ISSN 2385-1376
Testo massima
Durante la pendenza del processo esecutivo è frequente che possano verificarsi fenomeni successori che modificano la rappresentazione del rapporto debito-credito cristallizzato nel titolo esecutivo, con il quale si è dato avvio all’azione ovvero si è depositato l’atto di intervento.
Tenuto conto che la pendenza della procedura, i cui tempi di durata sono noti tanto che le ultime riforme legislative al codice di procedura civile hanno interessato principalmente il processo esecutivo, non può impedire il materiale verificarsi di tali eventi, è importante valutare gli effetti che tali fenomeni producono sull’iter esecutivo in corso.
È da premettere che se la successione si verifica prima dell’instaurazione del processo esecutivo, non sorgono problemi interpretativi a mente dell’art. 475 cpc che prevede che la spedizione in forma esecutiva del titolo possa essere effettuata a favore della parte a beneficio della quale è stato pronunziato il provvedimento o stipulata l’obbligazione ovvero dei sui successori.
Il controllo della regolarità formale della titolarità del credito in capo alla parte del processo esecutivo è poi già stato effettuato, in sede di verifica della documentazione in atti preliminare alla fissazione dell’udienza ex art. 569 cpc, dal Giudice dell’Esecuzione.
Se, viceversa, la successione avviene nel corso del processo esecutivo, che, a seguito della novella al codice di procedura esecutiva, dovrebbe svolgersi in un’unica udienza chiamata per i provvedimenti di cui all’art. 569 cpc, prima della delega delle operazioni di vendita, allora potrebbe accadere che il Giudice e il delegato vengano resi edotti dell’avvenuta successione al momento dell’invio della nota di precisazione del credito.
Si segnala che la Cassazione ha affermato che, in pendenza del processo esecutivo, la successione del creditore comporta che il titolo esecutivo spiega la sua efficacia in favore del titolare del credito e di tutti i suoi successori, siano essi a titolo universale o a titolo particolare.
Pertanto, il successore nel titolo fatto valere quale titolo esecutivo, come non avrebbe l’obbligo di dimostrare neppure documentalmente la sua posizione al soggetto che deve spedire il titolo in forma esecutiva (cfr. art. 475 cpc), allo stesso modo non dovrebbe farlo fuori di questa situazione, quando il debitore non contesti questa qualità attraverso un giudizio di accertamento negativo in sede di opposizione all’esecuzione.
Conseguentemente il soggetto che chiede in sede di riparto l’attribuzione delle somme in forza del contratto di cessione, non avrebbe l’onere di dimostrare la sua posizione di successore, salvo che il creditore cedente ovvero il debitore contestino, mediante opposizione, l’assunto dell’intervenuto.
In ogni caso, ritengo che sia compito del professionista delegato, che riceve da parte dei creditori la precisazione del credito, accertare almeno formalmente – la titolarità del credito in capo alle parti del processo esecutivo e tanto al fine della corretta collocazione nel progetto di distribuzione dei privilegi e per evitare l’insorgere di controversie distributive (nel caso di piano di riparto in presenza di più creditori) ovvero di opposizioni agli atti esecutivi (nel caso di progetto di attribuzione in presenza di un solo creditore).
Volendo inquadrare la successione nel processo esecutivo nel quadro codicistico, si deve segnalare che le uniche norme che disciplinano la vicenda successoria in corso di causa sono gli artt. 110 e 111 cpc, che tuttavia si riferiscono al processo di cognizione.
A norma dell’art.110 cpc se la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore a titolo universale o nei suoi confronti.
A norma dell’art. 111 cpc la successione a titolo particolare nella titolarità del diritto controverso ha un’incidenza specifica sullo svolgimento del processo solo se avviene mortis causa, perché in tal caso la prosecuzione è possibile solo nei confronti del successore; in mancanza il processo è interrotto.
