Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LE MASSIME
È lecita, ai sensi dell’art. 1526 c.c., la clausola penale, inserita in un contratto di leasing traslativo, sciolto prima dell’entrata in vigore della l. n. 124/2017,
Restituito il bene durante il procedimento civile volto ad ottenerlo, è corretta ed ammissibile la modificazione della domanda giudiziale volta alla dichiarazione del legittimo uso della clausola risolutiva espressa.
Le questioni relative al valore del bene e alla possibile incidenza di questo nei rapporti di dare e avere tra le parti non rilevano laddove in sede processuale sia stato chiesto solo il pagamento dei canoni già scaduti, sicché ogni ulteriore quantificazione, va rimessa all’esito del procedimento di riallocazione.
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Roma, Giudice Renato Castaldo, nella sentenza n. 18958 del 11 dicembre 2024
IL CASO
La società di leasing, esponendo di avere concesso alla parte utilizzatrice in locazione finanziaria, un bene immobile, riferiva che la resistente si era resa morosa nel pagamento dei canoni di locazione, ragione per la quale si era avvalsa della clausola risolutiva espressa, maturando un credito nei confronti del lessee per canoni scaduti ed insoluti. In particolare, deduceva che la resistente era debitrice di una somma pari alla esposizione finanziaria residua calcolata sul bene, attualizzata alla data della risoluzione contrattuale, in relazione al quale ancora la ricorrente si riservava di agire, all’esito delle attività di riallocazione e/o rivendita del bene. Alla data della domanda giudiziale, in buona sostanza, il bene non era stato ancora riconsegnato alla avente diritto. La convenuta parte utilizzatrice del bene contestava la domanda, esponendo che il contratto portato all’esame era sottoposto alla disciplina mutuabile per analogia dall’art. 1526 c.c.; in applicazione di tale disciplina, in caso di risoluzione, l’utilizzatore doveva restituire il bene, ma aveva diritto alla restituzione, a sua volta, dei canoni pagati in adempimento del contratto, salvo il diritto ad un equo compenso. Sosteneva altresì la nullità delle disposizioni contrattuali che prevedevano una clausola penale contenente il c.d. patto di deduzione e cioè il diritto per il concedente di soddisfarsi direttamente sul ricavato dalla vendita del bene o della sua ricollocazione, tanto per i canoni scaduti che per quelli ancora da scadere, in quanto previsione contrattuale tendente ad escludere (ovviamente fuori dall’ipotesi di fallimento dell’utilizzatore) la disciplina legislativa contenuta nell’art. 1526 c.c. Esponeva che in ogni caso la clausola penale era eccessivamente onerosa e che si era dichiarata disponibile a restituire il bene immobile oggetto del contratto subito dopo la intervenuta risoluzione, ma che la concedente non aveva mai provveduto alla materiale presa in consegna dello stesso. Concludeva indi in via riconvenzionale, previo accertamento e declaratoria di nullità delle pattuizioni contrattuali, per la condanna della società di leasing alla restituzione delle somme versate in forza del contratto, il tutto oltre interessi dal giorno del dovuto al saldo effettivo. In via subordinata, per l’accertamento e la declaratoria di eccessiva onerosità della penale, ai sensi dell’art. 1384 c.c., per quindi ricondurla ad equità con ogni conseguenza di legge.
A latere del predetto primo procedimento principale, come azionato dal lessor, si svolgevano le cause di opposizione come promosse dalla obbligata principale parte utilizzatrice del bene oltre che dai garanti, avverso il decreto ingiuntivo nel frattempo ottenuto dal lessor per il pagamento dei canoni scaduti alla data della risoluzione; il tema della lite proposto dai coobbligati nei riti di opposizione, era pressoché identico al tema della lite principale, ossia pretesa applicazione dell’art. 1526 c.c in via principale e pretesa riduzione della penale contrattuale, in via subordinata. Tutti i procedimenti venivano indi riuniti e nel corso dello svolgimento degli stessi, il bene immobile veniva nel frattempo effettivamente restituito; la società di leasing pertanto precisava di voler dare seguito alle eccezioni formulate, solo con riferimento all’ottenimento della dichiarazione di intervenuta risoluzione di diritto, ex art. 1456 c.c. del contratto di leasing, con la condanna in ogni caso del lessee al pagamento delle spese e compensi della lite. La causa si è conclusa con la sentenza ora in commento, che dichiarata cessata la materia del contendere in relazione alla domanda avente ad oggetto la restituzione del bene immobile concesso in leasing, ma confermata la piena legittimità della società di leasing ad essersi avvalsa della clausola risolutiva espressa, ha altresì respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo, con la condanna alle spese della lite.
