LA MASSIMA
L’art. 72 quater L.F. trova applicazione solo nel caso in cui il contratto di leasing sia pendente al momento del fallimento dell’utilizzatore mentre, ove esso sia stato già anteriormente risolto, occorra distinguere a seconda che si tratti di leasing finanziario o traslativo.
Questi i principi ricavabili dal decreto del Tribunale di Ascoli Piceno in composizione collegiale – Presidente estensore Dott. Anna Maria Teresa Gregori, pubblicato in data 22 agosto 2016.
IL CASO
Una società di locazione finanziaria formulava opposizione avverso lo stato passivo, assumendo la illegittimità del provvedimento di accoglimento della domanda di rivendica ad oggetto immobile concesso in locazione finanziaria alla utilizzatrice, nella parte in cui lo stesso provvedimento di rivendica era condizionato alla restituzione dei canoni pagati, come disposto dal Giudice Delegato nella fase della verificazione.
Orbene il Tribunale di Ascoli Piceno in commento, ha richiamato in primis, a motivo di rigetto dalla opposizione allo stato passivo, la sentenza n. 2538 del 9.02.2016 della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha precisato che l’art. 72 quater L.F. trovi applicazione solo nel caso in cui il contratto di leasing sia pendente al momento del fallimento dell’utilizzatore mentre, ove esso sia stato già anteriormente risolto, occorra distinguere a seconda che si tratti di leasing finanziario o traslativo, solo per quest’ultimo potendosi utilizzare, in via analogica, l’art. 1526 c.c., con l’ulteriore conseguenza che, in tal caso, il concedente ha l’onere, se intenda insinuarsi al passivo del fallimento, di proporre la corrispondente domanda completa in tutte le sue richieste, nascenti dall’applicazione della norma da ultimo citata.
Nel caso in esame e pertanto, il Tribunale di Ascoli Piceno ha evidenziato che il lessor parte opponente aveva risolto il contratto, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, in epoca anteriore la apertura del concorso, da ciò conseguendo che la norma che veniva in rilievo non era l’art. 72 quater L.F., che presuppone la pendenza del contratto, bensì l’art. 72 quinto comma L.F., il quale, recependo l’orientamento accolto dalla prevalente giurisprudenza prima della riforma, sancisce l’opponibilità alla massa dell’azione di risoluzione promossa in epoca anteriore al fallimento; in questo caso, con il richiamo alla sentenza n. 2538/16, conservando indi validità il distinguo tra leasing finanziario di godimento e leasing finanziario traslativo, sicché il concedente può far valere nei confronti del fallimento la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1458 comma 1° c.c. o ex art. 1526 c.c., ferma restando la necessità di insinuarsi al passivo qualora con la domanda di risoluzione sia proposte anche domande tutorie o risarcitorie.
Rilevato quindi nel merito della controversia portata all’esame, che il contratto di leasing avente ad oggetto n. 1 immobile fosse da inquadrarsi giuridicamente nella fattispecie di leasing traslativo, con la conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. ed il conseguente obbligo normativo di restituzione delle rate riscosse, il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato il ricorso in opposizione.
COMMENTO
Sono quattro le sentenze fondamentali, a parere di chi scrive, emesse dalla Suprema Corte di Cassazione negli ultimi 6 anni, afferenti il contratto di locazione finanziaria (leasing) ed i rapporti del predetto contratto, con il fallimento dichiarato nei confronti di parte utilizzatrice:
- la prima, Cass. N. 4862 in data 1.03.2010, che in tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ai sensi dell’art- 72 quater L.F., ha stabilito che il concedente, in caso di fallimento dell’utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale, non può richiedere subito mediate l’insinuazione al passivo e nella forma dell’art. 93 L.F., anche il pagamento dei canoni residui che l’utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell’ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell’utilizzazione del bene, viene meno l’esigibilità di tale credito, avendo esclusivamente diritto il concedente alla restituzione immediata del bene oltre che maturare un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante una successiva insinuazione al passivo nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato a valore di mercato il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso, secondo la nuova regolazione degli interessi fra le parti, direttamente fissata dalla legge;
