Con la legge 4.08.2017 n. 124, ai commi dal 136 al 140 dell’art. 1, è stata contenuta la disciplina generale sulla locazione finanziaria, evento quest’ultimo atteso evidentemente da anni, visto il lungo cammino talvolta tortuoso percorso dalla giurisprudenza di legittimità, nella materia in commento.
Il tratto distintivo più eclatante all’interno della prima vera fonte ufficiale di diritto comune nella materia del leasing, con la legge testè richiamata, è senz’altro rappresentato dalla connotazione di contratto tipico, il contratto di leasing, rispetto a quella atipicità storica che riponeva i principali ragionamenti sulla esatta qualificazione giuridica del rapporto, sul richiamo alla autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., oltre che sul richiamo alla nota convenzione UNIDROIT di Ottawa sul leasing internazionale del 26 maggio 1988, poi ratificata dallo Stato Italiano con la Legge n. 106 del 26 marzo 1999; fonte questa ultima citata il cui richiamo nelle fattispecie concrete portate all’esame dei giudici di merito, altro non era che richiamo per relationem, atto e soltanto ad individuare i tratti distintivi della locazione finanziaria nei rapporti tra concedente ed utilizzatore, sulla tutela dell’utilizzatore nella ipotesi di scioglimento del rapporto e/o risoluzione del rapporto per inadempimento del lessee, oltre che in astratto sugli obblighi di cooperazione del concedente atti ad evitare l’aggravamento dei danni come derivanti da una risoluzione contrattuale, ex art. 1227 c.c..
Una terza fonte si aggiungeva a partire dall’anno 2006 nella sede speciale del diritto fallimentare, con la introduzione e quindi dell’art. 72 quater L.F. nei rapporti leasing-fallimento e 169 bis L.F. nei rapporti leasing-concordato preventivo, ma il problema relativo ad una disciplina univoca del contratto di locazione finanziaria, non era mai stato comunque risolto, né dal legislatore, né ed in particolare dai giudici della legge, dato il richiamo e proprio alla specialità da un lato della legge fallimentare rispetto alle norme di diritto comune, oltre che dal richiamo, dall’altro, a fonti quali la già citata convenzione Unidroit di Ottawa, che solo a titolo argomentativo potevano essere motivo di illustrazione, con la esposizione delle proprie difese in stretto diritto.
Orbene, passiamo in rassegna le nuove norme:
Il comma 136 dell’art. 1 della legge 124/17, intende per locazione finanziaria il contratto con il quale la Banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’art. 106 del T.U. di cui al D.LGS 1.9.1993 n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo.
Osserviamo, con la lettura del comma 136 in commento, che il contratto di locazione finanziaria viene inquadrato una volta per tutte quale contratto di durata, il cui accesso, ex latu creditoris, è esclusivamente riservato ad una banca o agli intermediari finanziari di cui all’art. 106 T.U. Legge Bancaria; si enfatizza l’obbligo da parte del lessor di acquistare o far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che assume tutti i rischi sia in merito alla scelta del bene di proprio interesse come della scelta del fornitore, sia delle modalità con le quali lo stesso bene dovrà venire ad esistenza (come è tipico nel c.d. leasing ad aedificandum).
Nell’ultimo paragrafo dello stesso comma 136 si enfatizza invece il diritto per l’utilizzatore di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito, con l’obbligo di restituire lo stesso bene in caso di mancato esercizio del diritto.
Per decenni la giurisprudenza di merito si è posta il problema relativo all’esercizio della opzione di riscatto del bene, da parte del lessee, quale evento necessitato o meno, riconducendo parte della dottrina la natura non necessitata dell’esercizio della opzione, alla natura finanziaria e di godimento del contratto di leasing, di contra la tesi esposta da altra parte della dottrina, che intravedeva nella natura di atto pressochè necessitato, i crismi della locazione finanziaria traslativa, tale da consentire il richiamo, per relationem, all’art. 1526 c.c., disciplinante però altra fattispecie tipica, ossia il contratto di vendita con riserva della proprietà.
