Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
Non è necessario un atto stragiudiziale per avvalersi della clausola risolutiva espressa, potendo tale volontà essere manifestata con la instaurazione del giudizio.
Questi i principi ricavabili dall’ordinanza del Tribunale di Brescia, dott.ssa Elena Fondrieschi, pubblicata in data 8 novembre 2016.
IL CASO
Nel caso di specie, con processo sommario di cognizione, parte ricorrente chiedeva la condanna della resistente al rilascio dell’immobile, causa la intervenuta risoluzione di un contratto di locazione finanziaria, deducendo che il contratto si era risolto, ex art 1456 cc, per inadempimento della società utilizzatrice nel pagamento dei canoni, in forza della clausola risolutiva espressa fatta valere con invio di lettera raccomandata, ribadita con la notifica del ricorso.
Concludeva che con la risoluzione del contratto si era determinato l’obbligo di rilascio da parte della utilizzatrice e chiedeva la condanna al rilascio immediato a favore della ricorrente dell’immobile oggetto del contratto.
Concludeva quindi, in via principale, per l’accertamento e la declaratoria della intervenuta risoluzione ed, in via subordinata, per la pronuncia comunque della risoluzione contrattuale, anche ai sensi dell’art. 1453 cc.
La ricostruzione dei fatti è apparsa pacifica al Magistrato designato alla trattazione sicchè, non ritenendo necessario alcun ulteriore approfondimento istruttorio, né sussistenti ragioni per la conversione del rito ex art. 702 ter comma 3 c.p.c., preso atto che era documentalmente provata la esistenza, all’interno del dettato contrattuale di riferimento, della predetta clausola risolutiva, la cui facoltà di esercizio era riservata alla creditrice con apposita dichiarazione a mezzo lettera raccomandata a.r., ha accolto integralmente il ricorso.
Il giudice di Brescia, nella parte motiva, si è soffermato sull’istituto della clausola risolutiva espressa, richiamando giurisprudenza di legittimità giusta la quale non è necessario un atto stragiudiziale per avvalersi della clausola in commento, potendo tale volontà essere manifestata con la instaurazione del giudizio. Tale principio applicandosi laddove al contraente viene attribuito il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte, senza doverne provare l’importanza della risoluzione (che pertanto non può essere pronunciata d’ufficio), ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere, con manifestazione volontaria recettizia; detta manifestazione di volontà, potendo essere resa in ogni modo idoneo, anche implicito, purchè inequivocabile; in particolare, potendo essere contenuta anche in un atto giudiziale, senza che ne sia in tal senso necessaria la preventiva formulazione in via stragiudiziale (Cass. n. 167/05).
IL COMMENTO
Il creditore, anche dopo aver promosso il giudizio per ottenere l’adempimento del contratto, può, in corso di causa, dichiarare che intende valersi della clausola risolutiva espressa, trattandosi di facoltà riconducibile allo “ius variandi” ammesso in generale dall’art. 1453, secondo comma, cod. civ.
La decisione in commento compendia una serie di principi che coinvolgono l’istituto della clausola risolutiva espressa, nella sua interezza. Detta clausola, giova precisarlo, non opera automaticamente per effetto dell’inadempimento, ma richiede che con l’inadempimento in atto, concorra la dichiarazione della parte che intende avvalersene, la quale è titolare di un diritto potestativo; tale dichiarazione, come fatto costitutivo della risoluzione del negozio, deve essere diretta dal soggetto adempiente a quello inadempiente.
L’operatività della clausola risolutiva espressa è condizionata necessariamente dall’emissione della dichiarazione della parte di volersene avvalere, la quale è indispensabile non soltanto per determinare l’effetto finale e principale della risoluzione di diritto del rapporto sostanziale, ma anche per produrre l’altro effetto di precludere al giudice ogni valutazione circa l’entità dell’inadempimento; l’esercizio di tale diritto, in mancanza di una previsione normativa in tal senso, non è soggetto a decadenza per decorso del tempo, potendo essere manifestata la volontà di avvalersi della clausola risolutiva per la prima volta in sede giudiziaria, entro il termine decennale di prescrizione.
