La condotta della parte che abbia fatto affidamento su contestazioni manifestamente infondate e che abbia inteso fondare la propria strategia difensiva esclusivamente sulle stesse, non appare ispirata ad un canone di sia pur minima diligenza ed è sanzionabile a titolo di responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c..
Il presupposto per la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. è da rinvenirsi nella condotta di chi abbia agito con mala fede o colpa grave, spiegando doglianze manifestamente infondate, in quanto incentrate su ricostruzioni del tutto fantasiose ed incompatibili sia con una serena comprensione del modus operandi dei contratti di mutuo ipotecario, sia con una lettura di “buon senso” dei rapporti contrattuali.
Il far affidamento sulle prospettazioni di tecnici nel settore contabile non esonera la parte dalle conseguenze derivanti dalla totale e manifesta infondatezza di quelle prospettazioni, atteso che costituisce un dato notorio il proliferare di perizie funzionali a far risultare in ogni caso l’usurarietà dei contratti bancari.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Dott. Valerio Colandrea, con la sentenza n. 1105 del 27.03.2017.
Nella fattispecie in questione, dei mutuatari convenivano in giudizio la Banca, onde ottenere, dal Tribunale adito, la declaratoria di nullità del contratto di mutuo ipotecario sottoscritto tra le parti in ragione, da una parte, della violazione della soglia anti-usura di cui alla L. n. 108/96, dall’altra, della violazione degli articoli 1283, 1284 e 1346 c.c., in conseguenza dell’illegittima applicazione del cd. metodo di ammortamento alla francese.
La Banca si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto, con condanna di parte attrice a titolo di responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c..
Il Tribunale campano, in primo luogo, in ordine alla dedotta usurarietà del tasso di interesse applicato nel contratto, osservava che le censure di parte attrice in merito alla presunta violazione del tasso soglia erano derivate dalla indebita sommatoria tra grandezze disomogenee, aventi diversa natura e funzione e dovute in via alternativa tra loro: gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori.
Infatti, proseguiva il Giudice, se gli interessi corrispettivi assicurano la remunerazione del capitale in base al principio della natura fecondità del denaro (di cui è espressione la disposizione dell’art. 1282 cod. civ.), gli interessi moratori, invece, rappresentano una sanzione contro l’inadempimento e perseguono l’obiettivo d’una sorta di predeterminazione del danno derivante dall’inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie (cfr. l’art. 1224 cod. civ.).
Del resto, sotto il profilo temporale, gli interessi corrispettivi e quelli moratori non sono mai applicati congiuntamente, posto che: gli interessi corrispettivi riguardano unicamente il lasso temporale corrispondente al tempo contrattualmente previsto per il pagamento della rata (ovverosia, il tempo “fisiologico” di pagamento); gli interessi moratori riguardano invece l’eventuale lasso temporale ulteriore rispetto al primo nel quale sia maturato l’inadempimento all’obbligazione di restituzione (ovverosia, il tempo “patologico” di pagamento).
In ordine alle censure in punta di anatocismo, conseguenza dell’applicazione del cd. piano di ammortamento alla francese, il Tribunale sottolineava che nei contratti di mutuo in cui la restituzione del prestito è fatta in modo graduale nel tempo, il debitore paga periodicamente sia gli interessi, sia una parte del capitale e la rata di ammortamento risulta composta da due parti: la quota interessi necessaria per pagare gli interessi sul debito di quel periodo; la quota capitale necessaria per rimborsare una parte del prestito.
Nel cd. metodo alla francese, delle quote componenti la rata, solo le quote capitale vanno ad estinguere il debito, generando, di rata in rata, un debito residuo sempre minore, su cui si calcolano gli interessi che il mutuatario paga con la rata successiva; di rata in rata, le quote interessi sono sempre decrescenti, mentre le quote capitali possono essere costanti (metodo di ammortamento c.d. uniforme, caratterizzato dal fatto che le quote capitali sono sempre costanti e conseguentemente, essendo le quote interessi decrescenti, le rate sono decrescenti) oppure variabili (metodo di ammortamento progressivo o c.d. francese, in cui ad essere costante è la rata complessiva, ragione per cui, essendo la quota interesse comunque decrescente, la quota capitale è invece crescente).
Laddove, come nel caso di specie, il rimborso abbia luogo con il sistema progressivo c.d. francese, la misura della rata costante dipende da una formula matematica i cui elementi sono: 1) il capitale dato in prestito; 2) il tasso di interesse fissato per periodo di pagamento; nonché 3) il numero dei periodi di pagamento.
In altri termini, nel piano di ammortamento alla francese, una volta individuato l’ammontare della rata costante, la costruzione del piano di rimborso procede quindi secondo i seguenti passaggi, e cioè: 1) si calcolano gli interessi sul debito iniziale e si determina la quota interessi della prima rata; 2) si sottrae la quota interesse così individuata dalla rata costante e si ricava per differenza la quota capitale della prima rata; 3) la quota capitale di tale prima rata si porta in detrazione dal debito iniziale e si ottiene il debito residuo; 4) sul debito residuo rinveniente dalla prima rata si calcola la quota interessi della seconda rata; 5) dalla rata costante si ricava per differenza la quota capitale della seconda rata; 6) la quota capitale della seconda rata va a ridurre il debito residuo sui cui si calcola la quota interessi della terza rata, e così di seguito fino all’ultima rata.
Alla luce della ricostruzione operata, il Giudice campano specificava, all’uopo, che il piano di ammortamento alla francese non implica, per definizione, alcun fenomeno di capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti.
Né il mutuante ha la possibilità di incidere sulla costruzione del piano di ammortamento o di determinare la suddivisione della rata tra quota capitale e quota interessi, essendo tale suddivisione già contenuta nella definizione di una rata costante di quel determinato importo, definizione risultante dall’applicazione della formula matematica sopra citata.
Il Tribunale, infine, alla luce della rilevata infondatezza della pretesa attorea, affermava, nel caso di specie, la sussistenza dei requisiti per l’applicazione nei confronti di parte attrice, degli estremi di cui all’art. 96 c.p.c., sottolineando, al riguardo, che il presupposto per la responsabilità aggravata di cui alla disposizione in parola, sia da rinvenirsi nella condotta di chi abbia agito con mala fede o colpa grave.
Orbene, ad avviso del Giudicante, la colpa grave in capo all’attrice poteva desumersi dalla manifesta infondatezza delle doglianze spiegate, risultando queste ultime incentrate su ricostruzioni del tutto fantasiose ed incompatibili sia con la serena comprensione del modus operandi dei contratti di mutuo ipotecario, sia con una lettura di buon senso dei rapporti contrattuali; a tal riguardo, il fatto che la domanda fosse stata supportata da una perizia contabile di parte non poteva esonerare l’attore dalle conseguenze derivanti dalla totale e manifesta infondatezza di quelle prospettazioni, anche alla luce del proliferare di perizie funzionali a far risultare, in ogni caso, l’usurarietà dei contratti bancari.
In conclusione, il Tribunale rigettava la domanda, condannando parte attrice, a titolo di responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c..
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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