ISSN 2385-1376
Testo massima
Segnalata dall’Avv. Roberto Rusciano del Foro di Napoli
In materia di investimenti finanziari, il rapporto cliente intermediario può essere inquadrato, nella fase dell’acquisto dei titoli, nella figura del mandato professionale.
È ammissibile la domanda di risoluzione dell’ordine di investimento soltanto se subordinata a quella di risoluzione del contratto quadro di intermediazione finanziaria.
Ogni acquisto genera a carico della banca impegni traslativi, non obblighi informativi, i quali rispetto ad esso sono “precontrattuali” proprio perché esistono prima dell’ordine, essendo funzionali alla sua soddisfacente conclusione; d’altronde, non si può risolvere un contratto per violazione di obblighi che non nascono dal contratto stesso, configurandosi altrimenti una risoluzione a metà. Non c’è, in altre parole, inadempimento agli obblighi derivanti dal singolo ordine di acquisto.
L’omessa informativa in riferimento ad uno specifico investimento non può integrare de plano il requisito della gravità di cui all’art. 1155 c.c., dovendo l’indagine avere riguardo all’intero portafoglio finanziario dell’investitore, al fine di “pesare” l’incidenza del comportamento dell’intermediario sia rispetto alla singola fattispecie contestata in giudizio, sia nell’ambito del rapporto contrattuale considerato nel suo complesso.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Bari, in persona della dott.ssa Marisa Attollino, con sentenza n.1274 dell’8 marzo 2016, in materia di investimenti in strumenti finanziari e (lamentato) inadempimento dell’intermediario in relazione all’acquisto dei “famigerati” titoli Lehman.
Nella fattispecie in esame, i clienti-investitori agivano in giudizio al fine di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto di obbligazioni Lehman Brothers, sul presupposto dell’inadempimento della banca intermediaria, con richiesta di restituzione della somma investita, oltre al risarcimento del danno.
Nel dettaglio, i ricorrenti lamentavano la violazione della normativa di settore in materia di obblighi informativi precontrattuali, per non aver messo a loro disposizione tutta la documentazione contrattuale, nemmeno rinvenuta successivamente a seguito di specifica richiesta; nonché la violazione ad opera della medesima resistente dei più generali oneri di informativa e diligenza nella gestione del rapporto, di cui agli artt. 1176, 1218, 1343, 1375 e 1418 del codice civile.
In via subordinata, chiedevano l’annullabilità del contratto di acquisto dei prodotti finanziari per vizio del consenso determinato da dolo della controparte e/o da errore essenziale in cui sarebbero incorsi i contraenti.
Si costituiva in giudizio l’istituto di credito convenuto, il quale eccepiva l’infondatezza della domanda attorea chiedendone l’integrale rigetto e formulando domanda riconvenzionale per la restituzione, mediante compensazione, delle cedole già riscosse.
La controversia si iscrive nel filone del contenzioso sorto all’indomani del noto fallimento Lehman, con le numerose domande restitutorie da parte degli investitori rivolte agli intermediari, rei (a dire dei primi) di non aver previsto il tracollo della banca americana.
Se già da tempo la giurisprudenza si è pronunciata sulla oggettiva imprevedibilità del default e comunque sulla inidoneità degli esiti nefasti degli investimenti ad incidere sui profili strutturali del contratto “quadro” stipulato tra cliente ed intermediario (si legga: la spesso dedotta nullità del contratto per mancanza di causa, per effetto di comportamenti attinenti piuttosto alla fase di informativa precontrattuale), la particolarità del caso di specie sta nel fatto che gli investitori ricorrevano in giudizio con l’intento di far caducare soltanto l’operazione risultata ex post sconveniente, proponendo una domanda di nullità abbinata ad una domanda di risoluzione per grave inadempimento della banca dell’ordine di acquisto, con conseguente richiesta di restituzione dell’intera somma investita.
Rifacendosi ad orientamenti consolidati, il Tribunale ha subito accantonato il profilo della nullità, sia per la genericità dell’eccezione, sia per l’inidoneità della dedotta mancata consegna dei documenti informativi e contrattuali ad incidere sulla causa del negozio.
Innanzi ad una richiesta risolutoria che come ben evidenziato in sentenza non coinvolgeva minimamente il contratto quadro di negoziazione (ma solo il singolo ordine d’investimento), il giudice barese ha premesso che la posizione della giurisprudenza è tutt’altro che univoca.
