ISSN 2385-1376
Testo massima
Segnalata dal dott. Michele Pensotti
L’interesse moratorio, lungi dal costituire elemento corrispettivo del credito, è collegato all’indempimento contrattuale e deve essere considerato alla stregua di una penale, per essere una sanzione contrattuale, assolvendo alla funzione della predeterminazione forfettaria del danno risarcibile, secondo il disposto di cui al secondo comma dell’art.1224 cc.
Non costituendo corrispettivo per la concessione del credito, e non essendo contemplati nei decreti ministeriali trimestrali ai fini della determinazione del tasso soglia (con riferimento al quale è preso invece in considerazione il tasso leasing), gli interessi di mora non possono determinare realizzazione di usura, né oggettiva, né soggettiva.
La previsione contrattuale di un tasso di interesse moratorio eccedentario il tasso soglia usura genera effettivamente uno squilibrio, costituito dalla pressione psicologica esercitata sul debitore in ragione dei rischi correlati all’eventuale sua futura inadempienza, ma per questa via non può pretendersi di incidere – ponendola nel nulla – sulla (valida) pattuizione degli interessi corrispettivi per il mero tramite dell’accertamento dell’invalidità della pattuizione dell’interesse moratorio.
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Brescia, dott. Giuseppe Magnoli con la sentenza del 10 febbraio 2015, resa nell’ambito del più classico dei contenziosi in materia di leasing, che ha il pregio di chiarire – in maniera lineare e rispondente al dettato normativo – la natura e funzione degli interessi di mora e la loro (ir)rilevanza ai fini dell’applicazione della disciplina antiusura.
La vicenda processuale trae origine dal rapporto di leasing intercorso tra una banca-concedente ed una società utilizzatrice, avente ad oggetto la locazione finanziaria di un autocarro, in virtù del quale, a seguito dell’inadempimento del conduttore, la banca risolveva il contratto ed otteneva decreto ingiuntivo per i canoni rimasti impagati.
Spiegavano opposizione l’utilizzatrice ingiunta ed il suo garante, deducendo principalmente la nullità (tout court) della clausola determinativa degli interessi, ex art.1815, II co. cc, per effetto della pattuizione di interessi di mora al di sopra delle soglie di usura ex l.108/1996.
La premessa del giudicante, di ordine normativo-sistematico, è che il DM attuativo della legge 108/1996 [24.09.1998 n.1090200 in GU 30.09.1998, al numero 6, lettera d) del punto C3 (metodologie di calcolo del TEG)] espressamente afferma: «sono esclusi…gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo».
Assimilando la natura giuridica dell’interesse moratorio a quella della clausola penale, infatti, si nota come tali oneri non possano considerarsi corrispettivi dei credito, cioè della messa a disposizione del denaro richiesto, avendo la ben diversa finalità di “rafforzare l’obbligazione del rimborso venendo a costituire un deterrente dal relativo inadempimento”, previsione appunto della determinazione della conseguente sanzione in misura sufficientemente afflittiva.
Il Tribunale ne deduce che, non costituendo corrispettivo per la concessione del credito, e non essendo contemplati nel DM ai fini della determinazione del tasso soglia (con riferimento al quale è preso invece in considerazione il tasso leasing, qui tuttavia non oggetto di contestazione), gli interessi di mora non possono determinare realizzazione di usura, né oggettiva, né soggettiva.
Se questa è la premessa, non consentendosi diverse considerazioni circa l’obiettiva diversità ontologica tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio, integrante il primo la remunerazione concordata per l’attuazione del programma contrattuale, ed il secondo il risarcimento convenzionalmente predeterminato per l’eventuale inadempienza, non si può per concludere, dall’altro canto, per l’autonomia delle pattuizioni contrattuali relativi all’uno ed all’altro tipo di interesse.
Autonomia delle pattuizioni significa, sostanzialmente, autonomia dell’esame delle stesse in fase patologica da parte del giudice e, soprattutto, autonomia delle sanzioni (id est, delle invalidità).