Se, invece, la successione avviene a titolo particolare per atto inter vivos, allora la vicenda successoria non impedisce lo svolgimento del processo tra le parti originarie.
Come detto, siffatte disposizioni riguardano il processo di cognizione e, dunque, occorre stabilire se le predette sono estendibili al processo esecutivo ed in caso positivo in che misura.
Sul punto sia in giurisprudenza sia in dottrina si rinvengono posizioni diverse, che di seguito si diranno, tuttavia, appare opportuno al fine di esaminare la problematica procedere alla disamina dei casi più frequenti di successione nel diritto di credito che possono verificarsi nel corso della procedura esecutiva.
A). MORTE DEL CREDITORE
Nel caso di morte del creditore, la dottrina ritiene univocamente che non ricorrono ragioni ostative all’applicabilità dell’art. 110 cpc e quindi:
-il processo non viene interrotto ai sensi dell’art. 299 cpc ;
– il processo può essere proseguito dagli eredi del creditore;
-il procuratore costituito per il de cuius può continuare ad espletare l’attività difensiva, in quanto la morte della parte non determina l’inefficacia della procura durante la pendenza del processo in applicazione del principio dell’ultrattività del mandato alle liti .
B).CAMBIO DI DENOMINAZIONE
Il cambio di denominazione non ha alcun rilievo, in quanto non è modificativo dell’identità della persona giuridica e quindi:
-non si verifica alcuna forma di successione nel processo esecutivo;
-la procura alle liti rilasciata al legale costituito resta valida ed efficace.
C).FUSIONE PER INCORPORAZIONE:
In via preliminare è d’obbligo premettere che la fusione di una società in una sola può realizzarsi in due modi:
1). fusione in senso stretto: le società preesistenti confluiscono all’interno di una società di nuova costituzione. In tal caso tutti i soggetti preesistenti vengono sostituiti da un nuovo soggetto, che prende il posto di tutte le società che si fondono e ne continua l’attività;
2). fusione per incorporazione: le società preesistenti confluiscono all’interno di una società preesistente (cd. incorporante), che assume tutti i diritti e gli obblighi delle società incorporate.
L’istituto è stato oggetto della riforma del diritto societario, avvenuta con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366, e quelle successive, che tra l’altro ha eliminato quale effetto naturale della fusione l’estinzione della società incorporata .
È da segnalare che – già prima della riforma – l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione era quello di ritenere che la fusione per incorporazione realizzasse una successione a titolo universale corrispondente alla successione “mortis causa” e producesse gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che diveniva il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati.
Successivamente alla riforma e a seguito della nuova formulazione dell’art.2504 bis cc, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, valorizzando la lettera della disposizione, che non contiene più il riferimento all’effetto estintivo e sottolinea che la società che risulta dalla fusione o quella incorporante prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione, ha affermato che la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione in senso stretto, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione.
Si verifica, dunque, una vicenda meramente evolutivo – modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo , con la conseguenza che la fusione secondo la nuova norma è una mera modifica che lascia sopravvivere tutte le società partecipanti alla fusione, sia pure con un nuovo assetto organizzativo reciprocamente modificato, e senza alcun effetto successorio ed estintivo, attuandosi il semplice mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente.
Da ciò derivano le seguenti considerazioni :
-la fusione non genera alcun mutamento nella titolarità dei rapporti giuridici anche se posti in essere prima della fusione, restando la sostituzione nella titolarità dei rapporti pregressi limitata ai soli rapporti che in precedenza facevano capo alle società incorporate;
-l’originaria società intervenuta nel processo esecutivo, essendo sempre società incorporante, non può ritenersi estinta, con la conseguente validità della procura alle liti da questa rilasciata al legale costituito.
D).CESSIONE
Sicuramente maggiori problemi si pongono in caso di cessione dei crediti.