- la seconda, Cass. N. 15701 del 15.07.2011 che sempre i tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ai sensi dell’art. 72 quater L.F., ha statuito che il concedente, in caso di fallimento dell’utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale, può soddisfarsi sul bene oggetto dello stesso contratto al di fuori del concorso, previa ammissione del credito al passivo fallimentare, essendo egli destinato ad essere soddisfatto al di fuori del riparto dell’attivo, mediante vendita del bene (analogamente al creditore pignoratizio e a quello garantito da privilegio speciale ex art. 53 L.F.), con esenzione del concorso sostanziale, ma non dal concorso formale;
- la terza, Cass. N. 8687 del 29.04.2015, che frustando la aspettativa da parte degli operatori del settore, di vedere superata, con la introduzione nell’ordinamento giuridico, tramite l’art. 59 del D.LGS 9.01.2006 n. 5, dell’art. 72 quater L.F., la tradizionale distinzione tra leasing finanziario di godimento e leasing finanziario traslativo, ha escluso del tutto la aspirazione al predetto superamento, con la conseguente applicabilità in via analogica dell’art. 1526 c.c. al leasing traslativo, come tale qualificato anche in sede concorsuale, quale conseguenza derivante nella ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore;
- la quarta, Cass. N. 2538 del 9.02.2016 richiamata e proprio dalla decisione del Tribunale di Ascoli Piceno in commento, che imporrebbe al lessor, nella ipotesi di risoluzione anteriore al fallimento, la proposizione di una domanda di ammissione al passivo completa in tutte le sue richieste nascenti dall’applicazione dell’art. 1526 c.c., la previsione e quindi di dover restituire tutti i canoni all’utilizzatore dietro la riconsegna del bene alla società di leasing e con la possibilità di pretendere, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1453 comma 1 c.c., la differenza tra l’intero corrispettivo contrattuale a carico dell’utilizzatore con il valore del bene, secondo i prezzi correnti al tempo della liquidazione.
Detta ultima Sentenza della Suprema Corte, laddove le sentenze dell’anno 2010 e dell’anno 2011 lasciavano ancora presagire una apertura in merito al superamento del noto discrimen nei rapporti con le procedure concorsuali, rappresenta indubbiamente oggi, alla attualità, un principio del tutto nuovo nello scenario della giurisprudenza leasing, aperto sicuramente ad evidenti contraddizioni, (sol che si consideri che la decisione di Ascoli Piceno in commento, nessun riferimento offre all’istituto dell’equo compenso ed al risarcimento del danno), appalesando e questo appare l’aspetto maggiormente significativo, il pressoché irrilevante ricorso o meno da parte delle società di locazione finanziaria, all’istituto della risoluzione contrattuale, nella prospettiva delle domande che esso stesso concedente potrà o dovrà svolgere nei confronti del medesimo utilizzatore, allorquando fallito.
Per anni si è discusso in merito all’esercizio della opzione di riscatto, come riservata al lessee, quale fatto eventuale e non necessitato, atto a consentire il primato del contratto di finanziamento per l’impresa, quale è senz’altro il contratto di locazione finanziaria, nel superamento del noto discrimen tra leasing finanziario traslativo e leasing finanziario di godimento; di contra, la tesi opposta, che ha intravisto nell’atto necessitato, la genesi negoziale del rapporto.
Ora e la questione si fa sempre più interessante, appare essere eventuale, proprio in considerazione degli effetti che si ripercuotono in occasione della apertura delle procedure concorsuali, l’evento risoluzione del contratto, quale prerogativa evidentemente concessa al lessor nella ipotesi di inadempimento della parte utilizzatrice all’obbligo dei pagamenti dei canoni, giacché costretto a tenere a mente gli effetti e le conseguenze che deriverebbero da una invocata risoluzione in bonis, nei rapporti con il fallimento eventuale del lessee.
E’ a dir poco paradossale, a parere di chi scrive, l’atteggiamento che in costanza di contratto sia costretto a tenere oggi una società di locazione finanziaria, nell’evolversi via via del rapporto, nel senso che essa società di leasing sia costretta a monitorare tempo per tempo le vicende che riguardano il proprio utilizzatore, in vista dell’eventuale assoggettamento di quest’ultimo alla procedura concorsuale, viste le clamorose differenze che derivano nella ipotesi di contratto risolto o non ancora risolto, alla data di apertura del concorso.
La contraddizione e la estrema diversità di trattamento riservato al lessor nel primo caso, rispetto al secondo, è peraltro in aperto contrasto con la normativa nazionale, da ultimo la legge di stabilità 2016, con l’inserimento ai commi da 42 bis a 42 decies dell’art. 1, di una nuova disciplina dedicata alla incentivazione del contratto di leasing finalizzato all’acquisto dell’abitazione principale e la introduzione pertanto, per la prima volta nell’ordinamento, di una disciplina civilistica e fiscale della locazione finanziaria di immobili adibiti ad uso abitativo.
