L’utilizzatore ha legittimazione attiva rispetto a tutte le azioni esperibili dalla società di leasing che per suo nome e conto ha procurato l’acquisto.
Tuttavia, il predetto utilizzatore non può cumulare alla specifica tutela prevista per il contratto di compravendita stipulato dalla società di leasing nel suo interesse anche quella tutela di cui potrebbe beneficiare laddove avesse lui stesso in prima persona proceduto all’acquisto.
Altrimenti esplicitato, la scelta di acquistare un bene attraverso la stipula di un contratto di locazione finanziaria ragionevolmente preclude all’utilizzatore del bene la possibilità di esperire le tutele giuridiche previste a tutela del consumatore privato, che si trovi a contrattare e ad acquistare, in nome e conto proprio, da un professionista.
E tali considerazioni assumono pregnanza specifica se si considera che la natura del bene oggetto dell’acquisto di cui si controverte è costituito da una imbarcazione di medio-grandi dimensioni; bene che per la rilevanza dei costi sia di acquisto che di gestione si presta ad un “consumo” oltremodo limitato ad una fascia di acquirenti particolarmente esperti del settore e, dunque, difficilmente annoverabili fra quelli che il codice del consumo di cui innanzi ha preso in considerazione per apprestare la tutela in esso disciplinata.
Questi i principi espressi dalla Corte d’Appello di Napoli, sez. terza, Pres. Giordano – Rel. D’Avino, Tribunale di Napoli, con la sentenza dell’11.01.2017.
Nel caso in oggetto, una società conduttrice conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, la società costruttrice di una imbarcazione oggetto di contratto di leasing, al fine di sentirla dichiarare responsabile dei vizi e difetti riscontrati nel natante, in quanto inidoneo ad un uso normale e tali da ridurne il valore in modo significativo; per l’effetto, condannare la convenuta alla restituzione della somma versata in eccedenza rispetto all’effettivo valore dell’imbarcazione, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del pagamento sino all’effettivo soddisfo, oltre che al risarcimento dei danni patiti per il decremento del suo valore commerciale, per il danno patrimoniale derivante dalla difficoltà di rivendita a terzi, per costi sostenuti relativi alle indagini tecniche eseguite sull’imbarcazione per cui è causa, per il parziale ed insoddisfacente uso dell’imbarcazione conseguente al non corretto funzionamento della stessa, non conforme alle aspettative, oltre che il danno biologico derivante dalla mancata fruizione, con le modalità programmate, delle vacanze estive.
A fondamento della domanda, l’attore deduceva il fatto che il contratto concluso tra le parti rientrava nella disciplina della vendita dei beni di consumo di cui agli artt. 1519 bis e segg. c.p.c., essendo stato concluso per scopo di puro diletto, estraneo alla attività lavorativa di esso utilizzatore.
Il costruttore-venditore, pur avendo preso piena cognizione del vizio attraverso le tempestive denunce, sia verbali che per iscritto e i rilievi effettuati dal C.T.U. e dai tecnici di parte nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo, non aveva, del resto, proposto alcun tipo di intervento per eliminare le gravi deficienze di assetto dell’imbarcazione, nonostante nelle more dell’espletamento dell’ATP si fosse manifestato un ulteriore vizio dell’imbarcazione, consistente nella comparsa sul cristallo anteriore del parabrezza di bolle diffuse in più punti.
La società produttrice, costituitasi in giudizio, preliminarmente, eccepiva l’inutilizzabilità dell’accertamento compiuto nell’ambito del giudizio per ATP, non avendo il tecnico nominato esperito il tentativo di conciliare le parti ed, in secondo luogo, contestava la fondatezza della domanda, atteso che l’imbarcazione oggetto del rapporto dedotto in lite non presentava alcun vizio che la rendesse inidonea all’uso cui era destinata ed essa impresa venditrice non aveva affatto rifiutato di procedere a quelle piccole riparazioni che avrebbero completamente azzerato l’incidenza dei trascurabili difetti riscontrati sussistenti nell’ambito del ridetto procedimento per ATP.
In ogni caso, siccome l’imbarcazione era stata costruita in subappalto da altra società, chiedeva la chiamata in causa di quest’ultima per essere dalla stessa manlevata e tenuta indenne da ogni conseguenza pregiudizievole, che potesse derivarle dall’eventuale accoglimento della domanda.
Si costituiva in giudizio la società di leasing, escludendo qualsivoglia sua diretta responsabilità, essendosi essa limitata ad acquistare l’imbarcazione per consegnarla all’utilizzatore; quindi, chiedeva che venisse rigettata ogni domanda anche riconvenzionale nei suoi confronti avanzata e che per qualunque eventuale accertamento di sua responsabilità il medesimo attore fosse dichiarato contrattualmente tenuto a manlevarla e tenerla indenne di ogni conseguenza negativa derivante dal giudizio.
Si costituiva in giudizio la terza chiamata, chiedendo di essere estromessa dal giudizio, poiché la committente aveva accettato l’imbarcazione senza addurre alcuna lamentela, né contestazione, con la conseguenza di essere decaduta dalla relativa facoltà ai sensi 8 dell’art. 2226 c.c., essendo palese il vizio contestato dalla parte attrice.