Da sempre, infatti, la cessione dei crediti è al centro di un intenso dibattito giurisprudenziale e dottrinale, teso a delineare con precisione i confini dell’istituto e divenuto ancora più acceso per effetto, prima dell’introduzione della Legge 21 febbraio 1991, n.52 che ha disciplinato la “Cessione dei crediti d’impresa“, quindi, della Legge 30 aprile 1999, n.130 sulla c.d. “Cartolarizzazione dei crediti”.
È prima di tutto necessario procedere all’esame della fattispecie della cessione del credito.
Con la cessione del credito il terzo cessionario si surroga nei diritti che il cedente vantava nei confronti del debitore.
A differenza della cessione del contratto, che opera il trasferimento dal cedente al cessionario dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa inerenti, la cessione del credito ha un effetto più limitato, dal momento che è circoscritta al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto.
Il contratto relativo alla cessione del credito non necessita di una forma specifica e si perfeziona con il semplice consenso prestato dal cedente e dal cessionario.
Ai fini dell’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto, l’art. 1264 cc prevede che:
1).la cessione produce effetti nei confronti del debitore ceduto, quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata ;
2).il debitore è liberato se paga al cedente prima dell’accettazione o della notificazione, salvo che il cessionario provi che lo stesso debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione.
E’, comunque, da tenere presente che la notificazione dell’intervenuta cessione al ceduto, l’accettazione dallo stesso effettuata o la sua conoscenza non hanno alcuna incidenza sul mutamento della titolarità attiva del rapporto obbligatorio, in quanto la cessione del credito si perfeziona in forza del solo consenso legittimamente manifestato dal cedente e dal cessionario, secondo il principio dell’efficacia traslativa del consenso .
Conseguentemente:
-non sussistono dubbi che la cessione del credito attribuisce senz’altro al cessionario le vesti di creditore esclusivo e, quindi, di esclusivo legittimato a pretendere la prestazione, anche se sia mancata la notificazione al debitore prevista dall’art.1264 cc;
-la comunicazione ha la sola funzione di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento fatto al cedente, il quale, qualora, nonostante la cessione, abbia appreso le somme, sarà comunque tenuto alla restituzione dell’indebito.
Per effetto della cessione il credito viene trasferito al cessionario comprensivo di tutti gli accessori, degli eventuali privilegi ed anche delle garanzie reali e personali .
La generica formulazione della norma ha posto taluni problemi interpretativi specialmente con riferimento a quei crediti che, generalmente, anche se impropriamente, sono ritenuti “fattori accessori” del credito ceduto.
Ho cercato di evincere, dall’analisi della giurisprudenza di merito e di legittimità, le principali questioni di interesse.
LE SPESE PROCESSUALI
Il primo problema si pone per le spese giudiziali liquidate nel titolo azionato in via esecutiva.
Sul punto, la prevalente giurisprudenza di legittimità ha rilevato che, in tema di cessione del credito, la previsione del primo comma dell’art. 1263 cc deve essere intesa nel senso che il cessionario di un credito, il cui diritto sia stato riconosciuto con sentenza nei confronti del cedente e che sia rimasto estraneo al processo relativo a tale accertamento, pur potendo utilizzare come titolo esecutivo la sentenza favorevole al suo dante causa, non potrà avvalersi di tale sentenza nella parte in cui la stessa reca la condanna alle spese della controparte rimasta soccombente, spettando dette spese al suo dante causa, che le ha effettivamente sostenute, atteso che le pronunce relative alle spese del giudizio producono i loro effetti solo nei confronti delle parti processuali.
Per quanto riguarda le spese del processo esecutivo nell’eventualità che la cessione intervenga nel corso dell’esecuzione, è da premettere che le predette devono essere liquidate dal Giudice dell’Esecuzione al momento della distribuzione del ricavato o dell’estinzione della procedura , in quanto il credito per dette spese non sorge al momento dell’anticipazione ex art. 90 cpc, ma solamente al momento della liquidazione.
