ISSN 2385-1376
Testo massima
“In tema di liquidazione dell’attivo fallimentare, al giudice delegato è attribuito, ai sensi dell’art. 108, comma 3, l.fall, (nel testo “ratione temporis “applicabile), il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita anche ad aggiudicazione avvenuta, purché sia esplicitato un coerente criterio idoneo a sorreggere l’esercizio di tale potere, con riguardo alle finalità cui la sua attribuzione risponde – la realizzazione del massimo valore pecuniario in vista del massimo risultato utile per la massa dei creditori – risolvendosi il suo difetto in una violazione di legge; il giudizio deve pertanto riguardare la inadeguatezza del prezzo offerto in sede di aggiudicazione rispetto a quello ritenuto giusto, per essere il primo notevolmente inferiore al secondo, ciò implicando non una mera comparazione tra prezzo offerto e ipotetico astratto valore del bene (nella specie, desunto solo da una nuova perizia), bensì la constatata esistenza di elementi idonei a far seriamente ritenere il prezzo di aggiudicazione notevolmente inferiore a quello giusto (quali nuove offerte di acquisto, indebite interferenze, modalità dì attuazione della vendita precedente)”
È questo il principio di diritto confermato dal Tribunale di Ivrea nel decreto emesso in data 11 ottobre 2012, in materia di liquidazione dell’attivo fallimentare.
Nel caso di specie, una società proponeva reclamo avverso il decreto con cui il Giudice Delegato rigettava l’istanza volta ad impedire il perfezionamento della vendita del compendio aziendale della società fallita. Le censure mosse dalla reclamante si fondavano sul presupposto che il prezzo offerto ai fini della liquidazione dell’attivo fosse notevolmente inferiore al valore del compendio immobiliare, come determinato dalle perizie di stima espletate nell’ambito della procedura fallimentare.
Inoltre la società in questione lamentava che il curatore avesse individuato il prezzo a base d’asta, non sulla base del valore commerciale come determinato dai CTU, bensì sulla base dell’offerta più alta tra quelle presentate.
Tali doglianze, già disattese dal Giudice Delegato, non sono state accolte dal Collegio, che ha rilevato la libertà di forma delle vendite e la corretta applicazione dei meccanismi di “contrappeso” (pubblicità, obbligo di motivazione) che garantiscono tale principio di libertà.
Sulla base di quanto affermato di recente dalla Suprema Corte, il Collegio ha accolto la tesi del Fallimento, secondo la quale l’equazione “giusto prezzo = perizia di stima” è fallace nel momento in cui le condizioni del mercato siano tali da condurre ad uno spostamento tra l’astratto valore del bene e il prezzo concretamente determinato dal confronto tra domanda e offerta.
La perizia di stima non è dunque decisiva al fine della determinazione del “giusto prezzo” ed il Giudice Delegato ha il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita anche ad aggiudicazione avvenuta, sulla scorta, si intende, di un criterio idoneo a sorreggere l’esercizio di tale potere.
Testo del provvedimento
Il Tribunale (omissis).
P. S.a.s. ha proposto reclamo avverso il decreto n. 208 del 5-6 luglio 2012 con cui il Giudice Delegato ha rigettato l’istanza ex art, 108, comma 1, seconda parte l.fall. formulata dalla odierna reclamante (creditrice ipotecaria ammessa al passivo del Fallimento I.) per impedire il perfezionamento della vendita del compendio aziendale della società fallita per il prezzo di euro 1.074.000,00, reputato ”notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato”. Il reclamo è infondato.
P. S.a.s. muove essenzialmente due ordini di censure all’operato degli organi della procedura, e precisamente:
1.il prezzo offerto (e integralmente versato) da L. S.r.l. è notevolmente inferiore al valore del compendio immobiliare cosi come risultante dalle perizie di stima espletate nell’ambito della procedura fallimentare. In particolare, a fronte di un valore stimato compreso tra euro 3.137.000,00 ed euro 3.410.890,00, L. S.r.l si è resa aggiudicatari a offrendo un corrispettivo inferiore alla metà del valore minino della forbice, e precisamente euro 1.074.000,00;
2. il disciplinare di vendita depositato dal Curatore in data 30 marzo 2012 ha individuato il prezzo a base d’asta prendendo come punto di riferimento non il valore commerciale così come determinato dai CTU, ma l’offerta più alta tra quelle validamente presentate, così legittimando – di fatto – la formulazione di offerte di importi assai inferiori rispetto a quelli risultanti dalle perizie di stima.