Il primo Giudice, espletata l’attività istruttoria, così come dalle parti richiesta, rigettava la domanda, compensando le spese di lite e condannando l’attrice al pagamento delle spese di consulenza relative al giudizio per ATP.
Avverso la decisione del Giudice di prime cure proponeva appello la società conduttrice, a cui resisteva la società di leasing, mentre la produttrice restava contumace.
L’appellante, in particolare, evidenziava che al contratto dedotto in lite doveva ritenersi applicabile la disciplina dettata dal Codice del Consumo di cui al D.L.vo n. 205/2006 e segnatamente le norme di cui agli artt. 128 – 135 del codice stesso, che riproducono quanto già stabilito dagli artt. 1519-bis – 1519-novies c.c., lamentando il fatto che, alla luce di quanto accertato dal CTU nominato nell’ambito del procedimento per ATP, il primo giudice avrebbe dovuto ritenere fondata la domanda di riduzione del prezzo in quella sede proposta.
L’istante, infatti, a fondamento delle richieste oggetto di giudizio, non aveva dedotto l’inidoneità del bene all’uso cui era destinato, bensì la non conformità del bene rispetto a quanto richiesto e pattuito, nonché la mancanza delle qualità e delle prestazioni abituali per un tipo di imbarcazione del tipo prescelto sulla scorta del campione mostrato.
La Corte adita osservava che il primo giudice aveva correttamente inquadrato l’azione controversa secondo il paradigma normativo di cui agli artt. 1490 e 1492 c.c., ritenendo alla fattispecie non applicabili le disposizioni del Codice del Consumo invocate dalla parte appellante, poiché, sebbene l’art. 128 del predetto testo normativo contenga una nozione ampia di “bene di consumo”, di tal che gli interpreti più accreditati vi fanno rientrare qualsivoglia bene mobile, anche quelli registrati in pubblici registri ed anche le imbarcazioni e gli aeromobili, vale ad escluderne l’applicabilità alla fattispecie concreta in esame la circostanza che l’acquisto di che trattasi fosse avvenuto da parte di una società di leasing.
Ad avviso del Giudice di seconde cure, infatti, l’utilizzatore aveva legittimazione attiva rispetto a tutte le azioni esperibili dalla società di leasing che per suo nome e conto aveva procurato l’acquisto oggetto di censura, ma non poteva cumulare alla specifica tutela prevista per il contratto di compravendita stipulato dalla società di leasing nel suo interesse anche quella tutela di cui avrebbe beneficiato laddove avesse lui stesso in prima persona proceduto all’acquisto.
In altri termini, la scelta di acquistare un bene attraverso la stipula di un contratto di locazione finanziaria ragionevolmente aveva precluso all’utilizzatore del bene la possibilità di esperire le tutele giuridiche previste a tutela del consumatore privato, che si trovi a contrattare e ad acquistare, in nome e conto proprio, da un professionista, anche alla luce della natura del bene oggetto dell’acquisto, una imbarcazione di medio-grandi dimensioni.
Così come, doveva essere condivisa, ad avviso del Collegio Giudicante, la sentenza di primo grado laddove aveva individuato la legittimazione a proporre le azioni di riduzione del prezzo e risarcimento del danno indicate da parte dell’utilizzatore del bene direttamente nei confronti della produttrice, sebbene il contratto di acquisto fosse stato con quest’ultima concluso dalla “società finanziatrice” e non direttamente dall’utilizzatore, realizzandosi una ipotesi di collegamento negoziale, la cui causa in concreto doveva ritenersi autonoma rispetto a quella dei singoli contratti collegati, in quanto volta a garantire all’utilizzatore stesso il godimento del bene acquistato dalla società di leasing.
L’art. 1490, I comma, c.c., infatti, dispone che: “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore” e l’inclinazione verso destra di imbarcazione avente le caratteristiche di quella oggetto di giudizio, visibile anche senza rilievi strumentali, così come accertato dal CTU, era senz’altro vizio idoneo ad incidere in modo significativo sul valore del bene.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno formulata per ottenere ristoro del pregiudizio dedotto subito per non aver potuto fruire di soggiorni di vacanza, sebbene prenotati con corresponsione di anticipo, dei vizi da cui era affetta l’imbarcazione, la Corte sottolineava che non poteva in alcun modo ritenersi provato il nesso eziologico fra il vizio lamentato e l’impossibilità di godere delle vacanze stesse, non essendo revocabile in dubbio che l’imbarcazione oggetto di controversia, nonostante le predette difformità, fosse perfettamente idonea alla navigazione in sicurezza e senza pregiudizio alcuno per i naviganti; di tal che, la scelta di non utilizzarla per raggiungere le mete di vacanza già prescelte doveva ritenersi dovuta a valutazioni dell’istante, del tutto indipendente dai vizi stessi.
Sulla base di quanto esposto, la Corte accoglieva, seppur parzialmente, l’appello, condannando la società produttrice al pagamento del prezzo versato in eccedenza dall’appellante.
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