Con un pregevole excursus giurisprudenziale di legittimità, il Tribunale ha osservato che, secondo un primo orientamento, è soltanto al momento della scelta del titolo da acquistare, e non prima, che l’investitore esprime consapevolmente la propria volontà, con piena accettazione del rischio.
Ad avviso di altro orientamento giurisprudenziale, invece, la domanda di risoluzione negoziale di una determinata operazione finanziaria non è ammissibile, atteso che le obbligazioni di informare il cliente trovano fonte esclusiva nel contratto di intermediazione finanziaria (c.d. contratto quadro) e non già nel singolo ordine di investimento.
In ogni caso, indipendentemente da come si voglia intendere il rapporto negoziale di cui si discute, non appare convincente si legge nella pronuncia in commento quella interpretazione fornita da una parte della giurisprudenza che ritiene “aggredibile” il singolo ordine di investimento consentendo la sopravvivenza del contratto quadro.
Invero, ogni acquisto genera a carico della banca impegni traslativi, non obblighi informativi, i quali rispetto ad esso sono “precontrattuali” proprio perché esistono prima dell’ordine, essendo funzionali alla sua soddisfacente conclusione; d’altronde, non si può risolvere un contratto per violazione di obblighi che non nascono dal contratto stesso, configurandosi altrimenti una “risoluzione a metà”.
Non c’è, in altre parole, inadempimento agli obblighi derivanti dal singolo ordine di acquisto, e cioè l’obbligo di darvi esecuzione, all’obbligo di attribuire i titoli o i risultati monetari dell’operazione di acquisto o vendita al cliente, e così via.
Ciò in quanto si confonderebbero, altrimenti, due piani che debbono essere mantenuti distinti: quello delle obbligazioni scaturenti dal contratto quadro e quello delle obbligazioni derivanti dalla specifica operazione finanziaria.
Se, infatti, la pretesa carenza di informazioni si colloca in un momento precedente alla formazione della volontà contrattuale dell’investitore circa la desiderata operazione di investimento, soccorrono a sua tutela non già il rimedio della risoluzione per inadempimento dell’ordine, ma altri istituti quali, a seconda dei casi, l’annullamento per errore, violenza, dolo, la responsabilità ex art. 1337 c.c. o la tutela risarcitoria da responsabilità contrattuale per essere stati violati gli obblighi nascenti dal contratto quadro perfezionato fra le parti “a monte”.
E tanto perché soltanto nel contratto quadro sono cristallizzati, sotto il profilo normativo, i poteri ed i doveri delle parti, le competenze ed i limiti, e sotto quello economico, le specifiche condizioni per lo svolgimento dei servizi prestati.
Dunque, il rapporto cliente intermediario può essere inquadrato, nella fase dell’acquisto dei titoli, nella figura del mandato professionale.
In sostanza, l’investitore chiede all’intermediario di compiere atti che rientrano nell’attività professionale di quest’ultimo e ne consegue che l’atto di volta in volta eseguito, seppur caratterizzato da una sua fisionomia particolare, mantiene la sua valenza giuridica solo se considerato quale attuazione del contratto base nel quale trova origine e ragione. Secondo questa visuale, l’ordine di investimento non può cioè che riconnettersi, in termini di naturale sviluppo funzionale, alla pretesa di adempimento fondata sul contratto quadro di intermediazione finanziaria.
In virtù di tali considerazioni, il Tribunale ha ritenuto ammissibile una domanda di risoluzione dell’ordine di investimento soltanto se subordinata a quella di risoluzione del contratto quadro di intermediazione finanziaria.
In tali termini, l’omessa informativa in riferimento ad uno specifico investimento non può integrare de plano il requisito della gravità di cui all’art. 1155 c.c., dovendo l’indagine avere riguardo all’intero portafoglio finanziario dell’investitore, al fine di pesare l’incidenza del comportamento dell’intermediario sia rispetto alla singola fattispecie contestata in giudizio, sia nell’ambito del rapporto contrattuale considerato nel suo complesso.
Il Tribunale barese mette bene in evidenza i principi enucleati dalla Suprema Corte e dalla giurisprudenza maggioritaria, elencandoli testualmente:
1. il contratto quadro può essere accostato al mandato;
2. da questo contratto derivano obblighi e diritti reciproci dell’intermediario e del cliente;
3. le successive operazioni, benché possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di negoziazione;
4. i doveri di informazione sussistono anche dopo la stipulazione del contratto di intermediazione e sono finalizzati alla sua corretta esecuzione;
5. la violazione dei doveri dell’intermediario riguardanti la fase successiva alla stipulazione del contratto d’intermediazione può assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale;
6. l’eventuale loro violazione, oltre a generare obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull’inadempimento contrattuale, può, ove ne ricorrano gli estremi di gravità postulati dall’art. 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto di intermediazione finanziaria in corso.