In altri termini, come ben precisa il Tribunale lombardo, se anche si volesse sottoporre alle verifiche di usurarietà il tasso di mora, l’eventuale invalidità della relativa clausola (perché superiore alla soglia di usura e/o alla soglia di usura maggiorata del 2,1 come sarebbe preferibile in base all’esame dei DM trimestrali) non si comunicherebbe all’interesse corrispettivo ove validamente pattuito entro la soglia.
Tale conclusione è stata anzitutto imposta dallo stesso testo letterale dell’art. 1815 cpv cc, il quale muove appunto dall’affermazione della nullità della clausola usuraria per poi trarne le conseguenze del caso (azzeramento dell’interesse che vi si riferisce).
Detto altrimenti, non si esclude che anche l’interesse di mora, pattuito ad un livello eccessivo, possa tradursi in uno “squilibrio” contrattuale, costituito dalla pressione psicologica esercitata sul debitore in ragione dei rischi correlati all’eventuale sua futura inadempienza, ma per questa via non può pretendersi di incidere – ponendola nel nulla – sulla (valida) pattuizione degli interessi corrispettivi per il mero tramite dell’accertamento dell’invalidità della pattuizione dell’interesse moratorio.
In tal senso, sono chiarissime le parole del Giudice:
“Quel che invece non si può fare – e qui si perviene alla considerazione concreta circa la sussistenza o meno dello squilibrio – è mescolare i piani, quello dell’interesse corrispettivo, che è dovuto sempre, con quello dell’interesse moratorio, che è dovuto solo in caso di ritardo nel pagamento del canone, e quindi in caso di inadempimento.
In tal modo pretendendosi di incidere – ponendola nel nulla – sulla (valida) pattuizione degli interessi corrispettivi per il mero tramite dell’accertamento dell’invalidità della pattuizione dell’interesse moratorio”.
Tale ragionamento è imposto dalla considerazione che la nullità sanzionatoria di cui all’art. 1815, secondo comma, cc, in deroga alla disciplina generale in tema di invalidità delle singole clausole contrattuali (art.1419 cc), stabilisce, quale conseguenza della nullità della clausola, non già la sua inefficacia, estensibile – se essenziale – al contratto nel suo insieme (art.1419, primo comma, ce), né l’inserimento automatico della misura di legge, di cui all’art.1419 cpv cc e dì cui ali’art.1339 cc, bensì, più radicalmente, l’azzeramento dell’interesse pattuito.
In tale ottica è evidente che detta sanzione non possa mai estendersi, sic et simpliciter, alle altre autonome pattuzioni.
Per tali ragioni il Tribunale ha rigettato l’opposizione con conferma del decreto ingiuntivo e condanna degli opponenti al pagamento delle spese processuali.
IL COMMENTO
La decisione in esame si caratterizza per la lucida e puntuale disamina della annosa querelle sulla rilevanza degli interessi di mora ai fini dell’applicazione della normativa antiusura.
Non può non premettersi che la questione è oggetto, da qualche anno, di una vera e propria “specualzione giudiziaria”, posta in essere da chi – manipolando i più elementari principi di logica giuridica e trascurando l’interpretazione sistematica tentano di assimilare le due categorie di interessi (di mora e corrispettivi), al fine di ottenere l’azzeramento di tutti gli oneri connessi ad un’operazione di finanziamento.
La diversità ontologica dei due tipi di interesse (remunerativa e sanzionatoria), nonché la circostanza per la quale i tassi di mora non siano mai stati oggetto di rilevazione da parte di Bankitalia nella determinazione dei Tassi Effettivi Globali Medi (e quindi dei Tassi Soglia) non può consentirne l’esame congiunto in fase di giudizio, né può determinare l’applicazione all’uno (interesse corrispettivo) delle sanzioni riservate esclusivamente all’altro (interresse di mora), posto che si possa come la giurisprudenza spesso fa, sulla scorta delle pronunce di legittimità, considerare rilevanti anche i tassi moratori ai fini dell’applicazione dell’art.1815, secondo comma, cc (*).
