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LA MASSIMA
L’azione di rivendicazione di cui all’art. 948 c.c., è azione petitoria concessa a chi si afferma proprietario di un bene, di cui tuttavia non ha la disponibilità materiale ed è volta a conseguire, sia una pronuncia di accertamento del diritto di proprietà, sia una pronuncia di condanna di colui che abbia il possesso o la detenzione del bene, alla sua restituzione.
L’azione di rivendica può essere proposta anche da chi abbia trasferito il possesso del cespite, in base ad un’obbligazione assunta contrattualmente, ove eventi giuridici successivi, abbiano determinato il venir meno del diritto dell’accipiens.
Questi i principi espressi del Tribunale di Treviso, Giudice Dott. Massimo De Luca con la sentenza n. 1566 del 23 luglio 2018.
IL CASO
Con atto di citazione una società di leasing esponeva di essere proprietaria di due unità immobiliari ad uso capannone artigianale e che tale compendio immobiliare era attualmente detenuto da una società a responsabilità limitata, in forza di un regolare contratto stipulato nel lontano 1999 e poi successivamente risolto di diritto per inadempimento della parte utilizzatrice e lessee; vista la irreperibilità della documentazione riferita al contratto di leasing, ma dando atto della disponibilità dell’atto di compravendita degli immobili, la quale riconduceva inequivocabilmente il diritto di proprietà dei medesimi in capo ad essa concedente parte attrice, esperiva l’azione di rivendicazione di cui all’art. 948 c.c., chiedendo la restituzione dei beni.
All’udienza di prima comparizione l’attrice depositava indi l’originale dell’atto di citazione notificato e il G.I., verificata la regolarità della notifica, dichiarava la contumacia della convenuta, rinviando la causa all’udienza per la precisazione delle conclusioni.
A detta udienza parte attrice precisava le conclusioni ed il G.I. tratteneva la causa in decisione immediata, rinunciati dalla attrice anche i termini di cui all’art. 190 cpc.
Orbene il Tribunale di Treviso, con la sentenza oggi in commento, ha ritenuto pienamente fondata la domanda del lessor.
Nella parte motiva della decisione, esponendo che l’azione di rivendicazione di cui all’art. 948 c.c., è azione petitoria concessa a chi si afferma proprietario di un bene, di cui tuttavia non ha la disponibilità materiale ed è volta a conseguire, sia una pronuncia di accertamento del diritto di proprietà, sia una pronuncia di condanna di colui che abbia il possesso o la detenzione del bene, alla sua restituzione.
L’azione di rivendica potendo essere proposta anche da chi abbia trasferito il possesso del cespite, in base ad un’obbligazione assunta contrattualmente, ove eventi giuridici successivi, abbiano determinato il venir meno del diritto dell’accipiens (cfr. Cass. n. 3947/1994).
Alla luce di tale considerazione, prosegue il Tribunale di Treviso, è apparsa evidente la legittimità della rivindicatio come formulata ex latu actoris, laddove parte attrice aveva concesso in godimento alla convenuta due unità immobiliari di sua proprietà, in adempimento delle obbligazioni assunte con la stipula di un contratto di leasing nell’anno 1999, ma che tuttavia l’intervenuta risoluzione di diritto dello stesso rapporto, causa il mancato pagamento dei canoni di leasing da parte dell’Utilizzatrice, aveva fatto sorgere il diritto della Concedente di esigere l’immediata restituzione dei beni.
Ne conseguiva, che l’attuale occupazione degli immobili da parte della utilizzatrice, era priva di titolo giustificativo.
L’attrice, ha ben osservato il Tribunale, aveva acquisito il diritto di proprietà dei beni immobili de quibus agitur, con atto di compravendita per atto Notaio, regolarmente prodotto agli atti di causa, dai quali si ricavano ovviamente i nominativi dei danti causa, originari proprietari degli stessi beni.
Dalla lettura e dalla disamina del contratto di compravendita, esse venditrici avevano garantito la propria titolarità del diritto, il quale era ad esse ancora pervenuto con atti notarili stipulati in forma solenne nell’anno 1986 e 1991.
La società di leasing parte attrice, ha quindi motivato il Tribunale, aveva il possesso degli immobili oggetto di rivendicazione, da oltre diciassette anni, atteso che la compravendita era stata stipulata nell’anno 1999; a questo arco temporale, si doveva sommare l’ulteriore periodo di possesso dei suoi danti causa, con la conseguente maturazione del periodo ventennale dell’usucapione ordinaria.
Alla luce di tali considerazioni, era quindi evidente la fondatezza della presentata azione di rivendicazione, volta ad ottenere l’accertamento, incidenter tantum, della proprietà in capo a parte attrice, oltre che una pronuncia di condanna della convenuta contumace, alla immediata restituzione degli immobili concessi in leasing, liberi e vuoti da persone e cose.