Orbene, nel caso in disamina, il Giudice ha rilevato che il contratto quadro in discussione soddisfaceva pienamente l’obbligo di informativa precontrattuale in merito alla esplicazione dell’operazione a compiersi, ritenendo peraltro che la specifica operazione contestata (acquisto di obbligazioni Lehman Brothers per 30.000,00) fosse adeguata al profilo finanziario dei ricorrenti, considerato l’esiguo importo investito ed avendo ad oggetto comuni obbligazioni bancarie, all’epoca emesse da una delle maggiori banche americane per volume e dimensioni d’affari, e tanto più che i clienti avevano incassato già le prime cedole.
Inoltre, i ricorrenti nulla avevano allegato e tanto meno provato a supporto, limitandosi piuttosto a dolersi della sola non corretta negoziazione dei titoli, e non già della gestione del portafoglio, sicché una volta eseguita l’operazione di compravendita nell’ambito del “contratto-quadro”, nessun ulteriore dovere informativo gravava sulla convenuta nei confronti di coloro che i titoli avevano acquistato.
Quanto invece alla domanda di annullamento ex artt. 1429 e 1439 c.c., comunque ricollegata dai ricorrenti all’asserita violazione degli obblighi informativi, il Giudice ha chiarito che tale condotta non può rilevare in termini di vizio del consenso.
Infatti, il dolo invalidante deve essere attuato con una condotta positiva di raggiro e/o mediante la comunicazione di notizie false o con l’omessa maliziosa comunicazione da uno dei contraenti all’altro, in violazione del principio di buona fede, di circostanze e fatti decisivi che, se conosciuti, avrebbero indotto l’altra parte a non prestare il proprio consenso.
Nel caso di specie, non è emerso che la convenuta avesse artificiosamente indotto i clienti ad acquistare i titoli obbligazionari in questione per arrecare loro un danno, né tale prova poteva desumersi dalla situazione di default della banca emittente successivamente verificatasi.
Per quanto riguarda, invece, la censura sollevata dagli investitori circa l’errore come motivo di annullamento del contratto, formulata in relazione alla omessa informazione circa l’effettiva rischiosità dello strumento finanziario acquistato, il Tribunale adito ha ritenuto che il negozio dovesse comunque essere considerato tacitamente convalidato, per avere gli stessi realizzato profitti dall’investimento in parola, con la riscossione di ricavi cedolari.
Alla luce delle considerazioni esposte, il Tribunale di Piacenza ha rigettato le domande degli investitori con condanna degli stessi al pagamento delle spese di lite.
Per approfondimenti si veda:
LEHMAN BROTHERS: LA VIOLAZIONE DI OBBLIGHI INFORMATIVI NON È CAUSA DI NULLITÀ DEL CONTRATTO
INESISTENTI OBBLIGHI DI INFORMAZIONE “SUCCESSIVI”, IN RAGIONE DELL’IMPREVEDIBILITÀ DEL DEFAULT
Sentenza | Tribunale di Bari, Dott. Sergio Cassano | 14-10-2015 | n.4350
LEHMAN BROTHERS: RATING INVARIATO FINO AL DEFAULT, TRACOLLO IMPREVEDIBILE
LA BANCA NON ERA TENUTA A INFORMARE PER PERDITA DI VALORE E/O ‘AUMENTO RISCHIOSITÀ DEI TITOLI DOPO L’ACQUISTO
Sentenza | Tribunale di Roma, Dott. Guido Romano | 13-10-2015 | n.20420
BOND ARGENTINA: LA VIOLAZIONE DEI DOVERI DI INFORMAZIONE NON DETERMINA LA NULLITÀ DEI CONTRATTI DI ACQUISTO
LE OBBLIGAZIONI ARGENTINA, ALL’EPOCA DELL’INVESTIMENTO, ERANO CONSIDERATE UN PRODOTTO ASSOLUTAMENTE SICURO
Sentenza | Tribunale di Brescia, dott.ssa Angelina Augusta Baldissera | 31-12-2014 | n.2 e 3
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Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 224/2016