento o traslativo, potendosi applicare analogicamente solo in tale seconda ed ultima ipotesi, l’art. 1526 c.c..
Orbene, in tale scenario, la fattispecie in oggetto costituiva, giova ancora ribadirlo, un tertium genus, atteso che il rapporto di leasing azionato all’apertura del concorso, non era, né pendente, né risolto, bensì era giunto al termine del proprio svolgimento fisiologico.
La fattispecie, di contratto inoptato rectius decorso ante fallimento, gode di piena autonomia rispetto alle diverse ipotesi del contratto pendente, o risolto, e non può non essere disciplinata dalla regolamentazione convenzionale.
Pertanto, giunto nell’anno 2016, il contratto in commento a naturale scadenza, inevitabilmente preclusa al lessee la facoltà di esercitare l’opzione di acquisto, anche in considerazione dell’inadempimento all’obbligo di pagamento dei canoni, era sorto il diritto da parte del lessor, sia di escutere tutti i crediti derivanti dal contratto, sia di richiedere l’immediata restituzione dei beni concessi in locazione finanziaria.
Nel caso oggi in commento si ritiene meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., l’interesse della società concedente sia a recuperare le somme che risultavano dovute alla scadenza del rapporto, sia a riallocare i beni concessi in leasing, al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale.
Alla luce di tali considerazioni, la ricorrente aveva diritto ad essere ammessa al passivo fallimentare, per la totalità del credito vantato per canoni scaduti ed insoluti, maggiorati degli interessi di mora, maturati fino alla data di dichiarazione di fallimento.
Ciò in quanto la fattispecie in esame, non poteva essere sussunta nell’ambito di applicazione dell’art. 1526 c.c., così come invocato dal Giudice Delegato in parte qua, tenuto peraltro conto della infungibilità dei beni concessi in godimento.
Invero, la disciplina della vendita con riserva della proprietà, secondo le indicazioni date dalla Suprema Corte (seppure da parte di chi scrive non condivisa), può essere legittimamente applicata, in via analogica, alle sole ipotesi in cui il contratto di leasing, peraltro avente natura traslativa, sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento.
Era di tutta evidenza, stando così le cose, l’infondatezza della decisione assunta dal Giudice delegato, il quale non solo non aveva tenuto conto della documentazione contrattuale e contabile ampiamente depositata in atti, ma non aveva neppure provveduto all’esatto inquadramento giuridico, della vicenda negoziale, sì da poter individuare la disciplina, in concreto, applicabile.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
LEASING: OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO DI PAGAMENTO E ISTANZA PRELIMINARE EX ART. 648 CPC
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Ordinanza | Tribunale di Brescia, Giudice Dott.ssa Angelica Nolli | 15.06.2018 |
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Sentenza | Corte d’Appello di Roma, Pres. Cofano – Rel. Cabato | 06.04.2018 | n.2187
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