Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA:
Non è invocabile la disciplina di tutela del consumatore, in difetto del requisito soggettivo di applicabilità della stessa, poiché la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore, ai fini della individuazione del soggetto che deve rivestire la qualità di consumatore.
Questi i principi come ricavabili dalla sentenza del Tribunale di Roma, Giudice Dott. Vittorio Carlomagno n. 3138 resa in data 12 febbraio 2018.
IL CASO:
Il decreto ingiuntivo opposto, recante la ingiunzione al pagamento quale corrispettivo di undici contratti di locazione finanziaria stipulati da una società poi successivamente fallita, era stato emesso nei confronti dei garanti fideiussori del debitore principale, nei limiti delle rispettive fideiussioni.
Gli opponenti deducevano il proprio difetto di legittimazione passiva, in virtù del subentro nel contratto di leasing di altra società, quale cessionaria del ramo di azienda della asserita cedente; deducevano altresì il difetto di prova del credito, assumendo non potersi reputare prova idonea, l’estratto conto allegato al ricorso monitorio; deducevano ed ancora la applicazione di interessi superiori al tasso soglia, la non dovutezza degli interessi maturati in epoca successiva il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo, come proposta dal lessee ; eccepivano la mancata detrazione del valore dei beni, restituiti dal fallimento della stessa conduttrice, alla società di leasing, il carattere vessatorio e la contrarietà all’art. 2 L. 287/90, anche con riferimento al provv. AGCOM del 27.11.03 n. 12400, delle clausole delle fideiussioni; in particolare: 1) la deroga dell’art. 1957 c.c.; 2) la previsione del pagamento a semplice richiesta; 3) la deroga dell’art. 1939 c.c.; 4) la possibilità di sollevare, anche nell’ipotesi di qualificazione della garanzia come garanzia autonoma, la exceptio doli e di eccepire la nullità del contratto, per violazione di norme imperative ed illiceità della causa; 5) la violazione del dovere di buona fede per assenza di informazioni sull’andamento del rapporto garantito; 6) l’assenza di preventiva messa in mora e diffida ad adempiere nei confronti di uno dei garanti.
Parte opposta, deduceva invece la totale infondatezza della opposizione.
Il giudice, dichiarato provvisoriamente esecutivo il decreto ingiuntivo, concessi alle parti i termini richiesti ex art.183 VI° comma c.p.c., disattese le richieste istruttorie proposte dagli opponenti, rinviava indi la causa per la precisazione delle conclusioni.
Orbene nella parte motiva della sentenza oggi in commento, il Tribunale di Roma ha osservato quanto segue:
L’eccezione di difetto di legittimazione passiva è stata ritenuta palesemente infondata, alla luce dell’art. 1263 primo comma c.c. e dell’assenza nell’atto di coobbligazione, di qualunque dichiarazione idonea a limitarne gli effetti in caso di trasferimento della posizione contrattuale, anche a prescindere dalla contraria espressa previsione negoziale richiamata da parte opposta.
La prova del credito si desumeva dai contratti di leasing, dalle fideiussioni e dall’estratto conto allegato al ricorso monitorio. L’estratto conto rilevando non per la sua efficacia probatoria, ma quale mero prospetto riassuntivo delle rate che parte ricorrente assumeva insolute, gravando sul debitore la prova dell’adempimento, e delle ulteriori voci richieste dalla concedente, sicché le contestazioni che venivano formulate con riferimento all’art. 50 T.U.B. ed all’efficacia probatoria dell’estratto conto in materia di contenzioso bancario, si palesavano inconferenti, ed era onere degli opponenti formulare contestazioni specifiche, sulla conformità dell’estratto conto alla disciplina negoziale e sulla corretta quantificazione delle voci ivi indicate.
La contestazione relativa all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia ex L. 108/06, è stata ritenuta formulata in modo del tutto generico, senza specifico riferimento ai tassi di interesse concordati per iscritto, né agli oneri effettivamente applicati, in correlazione all’erogazione del credito.