Tali doglianze sono state disattese dal Giudice delegato in due occasioni: in data 24 maggio 2012 P. S.a.s. ha depositato un’istanza di sospensione delle operazioni di vendita ex art. 108, comma 1, prima parte, l.fall. rigettata con decreto del 30 maggio 2012; la seconda istanza – questa volta diretta ad impedire il perfezionamento della vendita ex art. 108, comma 1, seconda parte, l.fall. è stata depositata l’11 giugno 2012 (quindi in data successiva all’aggiudicazione provvisoria disposta a favore di L. S.r.l, ed al deposito della documentazione ex art. 107, comma 5, l.fall.), ed è stata rigettata con il provvedimento oggi reclamato.
Il Collegio ritiene di dover confermare le conclusioni a cui è pervenuto il Giudice Delegato.
Ragioni di ordine logico inducono ad esaminare in prima battuta la doglianza sopra sintetizzata sub 2.
La difesa del Fallimento ha buon gioco nel rilevare che la riforma ha introdotto il principio della libertà di forma delle vendite fallimentari, fissando come unico punto fermo il principio secondo cui il programma di liquidazione deve prevedere forme di pubblicità tali da garantire la massima informazione e partecipazione degli interessati (forme effettivamente rispettate nel caso di specie, come risulta dalla documentazione prodotta sub 3 fase. Fallimento).
Il necessario contemperamento tra il principio della libertà delle forme e l’esigenza della tutela degli interessi del ceto creditorio è assicurato dall’obbligo di motivazione incombente sul Curatore, che deve sottoporre le proprie decisioni ai sindacato del Comitato dei Creditori. Nel caso di specie il programma di liquidazione (cfr. doc, 1 fase. Fallimento) ha evidenziato – tra l’altro – la significativa differenza tra l’offerta formalizzata dall’affittuaria LIT S.r.l. ed i valori indicati nelle perizie di stima, la necessità di conformare la procedura competitiva allo schema della vendita senza incanto e la possibilità dì presentare offerte riservate salvo attuare una gara tra più offerenti, se sussistenti, sulla base dell’offerta più alta pervenuta.
Il programma di liquidazione è stato approvato dal Comitato dei Creditori (costituito – come ha evidenziato il Curatore all’udienza del 26 settembre 2012 – in modo tale da rispecchiare fedelmente la composizione e le caratteristiche del ceto creditorio) senza alcuna modifica, e il disciplinare di vendita depositato il 30 marzo 2012 si limita a dettare disposizioni attuative di quanto previsto nel suddetto programma.
La censura concernente il criterio per la determinazione del prezzo a base d’asta non può quindi trovare accoglimento, essendo stati rispettati tutti i principi che presiedono alla vendita fallimentare, ed in particolare essendo stati correttamente attivati i meccanismi di “contrappeso” (pubblicità, obbligo di motivazione) che garantiscono che il principio della libertà delle forme non trasmodi nell’esercizio arbitrario dei poteri del Curatore in danno dell’interesse dei creditori.
Sia detto incidentalmente – per concludere il discorso sulla piena legittimità dell’operato del Curatore – che quest’ultimo ha prospettato al Comitato dei Creditori (ottenendone, come detto, il pieno avallo) la preferenza per l’opzione della cessione unitaria del complesso aziendale rispetto alla soluzione imperniata sulla vendita atomistica dei suoi componenti. Di tal ché – anche prescindendo dalla constatazione per cui la relativa doglianza non costituisce motivo di reclamo – non possono essere accolte le obiezioni svolte per la prima volta nel corso dell’udienza del 26 settembre 2012 dalla difesa di P. S.a.s., la quale ha rilevato come l’interesse alla continuità aziendale non può essere perseguito a scapito dei principi sanciti dall’art. 105 l.fall., ed in particolare in danno dell’interesse dei creditori: in verità, per le ragioni poc’anzi esposte, tale interesse è stato espresso chiaramente dal Comitato nel momento in cui tale organo ha approvato il programma di liquidazione, che come detto privilegiava la soluzione della vendita unitaria e quindi mirava a garantire la continuità dell’impresa (evidentemente nell’ottica di preservare il valore del complesso aziendale proprio in vista della “maggiore soddisfazione dei creditori”).