Si ritiene, dunque, che, ove il cedente sia stato estromesso dal processo esecutivo, esse devono essere liquidate in favore del cessionario del credito, limitatamente agli esborsi da questi effettivamente sopportati.
Alla luce del principio che la cessione del credito (ovvero la successione a titolo particolare nel diritto controverso) incide solo sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, infatti, non potrebbe presumersi che oggetto della cessione sia stato anche il diverso credito (futuro ed incerto) per le spese del processo esecutivo.
Ove, quindi, il creditore cedente che abbia proposto esecuzione o in essa abbia spiegato intervento, conservi interesse alla liquidazione o al rimborso delle spese da lui anticipate, dovrà rimanere all’interno del processo esecutivo, seppure al solo fine di veder liquidate in suo favore le spese sostenute.
Tuttavia, è opportuno procedere all’esame dell’atto di cessione, al fine di verificare se sono state oggetto di trasferimento anche le spese, a cui viene riconosciuto il privilegio ex art. 2770 cc, potendosi integrare la cessione di un credito futuro determinato ovvero determinabile.
IL MAGGIOR DANNO
Altra questione notevolmente dibattuta è se tra gli accessori del credito possa essere ricompreso il maggior danno per inadempimento ai sensi dell’art. 1224 comma 2 cc .
Sul punto si rileva che la giurisprudenza di legittimità si è espressa favorevolmente, ritenendo che la locuzione “altri accessori“, deve essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata al diritto stesso, che, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonché alla tutela del credito.
Ne consegue che nell’oggetto della cessione di un credito deve reputarsi incluso il diritto al risarcimento del maggior danno derivante dal ritardo nel pagamento del credito stesso (e maturatosi al momento della cessione), trattandosi di diritto che non può esistere o estinguersi se non congiuntamente al credito ceduto e che direttamente consegue al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale.
I PRIVILEGI ED I DIRITTI REALI DI GARANZIA
Non sussistono dubbi che alla cessione del credito consegua necessariamente il trasferimento dei privilegi e delle garanzie reali e personali.
Taluni problemi sono sorti in relazione a quanto disposto dall’art.2843 cc, che prevede che:
-la trasmissione o il vincolo dell’ipoteca per cessione, surrogazione, pegno, postergazione di grado o costituzione in dote del credito ipotecario, nonché per sequestro, pignoramento o assegnazione del credito medesimo si deve annotare a margine all’iscrizione dell’ipoteca;
-la trasmissione o il vincolo dell’ipoteca non ha effetto finché l’annotazione non sia stata eseguita;
-dopo l’annotazione l’iscrizione non si può cancellare senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione medesima e le intimazione o notificazioni che occorrono in dipendenza dell’iscrizione devono essere loro fatte nel domicilio eletto.
La questione degli effetti della mancata annotazione della cessione non è di poco conto, perché se si attribuisce all’annotazione effetto costitutivo, in caso di omissione, pur se la cessione del credito ha effetto a prescindere dall’annotazione prescritta dall’art. 2843 cc , il cessionario non potrà beneficiare in sede di riparto della prelazione ipotecaria.
Sul punto, si segnala che la Cassazione ha da sempre riconosciuto all’annotazione di cui all’art.2843 cc efficacia costitutiva nei confronti dei terzi, argomentando sulla chiarezza della norma in esame e considerando l’annotazione un elemento integrativo indispensabile della fattispecie del trasferimento medesimo.
Tuttavia siffatta impostazione genera conseguenze non condivisibili:
in primo luogo è da segnalare che l’art.2843 cc appare più una norma di tutela del cessionario, perché solo a seguito dell’avvenuta annotazione, egli non corre il rischio di essere pregiudicato nell’esercizio dei diritti connessi alla titolarità del diritto di prelazione, per l’omessa instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti nei casi previsti.