L’art 55, primo comma, della legge fallimentare (RD 16 marzo 1942, n 267), richiamato dall’art. 169 con riferimento alla presentazione della domanda di concordato, stabilendo che la dichiarazione di fallimento, sospende agli effetti del concorso in sede fallimentare, la maturazione di tutti gli interessi per i crediti non garantiti da ipoteca, pegno o privilegio. La disposizione, già in base al suo tenore letterale, ritenendosi epperò inapplicabile al credito nei confronti del fideiussore, in quanto non soggetto al concorso con i creditori del debitore principale.
Ancora, il Tribunale di Roma osservava che in tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ai sensi dell’art. 72-quater della legge fall. (introdotto dall’art. 59 del d.lgs. n. 5 del 2006 e modificato dall’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 169 del 2007), il concedente, in caso di fallimento dell’utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale, non può richiedere subito anche il pagamento dei canoni residui, che l’utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell’ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell’utilizzazione del bene, verrebbe meno l’esigibilità di tale credito, ma ha esclusivamente diritto alla restituzione immediata del bene ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato a valori di mercato il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso, secondo la nuova regolazione degli interessi fra le parti, direttamente fissata dalla legge (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17577 del 03/09/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4862 del 01/03/2010). Negli stessi limiti, ha ritenuto il Giudice, dovevano indi considerarsi obbligati, i fideiussori.
Da ciò conseguendo che il credito relativo ad n. 2 contratti di leasing, rispetto agli undici portati all’esame, non era esigibile, giacchè il concedente pacificamente aveva ottenuto dalla procedura fallimentare la restituzione dei beni e non risultava avere proceduto alla loro rivendita o riallocazione. Sotto questo profilo pertanto, ritenendo ma solo parzialmente fondata, l’opposizione, da cui è derivata una non sostanziale detrazione di una parte del credito, dal credito totale vantato dalla opposta società di leasing.
Per ciò che concerne la validità delle fideiussioni prestate dagli opponenti, il Giudice ha rilevato che le stesse prevedevano una espressa deroga all’art. 1957 c.c. e che la stessa doveva ritenersi pienamente valida, non avendo la disposizione carattere imperativo (per tutte Sez. 3, Sentenza n. 84 del 08/01/2010 e Sez. 1, Sentenza n. 10574 del 04/07/2003), e non richiedendo la doppia sottoscrizione conforme all’art. 1341 comma 2 c.c. (per tutte Sez. 3, Sentenza n. 9695 del 03/05/2011 e Sez. 3, Sentenza n. 9245 del 18/04/2007) peraltro presente nei documenti prodotti in atti; né era invocabile la disciplina di tutela del consumatore, in difetto del requisito soggettivo di applicabilità della stessa, poiché la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore, ai fini della individuazione del soggetto che deve rivestire la qualità di consumatore (Sez. 1, Ordinanza n. 10107 del 13/05/2005, Sez. 3, Sentenza n. 25212 del 29/11/2011).
La denuncia della vessatorietà della clausola di pagamento a prima richiesta e della deroga all’art. 1939 c.c. è inoltre apparsa al Giudice fine a sé stessa, non precisando gli opponenti quale incidenza la dedotta nullità o inefficacia, avrebbe avuto sulla sussistenza e sulla quantificazione del credito.
Ancora, gli opponenti non avevano specificato per quale ragione l’escussione della garanzia avrebbe avuto carattere abusivo, né sotto quale profilo i rapporti garantiti sarebbero stati invalidi, per illiceità della causa o per violazione di norme imperative.
La contestazione della violazione del dovere di buona fede per assenza di informazioni sull’andamento del rapporto garantito, è stata ritenuta inconferente, sostanziandosi il contratto di leasing in una operazione finanziaria unitaria, nella quale non sono neanche astrattamente ravvisabili – se non nell’ipotesi di modifica del piano finanziario – nuove concessioni di credito.
