LA MASSIMA
In caso di leasing finanziario, l’utilizzatore può esercitare nei confronti del fornitore l’azione di risoluzione o quella di riduzione del prezzo del contratto di fornitura, soltanto in presenza di una clausola del contratto di leasing con la quale gli venga trasferita dal concedente la propria posizione sostanziale.
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. Unite, Pres. Rovelli – Rel. Spirito, con la sentenza n. 19785 del 05.10.2015.
IL CASO
Un’Impresa aveva citato in giudizio il soggetto giuridico fornitore dei beni, invocando la risoluzione per inadempimento del convenuto, quanto al contratto di fornitura collegato ad un contratto di leasing stipulato con società esercente attività di locazione finanziaria; il bene risultava privo di una qualità essenziale, sicché l’Impresa aveva richiesto la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni o quantomeno alla riduzione del prezzo della compravendita.
Il Tribunale adito in prime cure dichiarava la risoluzione del contratto di fornitura per fatto e colpa della venditrice e condannava quest’ultima alla restituzione di quanto percepito nella vendita, respingendo invece la domanda risarcitoria.
Proposto appello da parte del convenuto soccombente, fornitore del bene, la competente Corte Distrettuale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava invece la carenza di legittimazione attiva della impresa attrice, con il conseguente rigetto di tutte le domande da essa proposte.
Avverso tale ultima decisione, proponeva indi ricorso avanti i Giudici della Legge l’Impresa, utilizzatrice del bene, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c., oltre che delle disposizioni che presiedono alla interpretazione dei negozi giuridici ex art. 1362 e ss. c.c.; alla Corte di Appello, in particolare, assumeva l’erronea affermazione della carenza della propria legittimazione attiva alla risoluzione del contratto di compravendita, sull’erroneo presupposto che l’esercizio diritto dell’azione contrattuale da parte dell’utilizzatore del bene in leasing nei confronti del fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, fosse ammissibile solo in presenza di una specifica clausola contrattuale, nella fattispecie, inesistente.
La ricorrente, nella fase di legittimità, aveva quindi formulato il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, avente ad oggetto l’esservi stata o meno violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c. oltre che dei criteri che presiedono all’interpretazione dei negozi giuridici, in virtù dei quali, nel contratto di locazione finanziaria, è riconosciuta all’utilizzatore quale effetto naturale connaturato all’operazione di locazione finanziaria stessa, una tutela diretta verso il fornitore per i vizi della cosa, anche in assenza di specifiche clausole contrattuali; sostanzialmente censurando la motivazione resa dalla Corte Distrettuale, che aveva individuato il difetto di legittimazione attiva dell’Impresa parte utilizzatrice del bene, sul presupposto di non aver rinvenuto agli atti del giudizio un patto contrattuale, concessivo all’utilizzatore della facoltà di risoluzione del rapporto.
Con ordinanza interlocutoria del 04.08.2014, la Corte chiedeva l’intervento delle Sezioni Unite in merito alla questione (di massima e particolare importanza) concernente, (con riferimento ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell’art. 1705 comma 2 c.c., alla locazione finanziaria) le azioni direttamente proponibili dall’utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest’ultimo.
Il caso in esame, si concludeva con l’affermazione che nella fattispecie all’esame, non vi era stata alcuna prova in merito alla esistenza di un patto espresso e contrattualmente valido, che prevedendo l’espresso esonero del proprietario/concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa, consentisse all’utilizzatore l’esercizio diretto della azione di risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del venditore/fornitore, così di fatto rigettando il ricorso; è di estremo interesse, al contrario, la analisi attenta della stessa sentenza, con i principi di diritto da essa derivanti.
COMMENTO
Visto l’excursus giurisprudenziale ed il contributo offerto fin qui nella materia della locazione finanziaria, deve infatti essere dedicata particolare attenzione, alle questioni come decise dalla Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza in commento, che mira a chiarire, una volta per tutte, la tipologia delle azioni riservate all’utilizzatore nei confronti del fornitore dei beni, sul collegato rapporto contrattuale di leasing.
In buona sostanza, la questione sottoposta alle Sezioni Unite, poteva considerarsi così sintetizzata: se, in caso di leasing finanziario, l’utilizzatore sia legittimato oltre che a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno conseguentemente sofferto, anche a proporre la domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solo in presenza di una specifica clausola contrattuale, con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all’utilizzatore.
Le Sezioni Unite hanno quindi mirabilmente esposto e richiamato il risalente quadro giurisprudenziale prima e l’evoluzione giurisprudenziale, dopo.
Il quadro giurisprudenziale risalente infatti, ravvisava il contratto di leasing quale contratto unitario plurilaterale, dal quale fare indi agevolmente discendere l’esperibilità della azione di risoluzione da parte dell’utilizzatore nei confronti del fornitore, posto che quest’ultimo era considerato parte del contratto di compravendita; il problema però si poneva ove l’interprete avesse ben distinto il contratto di vendita da un lato con il contratto di locazione, dall’altro, pur riconoscendo l’indiscutibile collegamento esistente tra i due distinti rapporti.
In questa seconda ipotesi, infatti, il contratto di vendita era per l’utilizzatore un negozio stipulato tra terzi, rispetto al quale esso utilizzatore non aveva alcun potere di incidenza, restando comunque da verificare se il riconosciuto collegato negoziale, concedesse all’utilizzatore il potere, compresa l’esperibilità dell’azione di risoluzione del contratto di vendita, al quale egli non aveva partecipato.