È poi da segnalare che ritenere che l’annotazione anteriore sia necessaria per rendere opponibile il subentro nell’ipoteca (in forza di surroga o di cessione del credito) alla massa dei creditori, al creditore pignorante il bene o al terzo acquirente il bene significa svuotare di contenuto il diritto di ipoteca, omettendo di considerare che ciò che è rilevante e che resta fermo è l’originaria iscrizione ipotecaria con il grado che le è proprio sin dall’origine: detta iscrizione ipotecaria, risultando dai pubblici registri, era ben conoscibile dai soggetti terzi sopra indicati, i quali non vengono pregiudicati dalla sostituzione nella titolarità dell’ipoteca di un soggetto (il creditore subentrante) ad un altro (il creditore sostituito).
Ancora non appare compatibile con il sistema vigente ritenere che:
-se il creditore subentrante esegue l’annotazione dopo la trascrizione di un acquisto dell’immobile da parte del terzo non può opporre a costui l’iscrizione ipotecaria nella quale è subentrato, sebbene detta iscrizione sia anteriore: ne conseguirebbe la perdita del diritto di seguito (elemento indefettibile dell’ipoteca) ossia del diritto di procedere all’esecuzione del bene ipotecato nei confronti del terzo acquirente;
-se il creditore subentrante compie l’annotazione dopo la trascrizione del pignoramento del bene da parte di un altro creditore non può opporre a costui l’iscrizione ipotecaria nella quale è subentrato, sebbene detta iscrizione sia anteriore; ne conseguirebbe la perdita del diritto di prelazione (elemento indefettibile dell’ipoteca), ossia del diritto di essere soddisfatto in modo preferenziale sull’importo ricavato dalla vendita.
Tali criticità comporterebbero, quindi, lo svuotamento dell’ipoteca e il venir meno del suo carattere reale, motivo per il quale la dottrina ha sviluppato una lettura alternativa della norma.
In particolare siffatta lettura parte dall’esame dello scopo dell’annotazione, che serve a risolvere i conflitti fra i soggetti che subentrano nel medesimo credito ipotecario per cessione del credito o per surrogazione o altro, fra soggetti che vincolano il medesimo credito ipotecario per sequestro o per pignoramento o per altro e fra gli uni e gli altri: fra tutti i soggetti citati prevale il soggetto che per primo ha esegue l’annotazione.
Viceversa l’annotazione non è idonea a risolvere i conflitti tra i citati soggetti e coloro che hanno interesse all’eliminazione dell’ipoteca (es. debitore, terzo acquirente del bene ipotecato, creditore pignorante), perché in tal caso si arriverebbe alle conclusioni innanzi richiamate, oltre a quella di considerare inefficace l’annotazione ipotecaria alla massa dei creditori del fallimento se eseguita dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento .
Alla luce di tali osservazioni si è sviluppata una lettura alternativa della norma e precisamente:
-la cessione del credito si perfeziona con l’accordo fra il cedente e il cessionario;
-la notifica della cessione del credito al debitore o l’accettazione della cessione da parte del debitore sono richieste per l’eventuale liberazione del debitore se effettua il pagamento al creditore cedente;
-nell’ipotesi di cessione di credito chirografario, in presenza di più cessioni a soggetti diversi, prevale il cessionario che per primo ha notificato la cessione ovvero che ha ottenuto l’accettazione del debitore con atto avente data certa;
-nell’ipotesi di cessione di credito ipotecario, in presenza di più cessioni a soggetti diversi, prevale la cessione di colui che ha annotato per primo.
Siffatta interpretazione della norma trova riscontro in alcune pronunce di merito
Si segnala, inoltre, una recente dottrina che ha riletto l’art. 2843 cc, che, come la teoria alternativa, ritiene che l’annotazione non ha la funzione di risolvere i conflitti con i terzi in genere, ma se ne discosta ritenendo che eventuali conflitti tra più cessionari del credito ipotecario devono essere risolti in base alle regole del diritto sostanziale.
Non sono state rinvenute pronunce conformi a tale indirizzo.