L’esigibilità del credito, non era subordinata alla preventiva costituzione in mora, tanto che anche in materia di clausola risolutiva espressa ed in materia di decadenza dal beneficio del termine, ha aggiunto il Magistrato, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta, di volersi avvalere dell’effetto risolutivo di diritto di cui all’art.1456 cod. civ. e la possibilità di esigere immediatamente la prestazione, non presuppongono una manifestazione di volontà precedente alla lite, potendo essere manifestate con lo stesso atto di citazione o col ricorso per ingiunzione (Sez. 2, Sentenza n. 24330 del 18/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 9275 del 04/05/2005). A più forte ragione, la preventiva costituzione in mora, non è stata ritenuta necessaria nei confronti del fideiussore, il quale è obbligato in virtù della semplice scadenza dell’obbligazione principale.
L’opposizione pertanto è stata ritenuta solo parzialmente fondata, con riferimento a quanto esposto in riferimento agli effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ed il decreto ingiuntivo è stato sostituito dal Tribunale di Roma, con una sentenza di condanna al pagamento somme. Applicato infine il principio della soccombenza alle spese di lite, nei confronti degli attori opponenti.
IL COMMENTO
Su questa stessa rivista, abbiamo già commentato il comma 138 della legge 124/17 (LEGGE SULLA CONCORRENZA), che ha tipizzato il contratto di locazione finanziaria; detta norma prevede che in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, ai sensi del precedente comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare di canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonchè le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua, il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore, quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene, è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore, a norma del periodo precedente.
Bene, la riflessione che è stata svolta sul punto, come ricavabile dalla lettera della norma in commento, ha focalizzato il diritto alla restituzione del bene come invocata dal concedente in conseguenza di una risoluzione contrattuale per inadempimento, da un lato, con il diritto di credito pieno, riservato al lessor nei confronti del lessee, anche all’esito della vendita o altra collocazione del bene recuperato post risoluzione contrattuale, dall’altro come diritto pieno di credito, rappresentato non solo dai canoni scaduti ed insoluti alla data della risoluzione, ma anche dei canoni a scadere, (seppure solo in linea capitale) e del prezzo pattuito per l’esercizio della opzione di acquisto; a detto diritto pieno di credito, aggiungendosi anche le spese anticipate tempo per tempo dal lessor, per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita.
In buona sostanza, fu esposto a parere di chi scrive, che l’obbligo di corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione dei beni, è obbligo che non può prescindere dalla preventiva verifica in merito alla soddisfazione integrale ed effettiva del credito, tutto maturato in favore del lessor creditore.
Sempre a commento della Legge 124/17, si osservò che il legislatore, al comma 140 dell’art. 1, aveva disposto che restano ferme le previsioni di cui all’art. 72 quater L.F., rendendo addirittura più garantista le procedure di vendita afferenti i rapporti in bonis, rispetto alle procedure di vendita previste all’art. 72 quater, con la integrazione inserita dall’art. 4 del D.Lgs 12.09.2007 n. 169.
Nel secondo caso infatti il legislatore del fallimento, dispose e soltanto che la vendita o altra collocazione del bene, avvenisse a valore di mercato e detta semplice espressione, ictu oculi, era molto meno complessa rispetto all’articolato iter previsto dal comma 139 dell’art. 1, con il pacchetto delle garanzie riservate all’utilizzatore, fino alla espressione di una preferenza vincolante ai fini della nomina di un operatore esperto.
Ci si chiedeva allora quale sarebbe stato lo scenario immaginabile nelle diverse sedi giudiziali, stante l’evidente differenza di contenuto, sulla materia della vendita o ricollocazione dei beni.
Con la sentenza oggi in commento, siamo in presenza di una interpretazione pressoché corretta, quanto ai rapporti tra comma 138 della legge 124/17 e articolo 72 quater della legge fallimentare.