Orbene, dalla disamina dei tratti distintivi e peculiari come contenuti nella legge di stabilità in commento, il legislatore appare avere abbandonato, del tutto, il richiamo neppure indiretto al noto discrimen tra leasing finanziario traslativo e leasing finanziario di godimento, optando per una univoca interpretazione del contratto di leasing immobiliare, scevro da ogni allusione al meccanismo della vendita con riserva della proprietà, con le conseguenze previste ai noti commi 1 e 2 dell’art. 1526 c.c., che da oltre un ventennio costituiscono il tema di indagine nelle Aule dei Giudici di Merito.
Le conseguenze derivanti dall’inadempimento del contratto da parte dell’utilizzatore, in particolare, appaiono una volta per tutte dimenticare il richiamo ed il ricorso al meccanismo di riduzione della penale contrattuale ex art. 1384 c.c., optando invece in maniera univoca per il totale ristabilimento delle rispettive ragioni creditorie dei contraenti, con la salvaguardia dettata in favore del lessee nella ipotesi di vendita e/o di riallocazione del bene.
In buona sostanza e sempre a parere di chi scrive, optando il legislatore con la legge di stabilità 2016, per il richiamo puro e semplice ai principi generali che furono dettati dalla Convenzione Unidroit sul leasing internazionale di Ottawa del 26.05.1988, ratificata dallo stato italiano con Legge 14.07.1993 n. 259, che tra gli operatori del settore da sempre costituisce fonte indiretta di diritto, nella risoluzione dei casi portati all’esame in sede giudiziale.
Appare infatti del tutto salvaguardato, con le novità contenute nella Legge di Stabilità 2016, il principio come dettato dall’art. 13 lettera B della Convenzione, così da consentire al concedente di ottenere un risarcimento del danno, tale da porlo nella stessa situazione nella quale egli si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto al contratto di leasing.
Il tratto distintivo nella Legge di Stabilità 2016, rappresentato, giova a questo punto sottolinearlo, dalla norma che impone nei confronti delle Banche e degli intermediari, specifici obblighi di trasparenza e pubblicità nelle procedure di vendita e di ricollocazione del bene.
In attesa e quindi di un ulteriore auspicato intervento del legislatore, atto a codificare, una volta per tutte, il contratto di locazione finanziaria, anche al fine di non prestare il fianco a talvolta inquietanti interventi dei Giudici della Legge sulla diversità di trattamento tra leasing risolti e non risolti alla data di apertura del concorso, non può allora che emergere allo stato degli atti, la oggettiva difficoltà di accostamento da parte delle società di locazione finanziaria, alle norme di diritto comune, nella materia della risoluzione contrattuale.
Non può in buona sostanza essere rimesso, l’evento risoluzione del contratto, ad una strategia difensiva della parte concedente; tale riserva, rischiando di compromettere seriamente i principi di certezza del diritto.
La decisione di Ascoli Piceno, sarà quindi portata all’esame della Suprema Corte.
Per altri precedenti in materia di leasing si vedano anche:
LEASING: AZIONE DI RICONSEGNA DEL BENE – OPPOSIZIONE DI TERZO ORDINARIA
LO STRUMENTO DI CUI AL COMMA 1 DELL’ART. 404 CPC- PRESUPPOSTI E LIMITI DELLA AZIONE
Sentenza | Tribunale di Macerata, Dott. Alessandro Iacoboni | 22.09.2016 | n.1056
LEASING TRASLATIVO: NELL’AZIONE DI RICONSEGNA DEL BENE SI APPLICA L’ART. 1526 COMMA 1 E 2 C.C.
LA PARTE CONCEDENTE HA DIRITTO ALL’EQUO COMPENSO PER L’USO DELLA COSA, OLTRE AL RISARCIMENTO DEL DANNO
Cassazione civile, sez. terza, Pres. Vivaldi – Rel. Tatangelo | 02.08.2016 | n.16050
LEASING: ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO INFONDATA IN CASO DI USO LEGITTIMO DELLA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA
L’ART. 1460 C.C. TENDE SOLO A PARALIZZARE LA PRETESA DI ADEMPIMENTO DI CONTROPARTE ALLA PRESTAZIONE AD ESSA RISERVATA
Sentenza | Corte di Appello di Roma, sez. terza, Pres. E. Verde – Rel. A. M. Sterlicchio | 25.08.2016 | n.5089
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