A quanto detto si collega direttamente il problema della successione nel processo esecutivo nel caso di cessione a titolo particolare per atto inter vivos e, dunque, sull’applicazione nel processo esecutivo dell’art. 111 cpc.
Sul punto è da segnalare che gli orientamenti della dottrina non sono univoci.
Più in particolare secondo alcuni l’art. 111 cpc sarebbe invocabile tanto nel processo esecutivo tanto nel giudizio di cognizione, con la conseguenza che il processo esecutivo procede tra le parti processuali originariamente intervenute.
Siffatta impostazione è stata seguita da costante e consolidata giurisprudenza , che ritiene che in pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall’art. 111 cpc, dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l’alienante mantiene la sua legittimazione attiva (ad causam) conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare, fino a quando non sia estromesso con il consenso delle altre parti.
È, tuttavia, da segnalare che tale orientamento, limitando l’analisi all’aspetto puramente processuale della questione, non affronta il problema di come possa concretizzarsi il fine ultimo dell’esecuzione cioè la realizzazione del diritto per cui si procede nell’ipotesi in cui il processo sia proseguito dal dante causa non più titolare del diritto, posto che il ricavato della vendita non potrebbe andare a vantaggio del soggetto che vi ha partecipato solo formalmente.
Per tale motivo si è sviluppato un altro orientamento secondo cui l’art. 111 cpc sarebbe totalmente incompatibile con il processo esecutivo, trattandosi di attuazione del diritto già accertato .
Sul punto segnalo una pronunzia emessa dal Tribunale di Napoli nella persona del Giudice dott. Scoppa, confermata in appello, e successivamente riformata in Cassazione , che offre spunti interessanti di riflessione.
In particolare, la sentenza di primo grado aveva deciso il giudizio di opposizione all’esecuzione proposto dal debitore esecutato sul presupposto che non sussisteva il diritto della Banca ad agire esecutivamente perché lo stesso aveva ceduto il credito e, quindi, deducendo la carenza di legittimazione attiva in capo al creditore esecutante rimasto privo di titolo esecutivo.
Il Tribunale, partendo dal presupposto che solo ed esclusivamente chi è titolare del diritto è legittimato a farlo valere, aveva concluso per l’inapplicabilità alla procedura esecutiva del disposto di cui all’art. 111 cpc, spiegando che chi ha ceduto il titolo non ha diritto a porre in essere altri singoli atti del processo esecutivo, che è strutturato come una sequenza continua di atti ordinati assolutamente indipendenti, e che l’intervento della cessionaria era comunque inefficace e irrituale, essendo avvenuto dopo che, in un momento processuale precedente, era stata tempestivamente sollevata l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire .
In conseguenza di quanto sopra, il Tribunale, in accoglimento dell’opposizione, aveva evidenziato l’inapplicabilità del disposto dell’art. 111 cpc al processo esecutivo, precisando che “in considerazione della cessione del diritto della cui esecuzione si tratta, in pendenza del processo esecutivo, la parte obbligata ha diritto di far valere, attraverso l’opposizione all’esecuzione, un proprio interesse a non essere costretta a subire l’esecuzione del cedente che non ha più diritto a pretenderla”.
La sentenza in esame è stata riformata in Cassazione .
In particolare la Corte, richiamando una precedente pronunzia e precisamente la sentenza n.9211 del 06/07/2001 , ha statuito che il processo esecutivo può proseguire tra le parti originarie, tuttavia, in presenza di un’eccezione di carenza di legittimazione attiva del cedente, il cessionario deve manifestare la volontà di proseguire il processo esecutivo, depositando atto di intervento nella procedura stessa ovvero nel giudizio di opposizione.
Si profila una soluzione cd. intermedia, volta a ritenere applicabile l’art. 111 cpc al processo esecutivo con gli opportuni adattamenti legati alla peculiarità di tale processo.