Le spese legali hanno seguito la soccombenza.
IL COMMENTO
Per l’esercizio dell’azione di rivendicazione, non è necessario che l’attore sia stato spossessato del bene senza o contro la volontà, sicché anche quando abbia trasferito il possesso in base ad un’obbligazione assunta contrattualmente, non gli è preclusa la possibilità, ove eventi giuridici successivi abbiano determinato il venir meno del diritto dell’accipiens, di proporre l’azione reale di rivendica per riottenere il possesso del bene quale proprietario, anziché di agire con l’azione personale di restituzione; ovvero, a fronte delle eccezioni del convenuto che opponga un proprio titolo di acquisto della proprietà, ad esempio eccependo in astratto l’usucapione, di modificare in corso di giudizio la domanda di restituzione originariamente proposta, in domanda di rivendicazione.
L’azione di rivendicazione, è l’unica azione che il proprietario non possessore può esperire, per recuperare la cosa posseduta o detenuta da altri.
Detta azione è quindi possibile solo per chi, affermandosi proprietario, non solo vuole che si accerti questa sua qualità, ma vuole anche che la cosa sia recuperata da chi la detiene o possiede. Si tratta, quindi, di un proprietario che ha perso o non è riuscito mai a conseguire il possesso del bene.
L’azione è imprescrittibile, perché è ugualmente imprescrittibile il diritto di proprietà, ma il proprietario potrebbe comunque non riuscire a raggiungere il suo scopo, per effetto dell’usucapione che ha fatto acquistare il diritto ad altri.
Dal punto di vista processuale, sarà bene osservare e precisare che il proprietario non deve essere in possesso della cosa che vuole, appunto, recuperare e può proseguire l’azione, anche se chi la possiede o la detiene, non ha più la cosa; in questo caso il convenuto ex possessore o detentore, deve recuperare la cosa o corrisponderne il valore, oltre il risarcimento del danno.
Nella fattispecie oggi in commento ed è questo il punto nodale dell’importanza della pubblicazione, la società di leasing aveva smarrito il contratto di locazione finanziaria, sicchè precluso il rimedio all’istituto più volte commentato in questa stessa rivista, del processo sommario di cognizione ex art. 702 bis cpc; parte attrice in buona sostanza, è stata chiamata nella qualità di proprietaria dei beni, impossibilitata a dimostrare per tabulas la propria qualità di lessor all’interno di un contratto di locazione finanziaria immobiliare, a comprovare il proprio diritto…rectius essendo questo ultimo, l’elemento cruciale della azione di rivendicazione.
Chi afferma infatti di essere il proprietario, non solo dovrà provare che è divenuto tale in base ad un valido titolo di acquisto, ma deve anche provare che ha ricevuto il diritto, da chi era effettivamente proprietario ed a tal fine sarà necessario provare che il vecchio proprietario aveva ricevuto il diritto da chi era effettivamente proprietario e così di seguito; con ciò creandosi una catena di prove che deve giungere al primo ed incontestabile proprietario, da cui è sorto a titolo originario il diritto di proprietà in contestazione, nel processo.
Non a caso i migliori commentatori definiscono questo tipo di prova, quale “probatio diabolica“. La risposta e quindi a che cosa debba fare il proprietario per evitare la probatio diabolica è, se si tratta di bene immobile, di provare di avere acquistato a titolo originario, anche mediante usucapione, il bene.
Per completezza espositiva, se si tratta invece di bene mobile, gli basterà provare il possesso in buona fede, ex art. 1153 c.c.
La sentenza del Tribunale di Treviso merita quindi particolare attenzione e considerazione, giacche molteplici per gli operatori del settore, i casi in cui con il trascorrere degli anni, possa essersi smarrito dagli archivi, il contratto di locazione finanziaria.
Nella fattispecie in commento, pertanto, la società di leasing parte attrice, in possesso ed invece regolarmente di una copia del contratto di compravendita (del quale per inciso in ogni momento se ne può in astratto richiedere la copia conforme per esigenze di giustizia, giacchè atto redatto in forma solenne), si è sottoposta ai rigori formali e probatori della azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., unico ed effettivo rimedio ad essa società riservato, rebus sic stantibus, a tutela del proprio diritto.
Ancora il Tribunale di Treviso, esperendo proprio quell’accertamento, incidentale, volto e comunque alla verifica della maturazione del ventennio, della usucapione ordinaria.
Si noti ed infine che il ruolo generale della causa portava l’anno 2018, stesso anno di pubblicazione della sentenza. Dalla abilità e dalla strategia processuale adottata dalla parte attrice, conseguendo, non v’è dubbio, l’effetto premiante quanto a tempistiche della decisione.
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