Ora, con la previsione univoca riservata all’utilizzatore di esercitare il diritto di acquisto del bene ad un prezzo prestabilito, viene inesorabilmente a cadere ogni indagine psicologica ed ex ante, in merito alla effettiva intenzione delle parti alla data di conclusione dell’accordo;
Il comma 137 dispone invece che costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria.
La norma in commento, in buona sostanza, dispone in merito alla gravità dell’inadempimento, con la indicazione dei diversi minima, afferenti il primo di leasing immobiliare, il secondo tutti gli altri contratti di locazione finanziaria, oltre i quali trova applicazione l’istituto dell’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie; l’inciso, anche non consecutivi è senz’altro a vantaggio della parte concedente, tale da evitare strumentali pagamenti a singhiozzo da parte dell’utilizzatore, nel corso del rapporto; a parere di chi scrive epperò, la stessa norma appare dover fare immediatamente i conti con la autonomia delle parti ed in particolare su quella prassi assolutamente diffusa all’interno dei dettati contrattuali di riferimento applicati dalla maggior parte delle società di locazione finanziaria italiane, di circoscrivere il concetto di grave inadempimento, anche alle ipotesi in cui il mancato pagamento dei canoni mensili e/o dei canoni trimestrali sia inferiore al numero di sei, o di due, o di quattro, per tutti gli altri contratti.
La giurisprudenza di merito ha costantemente salvaguardato il predetto principio di autonomia contrattuale, a favore del lessor, anche allorquando l’inadempimento, tale da comportare l’uso della clausola risolutiva espressa, era limitato ad un solo canone scaduto ed insoluto; di più enfatizzando e sempre la giurisprudenza di merito la circostanza che ove effettivamente contrattualizzato il concetto di inadempimento anche in chiave numerica, nessuna indagine potesse essere riservata al giudice di merito, in concorso con le clausole di cui all’art. 1456 c.c., ad oggetto la gravità o meno dell’inadempimento dell’utilizzatore.
Sul piano pratico appare pertanto chiara la opportunità di rilettura da parte delle società di leasing dei propri regolamenti di interessi, con le debite verifiche in merito alla prevalenza o meno, rispetto ai dettati contrattuali già in vigore, di una norma di diritto comune come contenuta all’interno della legge 124/17, che dando una definizione esatta di gravità dell’inadempimento, precluderebbe ogni modifica in peius, nei confronti dello stesso utilizzatore;
- con il comma 138, si prevede invece che in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare di canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonchè le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente.
Nulla quaestio, prima facie, con la lettura della norma in commento, in merito al diritto alla restituzione del bene come invocata dal concedente in conseguenza di una risoluzione contrattuale per inadempimento, così venendo meno una volta per tutti, comportamenti di evidente illegittima natura ritentiva, che spesso si sono visti discutere all’interno delle aule di merito, come posti in essere dagli utilizzatori, in via di eccezione, nella ipotesi di contestazione delle comminate risoluzioni. Viene affermato e cioè una volta per tutte, il diritto di proprietà, pieno, del bene o dei beni in favore del lessor, così come viene affermato, una volta per tutte, il diritto di credito pieno riservato al lessor nei confronti del lessee, anche all’esito della vendita o altra collocazione del bene recuperato post risoluzione contrattuale e rappresentato, detto diritto pieno di credito, non solo dai canoni scaduti ed insoluti alla data della risoluzione, ma anche dei canoni a scadere, (seppure solo in linea capitale) e del prezzo pattuito per l’esercizio della opzione di acquisto; a detto diritto pieno di credito, aggiungendosi anche le spese anticipate tempo per tempo dal lessor per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita.
In buona sostanza l’obbligo di corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione dei beni, è obbligo che non può prescindere dalla preventiva verifica in merito alla soddisfazione integrale ed effettiva del credito, tutto maturato in favore del lessor.
Ancora dalla disamina della norma in commento, venendo a cadere inesorabilmente qualunque richiamo all’art. 1526 c.c., con le distinzioni già più volte commentate anche su questa rivista fra i commi 1 e 2 della norma testè citata, con la conseguenza che nessun richiamo potrà essere più operato su altro contratto tipico nominato, la vendita con riserva della proprietà, che per decenni ha costituito il punto centrale delle decisioni di merito oltre che di legittimità, una volta qualificato giuridicamente il rapporto all’interno di una specie ( il leasing finanziario di godimento), rispetto all’altra sub specie di leasing finanziario traslativo.
Sempre a parere di chi scrive, con la introduzione della legge 124/17, sarà sempre più improbabile se non impossibile il richiamo, da parte dei giudici di merito, all’istituto della riduzione della penale contrattuale, ex art. 1384 c.c., specie nella ipotesi in cui, stante un regolamento di interessi, trovi applicazione il comma 2 rispetto al comma 1 dell’art. 1526 c.c. che, come abbiamo visto, andrà del tutto dimenticato nella esperienza giuridica della locazione finanziaria.
Nulla è più previsto dover essere riconosciuto al concedente a titolo di penale; nulla potrà essere più deciso dai giudici di merito quanto alla riduzione della stessa penale, nel senso che una penale, nel rigore della lettera, non esiste più, ora che il contratto di locazione finanziaria è stato codificato.
In questi termini ed anche alla luce della predetta argomentazione, dovranno quindi opportunamente essere rivisti i dettati contrattuali di riferimento standard, applicati dalle società di leasing nazionali;
- Il comma 139 dell’art. 1 dispone invece che ai fini di cui al comma 138, il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati.
Quando non è possibile fare riferimento di predetti valori, procede alla vendita su una base della stima effettuata da un perito scelto dalle parti do comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro 10 giorni dal ricevimento della predetta comunicazione.
Il perito è indipendente quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio.
Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore;
- il comma 140 dell’art. 1 dispone invece che restano ferme le previsioni di cui all’articolo 72 quater del Regio Decreto 16.03.1942 n. 267 e si applica, in caso di immobili da adibire ad abitazione principale, l’art. 1, commi 76, 77, 78, 79, 80 e 81, della Legge 28.12.2015 n. 208.
Opportuno, ancora a parere di chi scrive, è il richiamo congiunto ai commi 139 e 140 dell’art. 1 della Legge 124/17, nella parte in cui viene espressamente disciplinata la modalità di vendita dei beni all’esito delle comminate risoluzioni contrattuali, con un meccanismo del tutto garantista in favore dell’utilizzatore.
Negli anni passati, era nella esperienza pratica, diverse società di locazione finanziaria nazionali erano già ispirate, all’interno dei dettati contrattuali di riferimento standard, agli obblighi di informativa dell’utilizzatore, nella ipotesi di vendita dei beni.
Alcuni regolamenti di interessi prevedevano addirittura l’obbligo da parte del lessor di segnalare all’utilizzatore quali offerte avesse ricevuto per l’acquisto dei beni recuperati, il quantum delle stesse offerte, riconoscendo all’interno della stessa informativa all’utilizzatore la facoltà di ricercare eventuali acquirenti che potessero offrire importi maggiori rispetto a quelli proposti dagli aspiranti acquirenti alla parte creditrice, sempre in linea con il principio mutuato dalla lettera dell’art. 1227 c.c., di cooperazione da parte del lessor al fine di evitare l’aggravamento del danno, con l’invio e da ultimo, sempre da parte del lessor all’utilizzatore, anche di un telegramma, che preannunciava l’imminente vendita ad un soggetto terzo del bene, con l’importo che sarebbe stato indi ricavato.
La circostanza che il legislatore al comma 140 dell’art. 1 abbia disposto che restano ferme le previsioni di cui all’art. 72 quater L.F., rende addirittura più garantista, stando così le cose, le procedure di vendita afferenti i rapporti in bonis, rispetto alle procedure di vendita previste all’art. 72 quater, con la integrazione inserita dall’art. 4 del D.Lgs 12.09.2007 n. 169.