Detta risalente giurisprudenza (Cass. n. 4367/97 – Cass. n. 6076/95 – Cass. n. 5571/91), nell’ottica del contratto di leasing quale contratto plurilaterale, dal quale nascevano vincoli obbligatori incrociati tra loro, pur nella consapevolezza che la domanda di risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta in autonomia dall’utilizzatore, con la conseguente restituzione del prezzo oltre che il risarcimento del danno fosse di pregiudizio alla condizione del lessor, parte concedente (questi infatti, oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene, rischiava anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la cessazione del godimento del bene, la causa della contrapposta obbligazione dell’utilizzatore di pagare i canoni), risolveva la questione imponendo la necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione, del lessor; in buona sostanza, imponendo una sorta di litisconsorzio necessario nei confronti di quest’ultimo, laddove formulata direttamente dall’utilizzatore contro il fornitore l’azione di risoluzione della compravendita, tale da rimediare a quella che appariva essere una altrimenti stridente anomalia dell’azione risolutiva, concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere, oltre che comportando detta anomalia, la perdita in danno del concedente non solo della proprietà del bene, ma anche dei canoni derivanti dalla locazione finanziaria.
La tesi quindi del contratto unitario plurilaterale, fu ben presto abbandonata dalla giurisprudenza, così iniziandosi a ricostruire, in accordo anche con la migliore dottrina, la struttura del contratto di leasing, come ipotesi di collegamento negoziale, considerando, dunque, l’operazione di leasing finanziario come formata da due contratti collegati tra loro, quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura.
In questo ordine di idee, si è pertanto fatto ricorso alla disposizione di cui all’art. 1705 comma 2 c.c., laddove il mandante è l’utilizzatore, il mandatario è il lessor concedente mentre il terzo è il fornitore, tale da consentire l’attribuzione al mandante, l’utilizzatore, del diritto in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo la conclusione dell’affare, alla condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario, il lessor, in base al contratto concluso; così potendo il mandante esercitare nei confronti del terzo, le azioni derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenerne l’adempimento o il risarcimento del danno in caso di inadempimento.
Per effetto di detta evoluzione giurisprudenziale (cfr. per tutte Cass. 17145/06 – Cass. 17767/05 e Cass. 19657/04), si ammetteva, dunque, che l’utilizzatore potesse agire contro il fornitore per l’adempimento o per il risarcimento, ma si escludeva categoricamente la facoltà di agire anche per la risoluzione, tenuto conto che alla predetta azione sarebbero conseguiti necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell’obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro derivante dall’operazione di finanziamento.
La soluzione alla complessa questione sottoposta alla Sezione Unite della Suprema Corte, è stata quindi così esposta: tra il contratto di leasing finanziario concluso tra lessor e lessee e quello di fornitura, concluso tra lessor e fornitore allo scopo, nota quest’ultimo, di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica una ipotesi di collegamento negoziale, in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto mentre, in mancanza di una espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione, o di riduzione del prezzo del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente, solo ed esclusivamente in presenza di una specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga trasferita dal concedente la propria posizione sostanziale.
Ovviamente, l’intervento delle Sezioni Unite, non poteva non destare, tra gli operatori giuridici, ampia preoccupazione in ordine alla possibilità per l’utilizzatore, in assenza di clausole contrattuali che gli trasferissero la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura, di fruire di adeguata tutela, nell’inerzia del concedente.
In merito al quesito su quali siano i rimedi esperibili dall’utilizzatore in ipotesi di vizi della cosa (oggetto sia del contratto di leasing, sia del contratto di fornitura), la Suprema Corte ha affermato che occorre distinguere l’ipotesi in cui i vizi siano emersi prima della consegna, rifiutata dall’utilizzatore, rispetto alla ipotesi in cui i vizi siano emersi successivamente alla consegna, perché nascosti o taciuti in malafede dal fornitore: nel primo caso, assimilato a quello della mancata consegna, riconoscendosi al lessor il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, in applicazione del principio di buona fede, e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo; nel secondo caso, invece, riservandosi all’utilizzatore la azione diretta verso il fornitore per la eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al primo caso; in ogni ipotesi ed infine, riconoscendosi all’utilizzatore il potere di agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati dal concedente.
In conclusione, anche sotto il profilo squisitamente processuale, la sentenza in esame è di assoluto stimolo per gli operatori del settore; non possono cioè essere trascurate o tralasciate le vicende legate ai rapporti tra utilizzatore e fornitore dei beni, laddove il primo contesti la esistenza di vizi della cosa concessa in leasing, prima o dopo la sottoscrizione del verbale di consegna.
Scompare sicuramente il richiamo oramai anacronistico all’istituto del litisconsorzio necessario, tale da coinvolgere tutti i protagonisti dei distinti rapporti, quello di compravendita e quello di locazione finanziaria, collegati fra loro, nelle ipotesi di contenzioso giudiziale, ma si afferma invece il principio di buona fede nell’esecuzione del rapporto, oltre che il concorso del creditore atto ad evitare l’aggravamento del danno, al cui rispetto gli stessi protagonisti sono chiamati.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno