ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di accertamento induttivo dei redditi di impresa, consentito ex art.39, comma primo, lett. d) del DPR n.600/1973 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato una capacità contributiva non dichiarata, e, pertanto, l’ufficio non dovrà provare null’altro, mentre graverà sul contribuente l’onere di provare la regolarità delle operazioni effettuate.
E’ questo il principio di diritto che emerge dall’ordinanza n.28190 pronunziata dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, a seguito del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania.
In particolare, la Commissione regionale aveva rigettato l’appello proposto dell’ Ente di riscossione relativo all’avviso di accertamento per Irpef ed Iva riguardanti il 2000, e concernenti il reddito da partecipazione nella società di fatto P., di cui tale G.P. era legale rappresentante. Ad avviso del giudice di secondo grado, l’appellante non aveva fornito la prova del proprio assunto ed inoltre nessuna dimostrazione v’era stata circa l’iscrizione della società nel registro delle imprese, come pure in ordine alla partita Iva.
Proposto quindi ricorso per Cassazione, l’Agenzia delle Entrate aveva dedotto violazione di norma di legge ed omessa motivazione in quanto, in quanto la CTR non aveva considerato che l’atto impositivo si fondava sulla articolata verifica svolta dalla Guardia di finanza, la quale aveva accertato l’esistenza della società di fatto P., di cui lo stesso C. aveva dichiarato di essere solo procacciatore di affari, senza tuttavia avere mai emesso fatture. Il relativo verbale era stato allegato all’avviso di accertamento, come in esso indicato, ed era stato persino consegnato all’amministratore.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha accolto pienamente le doglianze dell’Agenzia, ribaltando le pronunce dei due precedenti gradi di giudizio motivando l’ordinanza sulla base di due distinte rationes decidendi.
In primis, gli Ermellini hanno stabilito la piena legittimità dell’avviso di accertamento motivato per relationem in quanto l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte.
Al contrario, sarà onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla eventuale «antieconomicità» delle stesse, senza che sia sufficiente invocare la mera regolarità delle annotazioni contabili.
In questo caso, come evidente, i Giudici hanno sancito la legittimità dell’avviso di accertamento motivato per relationem, sull’assunto che il contribuente era comunque a conoscenza (o lo sarebbe dovuto essere) del contenuto del pvc. Aspetto tutt’altro che secondario, posto che solo a seguito dell’effettiva conoscenza di tutto il materiale probatorio, il contribuente ha la garanzia di poter adottare una difesa adeguata. Decisione, quella odierna, che sconfessa altre pronunce di legittimità (si veda, ad es: Cass. 5850/11), con le quali invece gli stessi giudici di legittimità hanno sancito l’illegittimità degli avvisi di accertamento motivati per relationem.
Ma i Giudici nomofilattici non si sono limitati solo a questo aspetto nell’ordinanza in commento.
Essi infatti hanno affermato che anche le vicende relative alla situazione patrimoniale del contribuente accadute in anni precedenti da quello in contestazione possono costituire legittimi indici di capacità contributiva, “allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori e autonomi indici contributivi“.
Aspetto, quest’ultimo, che offre ampi strumenti istruttori all’Agenzia, che potrà scegliere ad libitum quale periodo d’imposta “scegliere” per suffragare le tesi relative alle proprie contestazioni.
L’auspicio è che intervenga una pronuncia giurisprudenziale a Sezioni unite a chiarire la portata di detto potere e, soprattutto, che la stessa possibilità di utilizzo a proprio favore delle precedenti annualità fiscali possa essere riconosciuta al contribuente in sede giudiziaria.
Testo del provvedimento
CORTE DI CASSAZIONE
Ordinanza 17 dicembre 2013, n. 28190
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n, 76/23/2010, depositata il 7 aprile 2010, con la quale, rigettato l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione di C.C., relativa all’avviso di accertamento per Irpef ed Iva riguardanti il 2000, e concernenti il reddito da partecipazione nella società di fatto P., di cui tale G.P. era legale rappresentante, veniva accolta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’appellante non aveva fornito la prova del proprio assunto, come anche il processo verbale della verifica svolta dalla Guardia di finanza mancava. Inoltre nessuna dimostrazione v’era stata circa l’iscrizione della società nel registro delle imprese, come pure in ordine alla partita Iva.
C. non si è costituito.
Motivi della decisione
2. Con entrambi i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, la ricorrente deduce violazione di norme di legge, ed omessa motivazione, in quanto la CTR non considerava che l’atto impositivo si fondava sulla articolata verifica svolta dalla Guardia di finanza, la quale aveva accertato l’esistenza della società di fatto P., di cui lo stesso C. aveva dichiarato di essere solo procacciatore di affari, senza tuttavia avere mai emesso fatture. Il relativo verbale era allegato all’avviso di accertamento, come in esso indicato, ed era stato persino consegnato all’amministratore P.. La società a sua volta era collegata con la W.M. srl., di cui figurava amministratore tale suindicata legale rappresentante, mentre quest’altro ente sociale fungeva da cartiera, sicché intercorreva un rilevante flusso di denaro per operazioni inesistenti tra entrambe le società, tanto che i soci erano stati deferiti alla procura della Repubblica per fatti di rilevanza penale, tuttavia senza che tali dati fossero stati nemmeno presi in considerazione dai giudici di appello.
I motivi sono fondati. Invero, com’è noto, in tema di mento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dall’art. 39, comma primo, lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla eventuale antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 951 del 16/01/2009, n. 11599 del 2007).
Del resto anche le vicende relative alla situazione patrimoniale del contribuente accadute in anni diversi da quello in contestazione possono costituire legittimi indici di capacità contributiva in tale materia, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi (V. pure Cass. Sentenza n. 6714 del 02/06/1992).
Del resto, com’è noto, in tema di accertamento dell’IVA, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modificazioni introdotte dall’art. 2 del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 in attuazione dello “Statuto del contribuente”), l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento può essere assolto anche mediante rinvio ad altri atti conosciuti o conoscibili da parte del contribuente, ed in particolare al verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria. Pertanto, in caso d’impugnazione, il giudice dì merito deve accertare, motivando adeguatamente sul punto, se detto verbale sia stato posto nella sfera di conoscenza del contribuente, tenendo presente che tale presupposto deve considerarsi “in re ipsa” quando il riferimento attiene a verbali di ispezione o verifica redatti alla presenza del contribuente, o a luì comunicati o notificati nei modi di legge (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 2462 del 05/02/2007, n. 15842 del 2006).
Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
3. Ne discende che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
4. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
PQM
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Campania, altra sezione, per nuovo esame.
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Numero Protocolo Interno : 10/2013