Nel secondo caso infatti il legislatore del fallimento dispose e soltanto che la vendita o altra collocazione del bene, avvenisse a valore di mercato e detta semplice espressione, ictu oculi, è molto meno complessa rispetto all’articolato iter previsto dal comma 139 dell’art. 1, con il pacchetto delle garanzie riservate all’utilizzatore, fino alla espressione di una preferenza vincolante ai fini della nomina di un operatore esperto.
Quale sarà ora lo scenario immaginabile nelle diverse sedi giudiziali, stante l’evidente differenza di contenuto sulla materia della vendita o ricollocazione dei beni?
Quanto disposto dal comma 139 dell’art. 1 della Legge 124/17, sarà applicabile o meno nei rapporti con le procedure concorsuali?
Interverranno o meno le curatele fallimentari, quali rappresentanti dell’impresa, a far valere le maggiori garanzie in favore dell’utilizzatore come previste al comma 139, rispetto alla espressione sicura, ma senz’altro meno articolata, contenuta all’interno dell’art. 72 quater L.F.?
Solo con l’esperienza pratica si potrà verificare se le norme di diritto comune, in questo caso, prevarranno sulle norme speciali, giacché evidentemente più favorevoli al lessee.
Una ultima breve riflessione riguarda ed ancora proprio la previsione di fermezza di cui all’art. 72 quater L.F., da parte del legislatore con la legge in commento.
Sempre su questa Rivista furono commentate le n. 4 Sentenze fondamentali della Suprema Corte di Cassazione, che a parere di chi scrive avevano delineato i rapporti leasing-fallimento, rispetto ai rapporti oggetto di contenzioso nelle sedi di merito; in particolare evidenziando la nota Sentenza n. 2538 del 9.2.2016, con la quale i giudici della legge hanno pressochè imposto al lessor, nella ipotesi di risoluzione anteriore al fallimento, la proposizione di una domanda di ammissione al passivo completa in tutte le sue richieste, nascenti dalla applicazione dell’art. 1526 c.c., con la previsione e quindi di dover restituire il lessor alla procedura tutti canoni versati dall’utilizzatore, dietro la riconsegna del bene alla società di leasing e con la possibilità di esigere, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1453 comma 1 c.c., la differenza tra l’intero corrispettivo contrattuale a carico dell’utilizzatore con il valore del bene, secondo i prezzi correnti al tempo della liquidazione.
Senonché, lo abbiamo già visto, la legge 124/17 preclude, una volta per tutte, il richiamo al diverso istituto della vendita con riserva della proprietà di cui all’art. 1526 c.c.; in buona sostanza imponendosi a questo punto la necessità di una seria riflessione sul mantenimento o meno, come previsto da ultimo dai giudici della legge, di un differente trattamento ai contratti di leasing risolti in epoca precedente alla apertura del concorso, rispetto ai contratti ancora in corso alla data del fallimento.
Torna e cioè alla luce quanto già più volte esposto da parte della dottrina in merito all’art. 72 quater L.F., che ad avviso di molti consentiva ex sé la eliminazione di ogni discrimen tra le figure di leasing finanziario di godimento e leasing finanziario traslativo, dichiarando con l’avvento della norma speciale l’esistenza di un unico ed esclusivo tipo contrattuale, scevro da ogni indagine interpretativa del contenuto, esaltando esclusivamente la prevalente natura di finanziamento per l’impresa, quale connotazione fondamentale di esso negozio giuridico.
La sentenza n. 2538/16, in buona sostanza, appare perdere ogni utilità proprio con la introduzione della Legge 124/17, tale da consentire anche le prime riflessioni a questo punto, sull’irrituale richiamo all’art. 72 L.F..
La necessità di una prima immediata interpretazione autentica nei rapporti tra norme in diritto comune e legge speciale, appare indi indispensabile, con effetto immediato, onde evitare la reviviscenza di incertezze interpretative, che allo stato degli atti e delle novità oggi in commento, appaiono essere state brillantemente escluse.
Molto si scriverà ancora sull’argomento.
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