Argomentando sulla base del principio espresso, potrebbero verificarsi i seguenti casi:
1).il cedente prosegue nel processo esecutivo pur essendo intervenuta la cessione, non essendo previsto alcun termine per la costituzione del cessionario;
2). se il debitore contesta la legittimazione, allora il successore deve manifestare la sua volontà di proseguire nel processo esecutivo ovvero mediante intervento nel giudizio di opposizione cui abbia dato luogo l’iniziativa assunta dall’obbligato;
3).se, viceversa, il cessionario interviene nel processo esecutivo, allora l’alienante non ha interesse giuridico alla prosecuzione.
Conseguentemente l’eventuale intervento dell’avente causa del creditore nel processo esecutivo comporta l’estromissione automatica del dante causa senza necessità di acquisire il consenso delle altre parti, atteso che – diversamente operando – si impedirebbe al titolare del credito di decidere se portare avanti il processo esecutivo o determinare la sua chiusura anticipata, oltre che si arriverebbe alla conclusione che, in caso di estinzione del processo esecutivo, sarebbe necessario acquisire gli atti di rinunzia di due soggetti, avvicendandosi nella titolarità della stessa posizione.
CARTOLARIZZAZIONE DEL CREDITO: CESSIONE IN BLOCCO EX ART. 58 LB
Se la cessione di credito è uno strumento cui da sempre si è fatto ricorso nelle operazioni economiche, assume un’importanza ed un’influenza numericamente maggiore rispetto al passato, atteso che in seguito alle innovazioni normative di cui all’art. 58 del D.Lgs. 385/1993 e soprattutto alla legge n. 130/1999 (cd. Legge sulle cartolarizzazioni) sempre più istituti di credito tendono a cedere in blocco i loro crediti a sofferenza, attraverso un’operazione così sintetizzabile:
un soggetto (cd. originator) trasferisce un portafoglio di crediti, selezionati secondo criteri quantitativi e qualitativi, da lui generati nei confronti dei sui clienti ad una società appositamente costituita per quella singola operazione (cd. special purpose vehicle o SPV), la quale emette obbligazioni o altri titoli di credito similari (cd. securities) ed utilizza l’importo ricavato dal collocamento dei titoli per l’acquisizione dei crediti ceduti dall’originator.
L’unica condizione necessaria di fattibilità dell’operazione è lo status soggettivo delle parti contrattuali, dovendo avere le società coinvolte determinati requisiti richiesti ex lege.
La peculiarità di siffatta operazione economica è individuabile negli effetti da essa prodotti sia tra le parti sia rispetto ai terzi, in quanto, in quanto l’art. 58 comma 2, 3 e 4 della legge bancaria prevede:
a).la notificazione della cessione mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
b).l’iscrizione della cessione presso il Registro delle Imprese;
c).la conservazione dei privilegi e delle garanzie ipotecarie stabilite a favore del cedente senza bisogno di alcuna formalità (vi è, dunque, l’esonero della disposizione di cui all’art. 2843 cc).
Alla luce di ciò, dunque, i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, che assistono i crediti ceduti, si trasferiscono in capo al cessionario, conservando la loro validità e il grado, senza necessità di annotazione o altra formalità, se non quella della pubblicazione dell’intervenuta cessione sulla Gazzetta Ufficiale, che ha i medesimi effetti di cui alla comunicazione ex art.1264 cc, e dell’iscrizione della cessione presso il Registro delle Imprese.
Dalla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altra società, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione.
Dalla stessa data la cessione dei crediti è opponibile:
a).agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi in data anteriore;
b).ai creditori del cedente che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione della cessione.
Ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti alla società cessionaria non si applica la revocatoria fallimentare.
Ebbene in questi casi, tenuto che le cessioni avvengono in blocco indipendentemente dall’individuazione del singolo credito e dal fatto che esso sia o meno già oggetto di azione esecutiva, accade spesso che la cessione, che ha ad oggetto normalmente crediti a sofferenza, riguardi posizioni debitorie per le quali il cedente aveva già incardinato la procedura, con la conseguenza che per i motivi sopra indicati se il cessionario non interviene, la stessa prosegue tra le parti originarie.