Da ciò consegue che se il contraente, a cui favore la clausola risolutiva espressa è stipulata, si comporta in modo contrastante con l’intenzione di avvalersene, viene ad essere escluso l’effetto automatico della clausola stessa; in buona sostanza necessitando che la volontà di volersene avvalere, possa essere manifestata con ogni valido modo idoneo e anche in modo implicito, purché in maniera inequivocabile.
Nella esperienza oltre che nella prassi operativa, la comminatoria della risoluzione contrattuale viene solitamente e direttamente inflitta dalla parte interessata, pena la improduttività degli effetti giuridici suoi propri, ma i giudici della legge hanno in più occasioni statuito che detta dichiarazione possa validamente essere promanata anche da persona all’uopo investita da mandato speciale; (cfr. Cass. 11 maggio 1973 n. 1275, Cass. 24 luglio 1971 n. 2460, la quale espressamente riconosce l’idoneità dell’atto di citazione a concretare gli estremi della dichiarazione di volersi avvalere della clausola); ed ancora sul punto Cass. 4 dicembre 1971 n. 3491, la quale afferma che la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., ben può essere contenuta nell’atto di citazione, con la conseguenza che quando tale clausola venga invocata dal convenuto, la medesima ben può essere dedotta nella comparsa di risposta senza che la proponibilità, nel processo, della domanda di risoluzione, sia condizionata dalla preventiva dichiarazione stragiudiziale di volersi avvalere della clausola.
L’unica differenza fra le due ipotesi (risoluzione per intenderci in sede stragiudiziale e risoluzione contenuta nel primo scritto introduttivo del processo e/o nella prima risposta), sarà bene ricordarlo, consiste nel fatto che nella seconda ipotesi, se la domanda è fondata, la risoluzione retroagisce al momento della domanda e non anche ad un momento anteriore, pur non negando che essa, ancorché formi oggetto di pronuncia del giudice, sia pur sempre una pronuncia di risoluzione di diritto del contratto, oltre che intendendosi verificata, causa il mancato adempimento dell’obbligazione specificamente indicata nella clausola risolutiva espressa; Cass. 24 settembre 1981 n. 5175, sostiene che l’azione di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c., tendendo ad una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell’inadempimento di una delle parti, previsto come determinante per la sorte del rapporto, ed in conseguenza della esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, ha presupposti, caratteri e natura sostanzialmente diversi dall’azione ordinaria di risoluzione, ex art. 1453 c.c., che tende ad una pronuncia costitutiva, previo l’accertamento, ad opera del giudice, della gravità dell’inadempimento, con la conseguenza che una delle due domande sia proposta per la prima volta in grado d’appello, essa deve considerarsi nuova, ai fini di cui all’art. 345 c.p.c.
Gioverà infine evidenziare che, ovviamente, la previsione all’interno di un negozio giuridico, della clausola risolutiva espressa, non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice (cfr. Cass. 11282/98 – Cass. 1905/03).
Nella prassi e quindi squisitamente operativa, con il conforto della giurisprudenza di legittimità, ben può essere superato l’ostacolo allorquando non rintracciabile né diversamente acquisibile la prova documentale ad oggetto una comminata risoluzione, nella forma convenuta della lettera raccomandata A/R, attraverso 2 distinte soluzioni:
1. la prima, avvalendosi della clausola risolutiva lo stesso rappresentante e difensore della parte in giudizio, munito dei poteri ad acta, seppure nella consapevolezza che gli effetti della risoluzione giudiziale retroagiranno alla data della domanda;
2. la seconda, invocando la parte in giudizio e comunque, la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., sussistendone i presupposti.
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