Testo massima
La domanda di ripetizione di indebito proposta nei confronti della
banca fondata sulla mera perizia di parte e su alcuni scalari del rapporto di
conto corrente configura un abuso di iniziativa processuale.
Agire in giudizio in una causa di natura documentale senza attivarsi
per acquisire la documentazione necessaria per l’esame delle domande, né prima
del giudizio né successivamente nonostante il decorso dei termini ex art. 183,
VI comma, c.p.c. configura una grave condotta processuale sanzionabile ex art.
96, ult. comma, c.p.c.
Questi i principi espressi dal
Tribunale di Milano, in persona della dott.ssa Antonella Cozzi con la sentenza
del 25 novembre 2014 resa in un giudizio ove il cliente agiva per la
ripetizione delle somme indebitamente percepite dalla Banca.
In particolare, il cliente
lamentava anatocismo, applicazione di tassi non pattuiti ed usurari, c.m.s. e
conseguentemente chiedeva la rideterminazione delle somme “dare avere” tra le
parti.
Tuttavia, tali domande fondavano su una perizia di parte, alla quale erano
allegati alcuni scalari del rapporto di conto corrente.
Il Giudice ha in primis esaminato l’ammissibilità
della domanda di ripetizione rilevando che, secondo la giurisprudenza più
recente della Corte di legittimità (cfr. ex plurimis 798/2013) “l”annotazione in conto di una posta di
interessi (o di commissioni di massimo scoperto) illegittimamente addebitati
dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso
correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in
nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna
attività solutoria in favore della banca; con la conseguenza che il correntista
potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si
basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di
credito, nei limiti del fido accordatogli), ma non potrà agire per la ripetizione
di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di
pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che,
conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia
esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale
risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti
dal cliente all’atto della chiusura del conto“.
Accertato che il rapporto di
conto corrente era, nel caso di specie, assistito da fido appariva pacifico che
lo stesso risultasse ancora aperto e, dunque, ne è conseguita l’inammissibilità
della domanda di ripetizione.
Il Giudicante, poi, ha ritenuto
completamente sfornita di prova la
domanda attorea atteso che la stessa fondava solo su una perizia di parte alla
quale erano allegati solo alcuni degli scalari del rapporto di conto corrente.
Respinta, pertanto, la domanda di
nominare CTU perché meramente
esplorativa il Tribunale ha, altresì, ritenuto sussistenti i presupposti di
cui all’art. 96, ult. comma, c.p.c. in ordine alla responsabilità aggravata.
La condotta attorea, consistita nella proposizione di una domanda senza
fornire alcun elemento probatorio in ordine alla fondatezza della stessa, è
idonea a configurare l’abuso dell’iniziativa processuale.
Il correntista avrebbe, infatti,
potuto richiedere alla Banca gli estratti conto ex art. 119 TUB e non
limitarsi, come avvenuto, a domandare l’ordine di esibizione degli stessi ad
opera del Tribunale.
In conclusione, agire in giudizio agire in giudizio in una
causa di natura documentale senza attivarsi per acquisire la documentazione
necessaria per l’esame delle domande, né prima del giudizio né successivamente
nonostante il decorso dei termini ex art. 183, VI comma, c.p.c. configura una
grave condotta processuale, sanzionabile ex art. 96, ult. comma, c.p.c.
Testo del provvedimento
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