Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LE MASSIME
Ai fini della validità dell’accordo derogativo della competenza per territorio, la legge non richiede che le parti motivino le ragioni sottese alla scelta di un diverso foro, atteso che ai sensi dell’art. 29 c.p.c., è unicamente previsto che tale pattuizione risulti da atto scritto e si riferisca ad uno o più affari determinati, nel rispetto delle limitazioni per materia, espressamente enunciate all’art 28 cpc.
Il conduttore dei beni in locazione finanziaria, non può eccepire la sopravvenuta impossibilità di eseguire la prestazione di riconsegna, laddove essa derivi dalla inosservanza all’obbligo contrattuale di custodia del bene locato. In questo caso non esistono le condizioni previste dall’art 1256, comma 1, c.c., per l’estinzione dell’obbligazione.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Roma, Giudice Luigi D’Alessandro con la sentenza n. 5061 dell’08.03.2018.
IL CASO
Parte conduttrice beni in locazione finanziaria, proponeva opposizione avverso decreto ingiuntivo come formulato dal lessor, ad oggetto la riconsegna di beni strumentali, quale conseguenza della comminata risoluzione contrattuale, per inadempimento al pagamento dei canoni.
A sostegno dell’opposizione l’attrice deduceva in primis la nullità del decreto ingiuntivo, in quanto dicitur emesso da un giudice privo di competenza territoriale, riservata questa ad altro Tribunale nel cui circondario avevano sede rispettivamente essa opponente e la società opposta; in secundis eccependo che la riconsegna era comunque divenuta impossibile, in quanto i beni concessi in leasing erano stati installati su un veicolo di proprietà di una terza società, che era stata medio tempore dichiarata fallita e la cui curatela aveva acquisito il veicolo, con tutta l’apparecchiatura ivi installata.
Parte opposta, la società di leasing, si costituiva indi in giudizio, deducendo l’infondatezza della opposizione, della quale richiedeva il rigetto.
Orbene con la sentenza oggi in commento, il Tribunale di Roma ha ritenuto immediatamente priva di pregio la eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito in sede monitoria, in quanto le condizioni generali dei contratto debitamente sottoscritte dalle parti contraenti, prevedevano espressamente la indicazione, fra gli altri, del foro di Roma, quale foro convenzionale alternativo, nelle controversie relative alla esecuzione dei contratti. Detta previsione del foro convenzionale alternativo, ha esposto il magistrato, era avvenuta nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 1341, comma 2, c.c., come si ricavava dalla circostanza in punto di fatto che le condizioni generali del contratto di leasing, recavano in calce la doppia sottoscrizione della società utilizzatrice; la seconda firma, era stata apposta dalla stessa, nella parte immediatamente sottostante il richiamo alla clausola in commento, individuata specificamente mediante la forma numerica e il titolo; condizioni queste che la giurisprudenza di legittimità ritiene sufficienti a consentire la deroga della competenza territoriale. Lo stesso giudice in sentenza ha esposto che contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente, ai fini della validità dell’ accordo derogativo della competenza per territorio, la legge non richiede che le parti motivino le ragioni sottese alla scelta di un diverso foro, atteso che ai sensi dell’art. 29 c.p.c., è unicamente previsto che tale pattuizione risulti da atto scritto e si riferisca ad uno o più affari determinati, nel rispetto delle limitazioni per materia, espressamente enunciate all’art 28 cpc. Ad ogni buon conto, ha proseguito il giudice nella parte motiva della decisione, anche qualora la clausola derogatoria della competenza territoriale, inserita nel contratto di leasing, fosse stata affetta da nullità, in ogni caso l’eccezione di incompetenza territoriale non avrebbe potuto trovare accoglimento, in quanto la competenza per territorio del Tribunale di Roma era stata contestata solo sotto il profilo del foro generale delle persone giuridiche di cui all’art 19 c.p.c., mentre nulla la opponente aveva dedotto in merito al forum contractus e al forum destinatae solutionis, di cui all’art. 20 c.p.c..