COMMENTO
Nella parte motiva della decisione, il Tribunale di Roma intervenendo sulla disciplina applicabile al contratto, ha ricordato in primis la pronuncia delle Sezioni unite, (Sez. Unite – , Sentenza n. 2061 del 28/01/2021) in tema di leasing finanziario, giusta la quale la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017, non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti restando invece valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo. Nel caso di specie era pacifico che l’inadempimento del lessee risalisse all’anno 2015, che non era stato contestato il mancato pagamento dei canoni che aveva condotto alla risoluzione contrattuale e che non era revocabile in dubbio che il mancato pagamento costituisse un inadempimento grave, tale da legittimare la parte concedente che infatti si era avvalsa della clausola risolutiva espressa. Sussisteva indi in conseguenza della risoluzione, il diritto della società di leasing ad ottenere la restituzione del bene. Ma il secondo principio rilevantissimo confermato dallo stesso Tribunale di Roma in sentenza, è quello che è lecita, ai sensi dell’art. 1526 c.c., la clausola penale, inserita in un contratto di leasing traslativo, sciolto prima dell’entrata in vigore della l. n. 124/2017, la quale consenta al concedente, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, di ottenere lo stesso utile che avrebbe conseguito se il contratto fosse stato adempiuto regolarmente, obbligando l’utilizzatore a pagare i canoni non ancora maturati attualizzati ed il prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione, al netto della deduzione di quanto ottenuto dalla vendita del bene sul mercato.
Sul tema predetto opportuno appare quindi il richiamo ancora una volta, alla giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, sez. III, 22/02/2022, n. 5754). Rimane dunque corretta la valutazione di liceità della clausola penale, nei termini in cui accertata in sentenza, per il caso di inadempimento dell’utilizzatore. Vanno inoltre ricordati i principi enunciati da Cass. Sez. U. 28/01/2021, n. 2061, ove la Suprema Corte, chiamata a risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto proprio in ordine alla applicabilità analogica, all’ipotesi di contratto di leasing risolto per inadempimento dell’utilizzatore prima del fallimento di quest’ultimo, delle norme in tema di effetti dello scioglimento del contratto di leasing nell’ambito delle procedure concorsuali (L. Fall., artt. 72-quater e 169-bis), ha da un lato, sciolto il contrasto in favore del prevalente orientamento contrario a tale applicazione e ribadito che resta, dunque, valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell’art. 1526 c.c., la disciplina della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore; dall’altro ribadendo che pur in tale tradizionale e radicata prospettiva qualificatoria, al fine di dare compiuto rilievo alla causa di finanziamento che sostanzia l’operazione commerciale di leasing, deve comunque ritenersi lecita, in quanto coerente con la previsione contenuta dell’art. 1526 c.c., comma 2, la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi (così come anche di quelli insoluti e/o non ancora maturati al momento della risoluzione), con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene. E’ infatti la legge a consentire alle parti di disciplinare ex ante, con apposito atto, sia gli aspetti sul cosiddetto piano restitutorio, laddove l’art. 1526 c.c., comma 2 consente alle parti di prevedere che i canoni già pagati dall’utilizzatore restino acquisiti al concedente, a titolo di equo indennizzo per il godimento della cosa, sia gli aspetti sul cosiddetto piano risarcitorio, giusta l’art. 1382 c.c. che consente alle parti di predeterminare la quantificazione del danno: ed in astratto, nulla vieta che il danno sia quantificato in misura pari ai canoni ancora dovuti al momento della risoluzione. Sul piano più strettamente economico, poi, una simile pattuizione è perfettamente coerente con la natura del contratto di leasing. Infatti, in caso di puntuale adempimento da parte dell’utilizzatore, il concedente avrebbe realizzato un lucro pari al coacervo dei canoni concordati. Poiché in caso di risoluzione del contratto, una delle poste del risarcimento dovuto al contraente fedele è il quantum lucrari potui, è coerente con tale principio che la penale sia parametrata al lucro che il concedente avrebbe realizzato, se il contratto avesse avuto puntuale esecuzione. Infine, la previsione secondo cui il concedente, tornato in possesso del bene oggetto del contratto, ha facoltà di venderlo o reimpiegarlo, defalcando dal proprio credito il ricavato della vendita del reimpiego, lungi dal costituire una pattuizione nulla, è anzi puntualmente conforme a principi già da tempo affermati dalla giurisprudenza e sempre di legittimità, secondo cui legittimamente la clausola penale attribuisce al concedente, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento. A tal riguardo si impone però una precisazione, già operata da Cass. n. 28022 del 2021, cit., e che va qui ribadita: “il c. d. patto di deduzione, in virtù del quale nei contratti di leasing traslativo si stabilisce che il concedente, nel caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, ha diritto a titolo di penale al pagamento dei canoni scaduti e di quelli futuri, attualizzati al momento della risoluzione, previo diffalco di quanto ricavato dalla vendita del bene, deve essere interpretato ed applicato secondo correttezza e buona fede, con la conseguenza che: a) se al momento in cui il concedente esige il proprio credito (restitutorio e/o risarcitorio) nei confronti dell’utilizzatore il bene è stato già rivenduto, il concedente dovrà portare in diffalco il ricavato, salva la responsabilità del concedente ex art. 1227 c.c., comma 2, nel caso di vendita ad un prezzo vile per propria negligenza; b) se al momento in cui esige il proprio credito nei confronti dell’utilizzatore il bene non è stato ancora rivenduto, il concedente dovrà portare in diffalco il valore commerciale del bene, stimato col criterio del valore equo di mercato”.
I principi in buona sostanza che salvaguardano la autonomia contrattuale, giova ancora ribadirlo, necessitando del contemperamento con i principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del rapporto, ma ciò gli operatori nella area leasing, lo sanno già !!!
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
IN TAL MODO SI ESPRIME COMUNQUE LA VOLONTÀ DI SCIOGLIERE IL VINCOLO NEGOZIALE E DI OTTENERE LA DECLARATORIA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Scarano, Rel. Condello | 15.11.2024 | n.2857
LEASING IMMOBILIARE: INTERESSE AD AGIRE DELLA SOCIETÀ LOCATRICE
SUSSISTE IN TUTTI IN CASI IN CUI VI SIA ALLA BASE VALIDO TITOLO
Sentenza | Corte Di Appello Bari, Pres. Ancona – Rel. Coluccia | 24.08.2021 | n.1512
LEASING IMMOBILIARE: PRETESA VIOLAZIONE DEL PATTO COMMISSORIO E PRETESA NULLITÀ DELL’INTERO RAPPORTO
LA LEGGE N. 124 DEL 2017 DEVE ESSERE CONCRETAMENTE APPLICATA SECONDO UN’INTERPRETAZIONE STORICO-EVOLUTIVA
Sentenza | Tribunale di Latina, Giudice Paola Romana Lodolini | 31.12.2019 | n.3113
LA SOLA RISOLUZIONE ANTICIPATA NON TRASFERISCE IL TRIBUTO
Sentenza | CTR Lombardia, Pres. Craveia – Rel. Mietto | 04.09.2018 | n.3658
LEASING IMMOBILIARE: L’UTILIZZATORE È TENUTO A PAGAMENTO IMU NONOSTANTE RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
L’OBBLIGO CESSA AL MOMENTO DELLA RICONSEGNA DEL BENE
Sentenza | CTR di Napoli, Sez. 45, Pres. Giacalone – Rel. De Tullio | 26.09.2016 | n.8208
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