ISSN 2385-1376
Testo massima
Il carattere pretestuoso della deduzione difensiva vertente sull’asserita non autenticità della sottoscrizione, deduzione contraddetta dagli esiti della disposta perizia grafologica, integra gli estremi della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c.., perché preordinata solo a procrastinare l’azione esecutiva del creditore monitorio.
La domanda di danni per lite temeraria deve essere ragionevolmente liquidata ricorrendo al parametro fissato dall’art. 2-bis l. 89 del 2001, che all’uopo stabilisce quale criterio applicativo di equa riparazione quello di un importo pecuniario compreso tra i 500 ed i 1500 euro per ogni anno di durata eccedente il termine di ragionevole durata del processo.
Questi gli interessanti principi affermati dal Tribunale di Napoli, articolazione territoriale di Casoria (ex sez. distaccata di Casoria), in persona del Giudice dott. Gian Andrea Chiesi con la sentenza pronunciata in data 24 settembre 2014.
La controversia trae spunto da un’opposizione proposta da alcuni clienti avverso un decreto ingiuntivo rilasciato a favore di una banca.
Tra le molteplici censure sollevate, gli opponenti, deducevano nel merito la non autenticità delle firme con cui era stato siglato il contratto dal quale traeva origine la garanzia poi escussa dalla banca opposta.
Ebbene, a seguito di consulenza tecnica grafologica il Tribunale accertava la personalità e l’originalità delle firme apposte dai clienti disattendendo completamente la difesa degli attori relativa alla loro falsità (1).
La sentenza in commento presenta diversi profili di interesse per quel che attiene la nuova formulazione, e quindi l’interpretazione che ne deriva, dell’art. 96 c.p.c., norma che disciplina la “responsabilità processuale aggravata”, altrimenti detta “condanna per lite temeraria”.
La norma, a seguito della novella ex L. n. 69/2009, è stata arricchita con un nuovo comma (il terzo) e molta curiosità era riposta dagli operatori sulle soluzioni giurisprudenziali inerenti il confronto tra l’integrazione operata dal legislatore e il primo comma della stessa disposizione, ove è prevista la comminatoria della condanna al risarcimento dei danni, liquidabili in sentenza dal giudice al soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
Il terzo comma dell’art. 96 c.p.c. recita: «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».
L’aggiunta normativa ha segnato un’indubbia svolta nell’effettiva applicazione di questa norma, svincolata come essa ora è da qualsiasi condizionamento in ordine alla prova dell’an e del quantum del danno da lite temeraria.
I nuovi principi non possono che essere condivisi e, anzi, una lettura in chiave costituzionale dell’art. 96 Cpc impone di facilitarne l’impiego, sicché essa – scoraggiando le iniziative o le resistenze giudiziali che non hanno ragione di essere – possa fungere quale presidio di tutela del principio di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Costituzione e della c.d. legge Pinto, ossia la l. n. 89 del 2001.
Nella normalità dei casi e secondo l’id quod plerumque accidit, ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali causano ex se anche danni non patrimoniali, che, per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa (cfr. Cass. civ. Sez. VI, Ord., 12-10-2011, n. 20995).
Resta, però, ferma la difficoltà, per il giudice, di stabilire l’entità della sanzione (2).
Anche nel nostro ordinamento si affaccia dunque la teorica del danno punitivo, conosciuta negli ordinamenti anglosassoni nelle forme dei punitive o exemplary damages comminati verso chi ha agito con malice o gross negligence in quanto per un verso, il contenuto letterale della norma pare inequivoco nel non presupporre l’esistenza di un danno di controparte, e, per altro verso, non vi sono parametri costituzionali che vietano al legislatore di introdurre tale tipologia di danno.
E’ quindi evidente che l’art. 96, co. 3°, c.p.c. introduce nell’ordinamento una forma di danno finalizzata a scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del “sistema Giustizia” deflazionando il contenzioso ingiustificato.
L’ampiezza della formulazione – se si considera che nel tessuto del Codice Civile, nella disciplina dell’illecito aquiliano, è presente la distinzione fra il danno patrimoniale e quello non patrimoniale, come definita dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 26972 del 2008 – giustifica che il legislatore processuale del Codice del 1940 abbia inteso consentire anche la liquidazione del danno non patrimoniale, il che, alla luce degli insegnamenti delle Sezioni Unite, appare giustificato anche nella prospettiva che il diritto di azione e di difesa in giudizio è sicuramente un diritto costituzionale fondamentale.
Pertanto, sembra potersi affermare che siamo di fronte ad una norma a carattere sanzionatorio, volta a contemplare una fattispecie che si differenzia nettamente dalla responsabilità ex art. 96, co. 1, c.p.c., la quale a sua volta si pone in rapporto di specialità rispetto a quella prevista dall’art. 2043 c.c. e richiede l’adempimento di stringenti oneri probatori.
In conclusione, il Giudice, considerato che il compimento della (inutile) attività istruttoria (CTU grafologica) nel caso di specie aveva richiesto complessivamente un anno circa, ha stimato equo condannare la parte soccombente al pagamento della somma di euro 1.500,00 ex art. 96, comma 3, c.p.c, oltre interessi al saggio legale dalla data della proposizione della domanda fino al soddisfo.
(1) Per approfondimenti sulla responsabilità processuale aggravata derivante dal pretestuoso disconoscimento della sottoscrizione si confrontino le seguenti decisioni:
Sentenza | Tribunale di Napoli, dott. Vincenzo Scalzone | 21-07-2014 secondo cui l’opposizione al decreto ingiuntivo fondata sul pretestuoso disconoscimento delle sottoscrizioni e dei documenti comporta la responsabilità aggravata per lite temeraria di cui all’art. 96 c.p.c.
Nello stesso senso si confronti, Sentenza | Tribunale di Lodi dottor Sergio Rossetti | 04-04-2013 nonché Tribunale di Monza, Giudice dott.ssa Manuela Laub, 09-01-2013
(2) Per approfondimenti sull’entità della sanzione ex art. 96, comma 3, c.p.c. si vedano:
Sentenza | Tribunale di Milano, dott. Marcello Piscopo | 25-11-2014 che ha condannato il cliente al quadruplo delle spese legali, oltre spese di lite poiché aveva adito l’autorità giudiziaria al solo fine di ottenere la sospensione del decreto ingiuntivo definitivo, ottenuto a pieno titolo dalla Banca.
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dott.ssa Maria Ludovica Russo, 29-05-2014, n. 4265 che ha utilizzato come parametro le spese di lite ed in particolare secondo una forbice compresa tra il minimo di un quarto ed un massimo del doppio delle stesse.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 11/2014