ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di leasing traslativo, l’applicazione dell’art. 1526 cc relativa alla vendita con riserva di proprietà non è automatica e soprattutto non deve avvenire affatto quando le parti abbiano risolto già in sede contrattuale il possibile squilibrio delle posizioni delle parti mediante la previsione di una specifica clausola di equilibrio.
In tal senso, la sottoscrizione della c.d. clausola marciana ha un “effetto salvifico” sul contratto ove correttamente formulata ed adeguatamente interpretata potendosi ritenere sufficiente a garantire il riequilibrio delle posizioni delle parti ed a evitare situazioni di ingiustificato arricchimento.
È quanto espresso dal Tribunale di Milano, in persona della dott.ssa Maria Luisa Padova, con la sentenza n. 7266 del 12 giugno 2015, che rivisita con attenzione alle singole fattispecie che possano verificarsi nella pratica commerciale la giurisprudenza sulla applicabilità dell’art. 1526 cc al leasing c.d. traslativo.
FOCUS NORMATIVO – GIURISPRUDENZIALE
In dottrina ed in giurisprudenza si suole distinguere tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo“.
Il primo ricorre ogniqualvolta i beni che ne costituiscono l’oggetto non siano atti a conservare un apprezzabile valore residuale al termine stabilito. La finalità del contratto è quella di finanziare la fruizione di un bene. La durata del rapporto è pertanto usualmente correlata al periodo in cui si compie il ciclo di utilizzazione di quanto ne costituisce l’oggetto.
Al contrario, il “leasing traslativo” ha ad oggetto la locazione finanziaria di beni idonei a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’esercizio del diritto di opzione. Il trasferimento della proprietà del bene all’utilizzatore costituisce non già un esito eventuale e privo di una consistenza economica, bensì la sorte programmata dalle parti in sede di conclusione del contratto.
Alla luce di tali peculiarità, la giurisprudenza ritiene applicabile al leasing traslativo alcune disposizioni relative alla vendita con riserva di proprietà, ed in particolare l’art. 1526 cc.
A mente di quest’ultimo, infatti:
“Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta.
La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti“.
Applicando la disposizione al rapporto di leasing, dunque, In caso di inadempimento e di conseguente risoluzione del contratto, il concedente è tenuto restituire i canoni riscossi fino a quel momento, avendo il diritto di percepire dall’utilizzatore sia un equo compenso per la fruizione della cosa (ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 19732/11), sia il risarcimento del danno.
IL CASO
Nella fattispecie all’attenzione del Tribunale di Milano, nell’ambito di un rapporto di leasing immobiliare, il concedente ha proposto domanda di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore introducendola con ricorso ex art.702 bis cpc e contestuale domanda di restituzione dell’immobile locato.
Di contro, l’utilizzatore ha spiegato domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione dei canoni di leasing già corrisposti, previa detrazione dell’equo compenso dovuto dall’utilizzatrice per l’uso della cosa, in applicazione dell’art.1526 cc.
Pronunciatosi con ordinanza sulla risoluzione del contratto, con condanna alla liberazione dell’immobile, il Tribunale ha disposto la conversione del rito da quello sommario a quello ordinario in relazione alla domanda riconvenzionale svolta dalla resistente.
Disattendendo la tesi argomentativa della parte utilizzatrice, il Giudice milanese ha fatto applicazione di un peculiare criterio valutativo al fine di stabilire l’applicabilità o meno, nel caso di specie, dell’art. 1526 cc.
A dire del Tribunale, infatti, la riconducibilità del contratto di leasing ad altre figure negoziali (come quella di cui all’art. 1526 c.c.) aventi una funzione giuridico economica diversa, costituisce una forzatura anche solo laddove il collegamento del leasing con la figura della vendita con riserva di proprietà sia giustificata (come appare evidente dalla disamina delle pronunce dalla Cassazione in argomento) dall’esigenza di evitare un ingiustificato arricchimento in favore della parte Concedente.
L’esigenza di ricondurre ad equilibrio le posizioni negoziali delle parti rappresenta l’unica ratio dell’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. al leasing traslativo come operata dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Ove tale squilibrio contrattuale, nel caso concreto, non sia ravvisabile, è sufficiente esaminare la regolamentazione pattizia attraverso il filtro della disposizione contenuta nell’art. 1322 cc e, dunque, lasciare la disciplina del rapporto alla volontà liberamente determinata delle parti.
In tale ottica, il Tribunale meneghino ha preso le mosse dalla considerazione che le parti possono risolvere, già in sede contrattuale, il possibile squilibrio sinallagmatico, mediante la previsione di una specifica clausola – che consenta l’accredito a favore dell’utilizzatore dell’importo che la concedente avrà realizzato dalla vendita del bene, al netto di tasse e spese, una volta che il bene stesso sarà stato riconsegnato così sterilizzando il rischio di un ingiustificato arricchimento da parte del concedente.
Trattasi del c.d. patto marciano, la cui liceità ed il cui effetto “salvifico” è stato più volte affermato dalla Corte di Cassazione (di recente, in particolare, Cass.Civ. 28.01.2015 n.1625).
Orbene, perché la clausola c.d. di riequilibrio possa escludere l’applicazione dell’art.1526 cc, è necessario che sia idonea a determinare sia la detrazione del c.d. “equo compenso”, sia indirettamente il ristoro del danno a cui detta norma fa cenno.
In tal senso, avendo riguardo alla natura creditizia dell’operazione di leasing, per giurisprudenza consolidata, il risarcimento del danno della concedente deve essere tale da porla nella stessa situazione nella quale essa si sarebbe trovata se l’utilizzatore avesse adempiuto esattamente le proprie obbligazioni e che pertanto tale danno è pari al recupero dell’intero importo finanziato. Per l’effetto la Cassazione ha già affermato che nel leasing la riconsegna dell’immobile non è sufficiente, quale risarcimento del danno, ove la restituzione del finanziamento non segue per intero ed il valore del bene oggetto del leasing non valga a coprirne l’intero importo.
Richiamando l’insegnamento della Cassazione (cfr. Cass. n. 574/2005; Cass. n 9161/2002; Cass. n. 4208/2001), il Tribunale ha chiarito i criteri della determinazione di quanto dovuto alla concedente ex art. 1526 c.c., e precisamente:
– l’equo compenso corrispondente alla remunerazione per il godimento del bene;
– il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo nonché al logoramento per l’uso;
– il risarcimento del danno da quantificarsi dal giudice tenendosi conto del “guadagno che il concedente si attendeva dal contraente se l’utilizzatore avesse adempiuto alla propria obbligazione di pagamento dei canoni”.
È alla luce di tali principi che la clausola c.d. marciana va valutata al fine di escludere l’applicabilità dell’art.1526 cc.
Ebbene, il Giudice ha analizzato il contenuto della clausola, affermando che essa prevede che la concedente possa esigere, una volta ottenuta la restituzione del bene, il proprio residuo credito in linea capitale (comprensivo di canoni scaduti ed insoluti ed a scadere attualizzati) detratto il valore dei beni restituiti.
Tale pattuizione pertanto è tale da realizzare il contemperamento degli opposti interessi e da evitare un ingiustificato arricchimento da parte della società di leasing.
In definitiva, il Tribunale ha giudicato espressamente “ultronea” l’applicazione dell’art. 1526 c.c. alla fattispecie del leasing traslativo de quo, respingendo in toto le argomentazioni di parte utilizzatrice e dunque rigettando con condanna alle spese la domanda riconvenzionale da essa spiegata.
Testo del provvedimento
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