Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
La pronuncia di condanna cosiddetta conseguenziale, ope legis di immediata esecuzione, supera il limite del passaggio del giudicato, necessario, quanto alle declaratorie di solo e mero accertamento.
Questo il prinicpio espresso dall’ordinanza del Tribunale di Roma, Giudice Dott. Marco Cirillo resa in data 12 febbraio 2018.
IL CASO
La società di leasing proponeva ricorso nella forma di cui all’art. 702 bis cpc, assumendo che la parte utilizzatrice di beni immobili si era impegnata a corrispondere i canoni mensili per il godimento degli stessi e che stante l’inadempimento il cui importo quantificava in atti, si era vista costretta ad invocare la declaratoria di risoluzione del contratto, con la contestuale pronuncia al rilascio delle unità immobiliari. Orbene il Tribunale di Roma, con la pronuncia oggi in commento, ha rilevato:
- la regolarità in primis della notifica del ricorso nei confronti della parte resistente e lessee;
- la conferma in merito alla concessione in locazione finanziaria, delle unità immobiliari, come documentalmente provata dal lessor;
- la circostanza che siffatti immobili concessi in godimento erano di proprietà della ricorrente, come provato con l’acquisto versato in atti;
- lo status di persistente morosità della utilizzatrice alla data della risoluzione contrattuale, costituendo onere della medesima utilizzatrice provare di aver corrisposto effettivamente il quantum dovuto prima dell’evento risoluzione;
- che l’inadempimento fondava quindi l’invocata risoluzione di diritto della locazione finanziaria, che doveva essere dichiarata sulla scorta della pattuizione contrattuale, espressamente prevista dal regolamento di interessi nella ipotesi di mora nel pagamento dei corrispettivi, risultando pure formalizzata la raccomandata contenente la contestazione dell’inadempimento e l’intendimento del concedente di avvalersi della risoluzione stessa;
- dette condizioni, prevedendo la decadenza dal beneficio del termine e soprattutto l’immediato rilascio degli immobili.
Tanto premesso il Tribunale adito ha accertato l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione finanziaria, del 28/2/17, per inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del dettato contrattuale di riferimento, con la conseguenziale condanna della parte resistente, al rilascio, delle unità immobiliari, libere da persone e cose oltre che la condanna al pagamento delle spese e dei compensi di lite.
IL COMMENTO
In questa rivista, abbiamo già commentato la differenza sostanziale tra risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c, rispetto alla prima ipotesi di risoluzione ex art. 1453 c.c, evidenziando in particolare che l’unica differenza fra la ipotesi di risoluzione in sede stragiudiziale e risoluzione contenuta nel primo scritto introduttivo del processo e/o nella prima risposta, consiste nel fatto che nella seconda ipotesi, se la domanda è fondata, la risoluzione retroagisce al momento della domanda e non anche ad un momento anteriore; in buona sostanza richiamando i principi come espressi da Cass.24 settembre 1981 n. 5175, con le differenze che derivano dalla azione di risoluzione ai sensi dell’art. 1456 c.c., che tende ad una pronuncia dichiarativa a seguito dell’inadempimento di una delle parti, rispetto all’azione ordinaria di risoluzione, ex art. 1453 c.c., che tende ad una pronuncia costitutiva.
L’azione di risoluzione del contratto, ex articolo 1456 del Codice civile, tende quindi – e giova precisarlo anche in questa sede -, ad una pronunzia di mero accertamento della risoluzione di diritto già maturata in conseguenza dell’inadempimento, previsto come determinante per la sorte del rapporto, dalla clausola risolutiva espressa; ma, per il suo accoglimento, necessita anche della esplicita dichiarazione della parte adempiente, di volersene avvalere.
Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza 25743 del 2013, ribadito il principio secondo il quale l’azione di risoluzione del contratto ex articolo 1456 del Codice civile, tende a una pronuncia dichiarativa, giacchè implica l’accertamento dell’inadempienza, ha anche precisato che, come tale, non ha l’idoneità di una efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato della relativa decisione. Pertanto, fino al momento della definitività della sentenza di accertamento – che, in quanto tale, deve acquisire quel grado di stabilità che si identifica con il giudicato formale (articolo 324 del Codice di procedura civile), in funzione di quello sostanziale (articolo 2909 del codice civile), il rapporto contrattuale permane e con esso, nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, l’obbligo ad esempio del conduttore, di continuare a corrispondere il canone.
Orbene l’art. 282 cod. proc. civ., prevede che la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva fra le parti: in considerazione della stessa formulazione della norma che fa riferimento all’esecuzione, deve quindi escludersi che, al di fuori delle statuizioni di condanna consequenziali, le sentenze di accertamento (e quelle costitutive), possono avere efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato, essendo l’esecuzione riferibile soltanto a quelle sentenze (di condanna), suscettibili del procedimento disciplinato dal terzo libro del codice di procedura civile. Tale interpretazione trovando ulteriore conferma: a) nell’art. 283 cod. proc. civ., che, prevedendo espressamente la possibilità di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, necessariamente intende fare riferimento alle sentenze di condanna; b) nelle disposizioni di cui agli artt. 431 e 447 bis cod. proc. civ., che fanno riferimento alle sole ipotesi di condanna; c) nella regola generale dell’immutabilità dell’accertamento sancita dall’art. 2909 cod. civ., atteso che, in mancanza di una espressa previsione legislativa in senso contrario, tale norma non consente di attribuire efficacia a un accertamento che non sia ancora definitivo (sul punto civile, sez. II 26/03/2009 n. 7369).
Con la ordinanza come emessa dal Tribunale di Roma e però, siamo in presenza di una pronuncia di accertamento da un lato, ma ed anche di una pronuncia di condanna al rilascio di immobili, dall’altro, quale conseguenza della prima. La decisione in commento, stando così le cose, annoverandosi fra quelle ipotesi di scuola, ove la pronuncia di condanna cosiddetta conseguenziale, ope legis di immediata esecuzione, supera il limite del passaggio del giudicato, necessario, quanto alle declaratorie di solo e mero accertamento.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LEASING: NON NECESSARIO UN ATTO STRAGIUDIZIALE PER AVVALERSI DELLA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA
TALE VOLONTÀ PUÒ ESSERE MANIFESTATA CON L’INSTAURAZIONE DEL GIUDIZIO
Ordinanza | Tribunale di Brescia, dott.ssa Elena Fondrieschi | 08.11.2016 |
LEASING: LA RICEZIONE DEI PAGAMENTI NON INTEGRA RINUNCIA TACITA ALLA RISOLUZIONE EX ART. 1456 C.C
OCCORRE UN COMPORTAMENTO INEQUIVOCO, INCOMPATIBILE CON LA VOLONTÀ DI AVVALERSI DI TALE EFFETTO
Sentenza | Corte d’ Appello di Bari, Pres. – Rel. Salvatore Grillo | 22.12.2016 | n.1334
LEASING: LEGITTIMA LA CLAUSOLA CON PREVISIONE DI RISOLUZIONE PER MANCATO PAGAMENTO DI UN SOLO CANONE
NON SI APPLICANO LE DISPOSIZIONI DEL CODICE DEL CONSUMO
Sentenza | Tribunale di Vicenza, Dott. Francesco Lamagna | 28.03.2017 |
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