Il Magistrato infatti ha esposto nella motivazione della sentenza, che in tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ai sensi dell’art. 72-quater della legge fall. (introdotto dall’art. 59 del d.lgs. n. 5 del 2006 e modificato dall’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 169 del 2007), il concedente, in caso di fallimento dell’utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale, non può richiedere subito anche il pagamento dei canoni residui, che l’utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell’ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell’utilizzazione del bene, verrebbe meno l’esigibilità di tale credito, ma ha esclusivamente diritto alla restituzione immediata del bene ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato a valori di mercato il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso, secondo la nuova regolazione degli interessi fra le parti, direttamente fissata dalla legge (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17577 del 03/09/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4862 del 01/03/2010). Negli stessi limiti, ha ritenuto quindi il Giudice, dovevano considerarsi obbligati, i fideiussori.
Il giudice ha citato la sentenza della Suprema Corte 4862/10 e nessuna citazione, ciò a parere di chi scrive, correttamente è stata svolta dallo stesso Magistrato, alla Sentenza n. 2538 del 9.2.2016, con la quale i giudici della legge avevano pressochè imposto al lessor, nella ipotesi di risoluzione anteriore al fallimento, la proposizione di una domanda di ammissione al passivo completa in tutte le sue richieste, nascenti dalla applicazione dell’art. 1526 c.c., con la previsione e quindi di dover restituire il lessor alla procedura tutti canoni versati dall’utilizzatore, dietro la riconsegna del bene alla società di leasing e con la possibilità di esigere, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1453 comma 1 c.c., la differenza tra l’intero corrispettivo contrattuale a carico dell’utilizzatore con il valore del bene, secondo i prezzi correnti al tempo della liquidazione. La legge 124/17 precludendo infatti, una volta per tutte, il richiamo al diverso istituto della vendita con riserva della proprietà di cui all’art. 1526 c.c., tale da non consentire più alcuna diversità di trattamento tra contratti di leasing risolti in epoca precedente alla apertura del concorso, rispetto ai contratti ancora in corso alla data del fallimento.
Nella fattispecie portata all’esame del Tribunale di Roma, il Giudice ha ritenuto che dovessero estendersi anche nei confronti dei garanti in bonis gli effetti del fallimento della obbligata principale, nella parte in cui trova applicazione il limite alla immediata esigibilità o meno, del credito portato dai canoni a scadere. Orbene, se da un lato, appare condivisibile il richiamo svolto dal Giudice in sentenza, al dictum della Suprema Corte con la pronuncia 4862/10, (in estensione automatica delle conseguenze del fallimento del lessee, ai garanti in bonis), dall’altro non può però sfuggire e non potrà dimenticarsi che il legislatore, con la nota novella, appare aver affermato la immediata esigibilità dell’intero credito maturato dal lessor nella ipotesi di risoluzione contrattuale, (comprensivo e quindi sia dello scaduto sia dello scadere), indipendentemente dagli esiti e dalle vicende legate alla rivendita e/o riallocazione dei beni. Possiamo quindi affermare che con la sentenza in commento:
A) viene correttamente dimenticata la pronuncia dei giudici della legge n. 2538/16;
B) viene correttamente estesa ai garanti in bonis, la previsione di cui alla sentenza sempre dei giudici della legge n. 4862/10;
C) trova auspicio la aspettativa che all’interno di fattispecie diverse, che esulino dalle declaratorie di fallimento degli obbligati principali, si consolidi il contenuto e la esatta interpretazione della Legge 124/17, in merito al quantum effettivamente esigibile nei confronti di tutti i coobbligati in bonis.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LEASING: PRIMO COMMENTO ALLA LEGGE 4.8.2017 N. 124 SU CONTRATTO DI LOCAZIONE FINANZIARIA
Il contratto di leasing viene ad assumere per la prima volta la connotazione di contratto tipico
Articolo Giuridico | 04.09.2017 |
ULTERIORI COMMENTI E RIFLESSIONI ALLA LEGGE 4.08.2017 N. 124
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