Venendo ora alla seconda doglianza, osserva il Collegio che il problema nodale da affrontare consiste nello stabilire se effettivamente – come sostiene la società reclamante – nella determinazione del “giusto prezzo” non si possa prescindere dal valore attribuito al bene dalla perizia di stima disposta nell’ambito della procedura fallimentare.
Il Fallimento obietta che l’equazione “giusto prezzo perizia di stima” si rivela fallace nel momento in cui le condizioni del mercato sono tali da condurre ad uno scostamento tra l’astratto valore dei bene e il prezzo concretamente determinato dal confronto tra la domanda e l’offerta.
Ad avviso del Collegio la tesi propugnata dal Fallimento deve essere accolta, sia pure con le precisazioni che seguono.
La Suprema Corte ha di recente affermato che, “in tema di liquidazione dell’attivo fallimentare, al giudice delegato è attribuito, ai sensi dell’art. 108, comma 3, l.fall, (nel testo “ratione temporis “applicabile), il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita anche ad aggiudicazione avvenuta, purché sia esplicitato un coerente criterio idoneo a sorreggere l’esercizio di tale potere, con riguardo alle finalità cui la sua attribuzione risponde – la realizzazione del massimo valore pecuniario in vista del massimo risultato utile per la massa dei creditori – risolvendosi il suo difetto in una violazione di legge; il giudizio deve pertanto riguardare la inadeguatezza del prezzo offerto in sede dì aggiudicazione rispetto a quello ritenuto giusto, per essere il primo notevolmente inferiore al secondo, ciò implicando non una mera comparazione tra prezzo offerto e ipotetico astratto valore del bene (nella specie, desunto solo da una nuova perizia), bensì la constatata esistenza di elementi idonei a far seriamente ritenere il prezzo di aggiudicazione notevolmente inferiore a quello giusto (quali nuove offerte di acquisto, indebite interferenze, modalità dì attuazione della vendita precedente)” (Cass., sentenza n. 28836/ 2008). Nonostante l’opinione contraria manifestata dalla difesa di P. nel corso della discussione orale i suesposti principi ben si attagliano al caso che occupa, perché anche nella fattispecie sottoposta all’esame del Tribunale di Grosseto (e poi della Suprema Corte) era stata riscontrata, confrontando il valore stimato dalla perizia ed il prezzo di aggiudicazione, una distonia tale per cui il secondo era risultato inferiore al 50% del primo.
La Cassazione ha quindi affermato che la perizia di stima non è decisiva al fine della determinazione del “giusto prezzo”: il Tribunale di Grosseto avrebbe dovuto avere riguardo anche ad altri elementi per verificare l’eventualità di uno scostamento tra valore astratto e prezzo di mercato. In verità i principi enunciati dalla sentenza n. 28836/2008 si collocano a pieno titolo nel solco tracciato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità. Giova precisare che l’istituto della sospensione della vendita fallimentare era previsto dall’art, 108 l.fall. fin dalla versione originaria della disposizione in esame. Possono quindi essere valorizzati, ai fini della presente decisione, arresti non propriamente recenti, per dimostrare che la Cassazione ha sempre indirizzato l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nel senso della non decisività del valore astratto, segnalando la necessità di valorizzare altri elementi.
In particolare, secondo Cass., sentenza n. 10539/1996 il giusto prezzo e` il prezzo di mercato dei bene determinato dal gioco delle offerte ai rialzo, una volta che tutti gli interessati in offerta ed in aumento abbiano avuto la possibilità dì esprimersi.
In particolare, la pronuncia appena citata precisa che la manifestazione più frequente e tipica della ravvisabilità di una notevole sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione e quello effettivamente conseguibile e` costituita dalla effettuazione di una nuova offerta.