Nel caso in cui il cessionario depositi nel corso della procedura esecutiva la comparsa di costituzione, con la quale comunica l’intervenuta cessione, fermo quanto statuito dalla Cassazione in ordine alla circostanza che l’unico soggetto legittimato ad eccepire la carenza di legittimazione attiva è il debitore ovvero il cedente, è opportuno esaminare i documenti posti alla base della richiamata cessione e, dunque, la corrispondenza tra il titolo azionato e i criteri identificativi del credito così come indicati nell’estratto della Gazzetta Ufficiale.
CESSIONI DEI CREDITI AVENTI NATURA FONDIARIA
Un breve cenno meritano sicuramente le questioni sottese alla cessione dei crediti di natura fondiaria sia per la particolare natura del credito ceduto, sia per i privilegi processuali ad esso accordati.
Da qui il problema della sopravvivenza dei privilegi di natura sostanziale e processuale alla cessione dei credito fondiario se avviene al di fuori delle operazioni di cartolarizzazione.
In tale ultimo caso, infatti, non sussiste alcun dubbio sulla permanenza dei privilegi, in quanto l’art. 58 Lb al terzo comma prevede l’applicabilità della disciplina anche di carattere speciale prevista per i creditori ceduti , la cui ratio è quella di mirare a soddisfare svariate esigenze, prima delle quali quelle delle stesso cedente, cui viene consentita la trasformazione di singole attività, relativamente illiquide, in strumenti liquidi e negoziabili e il conseguente riequilibrio della propria struttura finanziaria .
Al di fuori di tali operazioni, invece, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha sempre affermato che alla cessione del credito fondiario non corrisponde la cessione dei privilegi processuali stabiliti per tale particolare credito.
Le disposizioni di cui al R.D. n. 646/1905 (come quelle stabilite dalla legislazione successiva) hanno, infatti, natura di norme eccezionali , in quanto creano a favore degli istituti di credito fondiario ovvero al soggetto Banca una situazione di privilegio, strettamente legata sia alla natura del credito sia alla natura del creditore.
La ratio di tali norme, infatti, ha spiccata natura pubblicistica e deve ravvisarsi non solo nella causa o natura del credito, né nella funzione delle somme riscosse, né nell’economia processuale, quanto nella qualità soggettiva del creditore procedente (un istituto di credito).
Conseguentemente i privilegi stabiliti in favore di chi amministra il credito non si giustificano nei confronti degli stessi soggetti, che non hanno la qualità di creditori fondiari (per essere ad esempio divenuti cessionari al di fuori di schema di cartolarizzazione) .
Alla luce di ciò, dunque, non deve ritenersi esteso il privilegio previsto dall’art. 41 del TU n. 385/1993 al cessionario, che non riveste la qualifica di Banca ovvero di cessionario ai sensi dell’art. 58 Lb.
Sul punto si segnala un’ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli nella persona del Giudice dell’Esecuzione dott. Pica, che ha motivato la mancata estensione sul presupposto che il trattamento di favore nella fase di distribuzione e il consequenziale affievolimento del controllo giurisdizionale sul compimento degli atti esecutivi nella fase espropriativa trova la sua ratio nella particolare qualifica del creditore Banca, su cui si può fare affidamento che, in caso di versamento da parte dell’aggiudicatario (o del custode) di somme superiori a quelle spettanti, restituisca subito all’avente diritto quanto ricevuto in esubero.
Del pari non può ritenersi esteso al cessionario la facoltà di iniziare e/o proseguire l’azione esecutiva anche dopo il fallimento del debitore, trattandosi di prerogativa che l’art. 41 co. 2 cit. riserva espressamente solo al creditore-banca .
Testo del provvedimento
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