La decisione del giudice bresciano è coerente con le premesse indicate. Ed infatti, la conclusione (parziale) alla quale si perviene in sentenza è quella per la quale gli interessi di mora, proprio perché non oggetto di rilevazione trimestrale e non rappresentando un elemento remunerativo del credito, non possono determinare realizzazione di usura, né oggettiva, né soggettiva (peraltro, il Tribunale nota come, “se il contratto avesse avuto regolare attuazione, il tasso usurario non avrebbe conosciuto applicazione, e quindi il leasing si sarebbe attuato senza alcuno squilibrio nella posizione economica delle parti. L’eventuale squilibrio non consegue quindi al contratto quale corollario dell’attuazione del programma concordato ma, semmai, quale sanzione contrattuale, al suo inadempimento, alla stregua di una penale”).
Ciò posto, il Tribunale non manca di aggiungere un parziale “correttivo” alla radicale tesi espressa, notando come sia tuttavia “aperto il dibattito in ordine all’applicabilità della disciplina di cui all’art.1815 cpv cc anche all’interesse moratorio”.
Il correttivo è proprio quello nascente dall’analisi della autonomia delle due pattuizioni, alla quale non può che seguire l’autonomia delle sanzioni, motivo per il quale, anche a voler affermare la rilevanza dei moratori ai sensi e per gli effetti della legge antiusura, l’applicazione della nullità ex art.1815, secondo comma, cc non potrà che riguardare solo questi ultimi, quando i corrispettivi siano stati lecitamente pattuiti.
La pronuncia si inserisce così nel solco delle decisioni di merito che hanno contribuito, da un lato, ad arricchire lo scarno dettato della Corte di legittimità nella nota Cass.Civ. n. 350/2013, e dall’altro, a consentire un graduale tentativo di superamento del radicale principio in quest’ultima espresso (“si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo di interessi moratori”), verso la definitiva irrilevanza degli interessi di mora ai fini dell’applicazione della legge antiusura.
In tal senso si sono pronunciati, ex multis, il Tribunale di Milano (29 gennaio 2015 http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-bancaria-la-rilevazione-del-tegm-relativa-agli-interessi-corrispettivi-e-inutilizzabile-per-gli-interessi-moratori.html ) ed il Tribunale di Roma (7 maggio 2015 http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-impossibile-attribuire-rilevanza-agli-interessi-moratori.html ) al cui esame si rinvia.
NOTE
(*) Come già ampiamente analizzato su questa rivista, le soluzioni alternative sono tante: o si perviene all’esclusione tout court della rilevanza dei moratori per la legge antiusura, con la conseguenza che non potrà mai applicarsi la sanzione ex art.1815, secondo comma, cc, ma al massimo la riconduzione ad equità della clausola penale ex art.1384 cc; ovvero si può pervenire sì all’affermazione dell’usurarietà dei moratori (come, ex multis, si afferma in Cass. Civ. 350/2013), ma dovrà ben individuarsi il termine di raffronto (Tasso Soglia). In tale ultimo caso, infatti, non potrà non tenersi conto del fatto che i tassi di mora non sono mai rientrati tra gli oneri rilevanti ai fini della determinazione del TEGM, ma costituiscono al più oggetto di rilevazione statistica (2,1 è il valore percentuale medio della mora indicato da Bankitalia). Raffrontare la mora al Tasso Soglia significa, in altri termini, procedere ad un’operazione scorretta dal punto di vista puramente aritmetico. Sul punto, parte della giurisprudenza di merito risolve la questione enucleando un’autonoma soglia per gli interessi di mora, ottenuta aumentando il Tasso Soglia del 2,1%.
Testo del provvedimento
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