Nuova offerta, peraltro, il cui valore sintomatico (nel senso sopra chiarito) prescinde dalla tempestività; Cass., sentenza n. 4329/1982 ha statuito che se un terzo, rimasto estraneo al procedimento di vendita fallimentare di un immobile, si dichiara successivamente pronto ad offrire un prezzo superiore a quello in base al quale il bene è stato aggiudicato, la sospensione della vendita, nella prospettiva di far partecipare il terzo ad un’eventuale nuova gara, può essere disposta nel caso in cui l’offerta “tardiva”, valutata congiuntamente ad ogni altra circostanza, sia tale da evidenziare che il prezzo di aggiudicazione e` notevolmente inferiore a quello giusto. Come la presenza dì una nuova offerta (anche tardiva) può indurre il giudice a riscontrare l’ingiustizia del prezzo di aggiudicazione, così la mancanza assoluta di offerte più alte (anche tardive) può indurre lo stesso giudice a ritenere che il prezzo di aggiudicazione sia effettivamente quello congruo in quanto determinato dalle “condizioni del mercato”.
È allora decisivo considerare che, nel caso di specie, l’unica offerta pervenuta – a distanza di anni dall’apertura del fallimento – e` stata quella di L S.r.l. Nemmeno dopo la gara il Curatore ha ricevuto una “offerta irrevocabile di acquisto che superi il prezzo raggiunto in gara di almeno il 10%”, ipotesi che avrebbe consentito – in base alle previsioni del disciplinare di vendita – l’espletamento di una nuova procedura competitiva nell’ottica di un auspicato incremento del prezzo di aggiudicazione. Ciò induce a ritenere che non sia possibile formulare una prognosi favorevole circa il realizzo di un prezzo superiore a quello offerto da L S.r.l. Quindi la somma offerta e versata dalla società affittuaria sembra effettivamente corrispondere – alla luce delle indicazioni fomite dalla giurisprudenza di legittimità, così come sopra ricostruita – al prezzo giusto determinato “tenuto conto delle condizioni di mercato”, con evidente distonia tra quest’ultimo ed il valore astratto quantificato nelle perizie di stima, il quale evidentemente non può assurgere a valido parametro di riferimento per l’esercizio del potere riconosciuto al Giudice Delegato dall’art. 108 l.fall. Le due doglianze principali di P S.a.s. si rivelano pertanto infondate.
Per esigenze di completezza occorre farsi carico di due ulteriori obiezioni sollevate dalla reclamante.
In primo luogo si osserva che, se è vero che il contratto di affitto di azienda (cfr. doc. 12 fase, Fallimento) stabiliva che il prezzo dell’acquisto dell’azienda stessa da parte dell’affittuario sarebbe stato in parte corrisposto mediante l’accollo da parte di L S.r.l. del TFR maturato fino alla data di stipulazione del contratto di affitto, e` anche vero che l’aggiudicataria ha ormai provveduto al pagamento integrale della somma offerta (la circostanza non e` contestata dalla reclamante).
In secondo luogo, P S.a.s. non può invocare a suo favore la prosecuzione del contratto di affitto prevista dall’art. 7 del contratto stesso, perché la proroga del termine di scadenza avrebbe potuto operare solo nel caso in cui fosse stato raggiunto un accordo per il trasferimento dell’azienda (cfr. paragrafo 2 del citato art. 7).
In ultimo il Collegio evidenzia che l’esercizio da parte del Giudice Delegato del potere di cui all’art. 108 l.fall. avrebbe avuto effetti deleteri, perché:
1. determinando l’interruzione dell’operatività aziendale, avrebbe determinato una perdita di avviamento e una diminuzione del valore dei beni aziendali, con pregiudizio per gli interessi dei creditori;
2. rendendo impossibile la trasformazione dei contratti di lavoro stipulati da L. S.r.l.; avrebbe inciso negativamente sul mantenimento dei livelli occupazionali, con conseguente frustrazione di una delle esigenze che hanno ispirato la riforma dell’art. 105 l.fall.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono il reclamo deve essere rigettato, con conseguente conferma del decreto del Giudice Delegato. L’astratta controvertibilità delle questioni trattate, riconducibile alla loro innegabile complessità, induce il Collegio a disporre la compensazione integrale delle spese di lite sostenute dalle parti in relazione alla fase di reclamo.
(Omissis).
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Numero Protocolo Interno : 52/2012