È legittimo il contratto di leasing nautico che preveda un maxicanone iniziale pari al 50% del valore dell’imbarcazione ed un prezzo di riscatto pari allo 0,1% del valore dell’imbarcazione e non vi è alcuna anomalia per ritenere una simulazione di contratto di prestazione di servizi (locazione finanziaria) in luogo di un contratto di vendita dell’imbarcazione con un divergente regime fiscale.
Il versamento del c.d. maxicanone iniziale è funzionale all’opportunità di limitare il rischio finanziario in capo alla società di leasing derivante dalla stipulazione del contratto di leasing finanziario nautico.
Il basso prezzo del riscatto evidenzia che i canoni pagati al concedente dall’utilizzatore siano effettivamente tali da coprire quasi interamente il costo finanziario dell’operazione, corrispondendo ciò ad uno degli elementi di garanzia dell’investimento da parte della società di leasing.
Il contratto va qualificato quale leasing finanziario e, quindi, non alla stregua di compravendita (ancorché in forza di negozio simulato), anche in ragione della normativa Eurounitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia, che ha escluso una condotta di “abuso del diritto”.
E’ da valorizzare in capo al contribuente l’interesse economico proprio del concedente leasing finanziario [quale effettivamente era la società contribuente] e quindi l’assenza del mero scopo di ottenere un risparmio fiscale.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, Pres. Virgilio – Rel. Antezza, con la sentenza n. 9591 del 05.04.2019.
La vicenda è stata originata dalla notifica di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società esercente attività di leasing finanziario, con il quale fu rettificata la dichiarazione IVA presentata per l’anno 2004.
L’ Agenzia delle Entrate rilevò, in particolare, che il contratto avente ad oggetto leasing finanziario nautico, presentasse delle anomalie tali da far propendere per una sostanziale simulazione di contratto di prestazione di servizi (locazione finanziaria), in luogo di un contratto di vendita dell’imbarcazione, e conseguente applicazione (indebita) della relativa IVA (forfetizzata) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 7, comma 4, lett. f), (nella sua formulazione, ratione temporis applicabile, dopo le modifiche apportate dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 46).
L’Amministrazione contestò, quindi, al contribuente di aver sostanzialmente “abusato” dello strumento contrattuale del leasing finanziario nautico, caratterizzandolo con “particolarità anomale” anche in forza di un collegamento negoziale con il contratto intercorrente tra l’utilizzatore ed il fornitore, al fine di beneficiare dello speciale regime dell’IVA, in luogo del diverso ordinario regime dell’IVA sulle cessioni che, invece, si sarebbe dovuto applicare in forza del contratto realmente concluso ed avente ad oggetto la compravendita dell’imbarcazione.
Tra i principali elementi di anomalia che, a detta dell’Amministrazione finanziaria, si sarebbero posti alla base della tesi di cui innanzi vi era l’entità del maxicanone iniziale. Essa non risultava correlata alla logica tipica del leasing finanziario bensì all’importo in precedenza corrisposto dall’utilizzatore (futuro) al fornitore (futuro), considerante anche permuta di altro natante, e poi, in seguito alla stipulazione del leasing, riportato (il detto anticipo al fornitore) dalla società di leasing in compensazione quale canone iniziale.
Il contribuente presentò, prima, deduzioni scritte all’Agenzia delle Entrate che confutavano la tesi della simulazione connotata dal comportamento abusivo prospettato dall’Amministrazione, e, poi, ricorso al Giudice tributario, accolto dalla CTP con sentenza confermata in appello.
La sentenza di primo grado fu appellata dall’Agenzia delle Entrate che sostanzialmente ripropose quanto prospettato in sede di avviso di accertamento nonché in primo grado.
La CTR rigettò l’appello dell’Amministrazione, confermando la statuizione di primo grado, ritenendo correttamente applicata la disciplina in materia d’IVA di cui al citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. f) (ratione temporis applicabile) e non conferenti le prospettazioni dell’A.E. circa gli asseriti elementi di anomalia dei contratti di leasing finanziario che, a detta dell’A.E. avrebbero dovuto far propendere per una simulazione contrattuale volta al mero ottenimento dei vantaggi fiscali di cui innanzi.
La sentenza della CTR è stata oggetto di ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
La Corte di Cassazione ha, sostanzialmente, confermato il dictum della CTR che ha correttamente ritenuto che il versamento del c.d. maxicanone iniziale, nella specie corrispondente al 50% del prezzo dell’imbarcazione, fosse “funzionale all’opportunità di limitare il rischio finanziario in capo alla società di leasing” derivante dalla stipulazione del contratto di leasing finanziario nautico.
Gli Ermellini hanno, altresì, ritenuto condivisibile il fatto che il basso prezzo del riscatto (nella specie comunque avvenuto al termine della durata del contratto e non in via anticipata), evidenziasse che i canoni pagati al concedente dall’utilizzatore erano tali da coprire quasi interamente il costo finanziario dell’operazione, corrispondendo ciò ad uno degli elementi di garanzia dell’investimento da parte della società di leasing.
I giudici di legittimità hanno rappresentato che il prezzo del riscatto non fosse nella specie interpretabile quale indizio di una carenza della funzione finanziaria del contratto, né come indizio di una anomalia dell’intera pattuizione contrattuale. Pertanto, il collegio ha ritenuto che il contratto fosse da considerare quale contratto di leasing nautico e non sussistente alcuna forma di abuso del diritto.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso con condanna al pagamento delle spese.
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