In buona sostanza, seppure in astratto la trattazione di cui alla lettera dell’art. 20, avrebbe potuto trovare ingresso nel thema decidendum, trattandosi di causa avente ad oggetto diritti di obbligazione, restava radicata la competenza del giudice adito, in base al profilo non contestato o non efficacemente contestato (cfr. Cass., 5,5,2003, n. 9192; Cass., 22.11.2007, n. 24277; Cass., 21.7.2011, n. 15996).
In merito ed infine al secondo motivo di opposizione, fondato sulla asserita sopravvenuta impossibilità di eseguire la prestazione di riconsegna, il Tribunale d Roma ha osservato che essa era dipesa dalla inosservanza da parte del lessee, all’obbligo contrattuale di custodia del bene locato (la utilizzatrice aveva infatti indebitamente affidato la disponibilità del bene ad un soggetto terzo), con la conseguenza che non esistevano le condizioni previste dall’art 1256, comma 1, c.c., per l’estinzione dell’obbligazione.
La opposizione è stata quindi ritenuta del tutto infondata e la parte opponente, confermato il decreto di consegna, è stata condannata al pagamento delle spese e dei compensi della lite.
IL COMMENTO
A sostegno nella parte motiva della decisione, afferente il rigetto della eccezione preliminare di incompetenza per territorio del giudice adito in sede monitoria, il Magistrato giudicante ha richiamato ex multis, la sentenza dei giudici della legge n. 12708/14.
Nella fattispecie discussa da essa Suprema Corte, si evidenziò il fatto che il punto in contestazione, era circoscritto alla specificità della sottoscrizione; ciò perchè il documento che conteneva le “condizioni generali di contratto per aziende” non era stato sottoscritto, vuoi perchè il richiamo, contenuto nel paragrafo oggetto di specifica sottoscrizione, sarebbe stato generico e non individuale, richiamando un gruppo di clausole individuate solo per numero d’ordine e contenente clausole generali anche di tipo non oneroso o vessatorio; vuoi, ancora, perchè nell’elenco di siffatte clausole, quella che veniva rilevata dal ricorrente in sede di legittimità, era riportata con la dicitura “foro competente“, senza l’indicazione dello specifico foro cui si riferiva la clausola.
Orbene la Suprema Corte osservò che nessuno dei rilievi appena descritti, coglievano nel segno, così confermando le argomentazioni e le conclusioni in cui era pervenuto il Giudice a quo, in punto di valida deroga alla competenza territoriale.
Le emergenze documentali evidenziate infatti dal Tribunale (e riscontrate dal Collegio) – e, cioè la chiara evidenziazione del paragrafo contenente le clausole vessatorie, con l’apposizione a mano di un segno grafico accanto al relativo riquadro; l’apposizione della data e della sottoscrizione della ricorrente in relazione allo stesso paragrafo; l’indicazione specifica non solo del numero d’ordine, ma anche dell’oggetto delle clausole in commento; la specificazione sia pure sintetica del contenuto di quella oggetto di contestazione (“Foro compente”) – convergevano tutte a suscitare la attenzione del sottoscrittore, sulle clausole elencate, correlativamente risultando soddisfatte le esigenze di specificità e separatezza, di cui all’art. 1341 c.c., comma 2. La circostanza che il modulo contenente le “condizioni generali di contratto per aziende“, non fosse stato sottoscritto, era circostanza che non incideva sulla validità della clausola, una volta che non era in discussione il contenuto di siffatte “condizioni” e che ad esse faceva riferimento il contratto per adesione, sottoscritto dal ricorrente, creando uno specifico ed inequivoco collegamento, tra la sottoscrizione e le condizioni generali di contratto stesso.
Con la stessa decisione i giudici della legge precisavano che nel caso di contratto per il quale non sia prescritta la forma scritta, l’obbligo della specifica approvazione scritta di cui all’art. 1341 cod. civ., rimane limitato alla sola clausola vessatoria e può dirsi soddisfatto anche attraverso la sottoscrizione apposta dopo il richiamo, che può essere espresso, nella forma numerica e di titolo, alla clausola in questione; ciò in quanto tale richiamo, permette al sottoscrittore di conoscerne il contenuto. Ha indi ribadito la Suprema Corte, che in tema di condizioni generali del contratto, al fine di integrare il requisito della specifica approvazione prevista dall’art. 1341 cod. civ., non è necessario che alla distinta sottoscrizione della clausola, segua la trascrizione integrale del suo contenuto, essendo sufficiente che la sottoscrizione sia apposta dopo indicazioni idonee a non fare dubitare del richiamo dell’attenzione del sottoscrittore, mentre è irrilevante che contestualmente vengano approvate anche altre clausole onerose, ugualmente evidenziate (cfr Cass. 06 settembre 2005, n. 17797; cfr. anche Cass. 03 settembre 2007, n. 18525).
In considerazione e quindi delle rilevate emergenze documentali, non apparve pertinente il richiamo della parte ricorrente, alla giurisprudenza di essa stessa Suprema Corte, laddove nega i requisiti di specificità della sottoscrizione, nella ipotesi di richiamo “in blocco” a tutte le condizioni generali e di sottoscrizione “indiscriminata” di elenchi meramente numerici, come tali idonei a generare confusione. In particolare la deduzione, secondo cui nell’elenco oggetto di esame fossero state riportate anche clausole non vessatorie, si rivelava carente di autosufficienza, per il difetto di specifica indicazione di cui si è detto sopra, e comunque inidonea a profilare un elemento di equivocità del richiamo, espressamente effettuato ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341 e 1342 cod. civ..
A sostegno ed invece del rigetto del secondo motivo di opposizione, lo stesso magistrato di Roma ha semplicemente ma efficacemente richiamato, la norma di diritto sostanziale di cui all’art. 1256 comma 1 c.c.
Sull’argomento, gioverà fin d’ora richiamare i principi come derivanti e sempre dai giudici della legge nella materia della responsabilità contrattuale, ove l’accertamento delle condizioni in presenza delle quali una prestazione, pacificamente inadempiuta, deve tuttavia ritenersi impossibile, costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici. (cfr per tutte Cass civile, sez. III, 13/11/2009, n. 24041).
Ed ancora, la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell’art. 1463 c.c., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile.
In particolare, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale, in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione. (cfr Cass. civile, sez. III, 20/12/2007, n. 26958).
In buona sostanza, la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli art. 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. Ne deriva, ad esempio, che nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare l’anzidetta impossibilità con riguardo ad un ordine o divieto sopravvenuto dell’autorità amministrativa o giurisdizionale (“factum principis”), che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato ed esaurito tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità, restando così inerte e ponendosi in condizione di soggiacervi senza rimedio.
La causa non imputabile, consistendo in un impedimento insuperabile all’adempimento dell’obbligazione (vis cui resisti non potest), non dipendente da dolo o da colpa del debitore. Deve anche trattarsi di un evento imprevedibile in relazione alla natura del negozio e alle condizioni del mercato.
Né infine costituisce esimente tale da invocare la norma in commento, la allegazione dell’inadempimento di un terzo, nell’ambito di un diverso rapporto. (In applicazione di tale principio, sempre a titolo esemplificativo, la Suprema Corte ha escluso che configuri l’impossibilità obiettiva ed assoluta di adempiere, la maturata prescrizione del diritto della medesima parte ad ottenere, a sua volta, la ripetizione di importi corrisposti a terzi a titolo transattivo- Cassazione civile, sez. II, 15/11/2013, n. 25777).
Nel caso indi deciso dal Tribunale di Roma, correttamente nella fattispecie di contratto di locazione finanziaria (leasing), non ha trovato ingresso un modello di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, come reclamato dalla opponente, atteso il superiore obbligo di custodia dei beni ed il divieto di cederne o consentirne l’uso ad altri soggetti diversi dal lessee, quale tratto fra i più distintivi il regolamento degli interessi in materia leasing, inter partes convenuto.
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