ISSN 2385-1376
Testo massima
L’azione di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c. non può di regola essere fatta valere in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello dal quale la responsabilità aggravata ha origine, salvo che ciò sia precluso da ragioni attinenti alla stessa struttura del processo e non dipendenti dalla inerzia della parte.
I danni verificatesi con l’ordinanza del G.E. che quantifica l’ammontare delle spese di custodia e notarili contestualmente dichiarando l’estinzione del processo non possono essere richiesti mediante opposizione all’esecuzione per cui appare correttamente avanzata l’azione di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c. con un autonomo giudizio.
Nel caso in esame, una società conveniva in giudizio un architetto per sentirlo condannare al rimborso in proprio favore delle spese notarili, di custodia e legali poste a suo carico in una procedura esecutiva che lo stesso aveva proposto sulla base di un decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento del compenso per prestazioni professionali rese in favore della società attrice.
A fondamento della domanda l’attrice deduceva che l’architetto, sulla base del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo, aveva notificato atto di precetto nonché atto di pignoramento immobiliare. Successivamente, detto decreto veniva però revocato poiché con sentenza veniva accertato che le obbligazioni per il pagamento delle prestazioni rese dall’architetto dovevano far carico ad altro soggetto.
Pertanto, l’attrice chiedeva anche il risarcimento del danno (danno emergente e lucro cessante) che l’architetto le aveva arrecato ponendo in esecuzione il succitato titolo giudiziale indicato nella differenza tra il valore dell’immobile, quale era stato accertato nel corso della procedura esecutiva e il prezzo al quale era stato aggiudicato all’esito di essa.
Il convenuto eccepiva, tra l’altro, che qualora il titolo della pretesa di parte attrice fosse stato rinvenuto nel disposto dell’art. 96 secondo comma c.p.c., come poteva desumersi dalla sua prospettazione, essa avrebbe dovuto essere avanzata davanti al giudice del merito vale a dire a quello che aveva trattato il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo o al limite al giudice dell’esecuzione e non poteva essere proposta in via autonoma con la conseguente incompetenza del giudice adito.
Sul punto il Giudice veronese ha, però, rigettato l’eccezione di incompetenza ribadendo l’orientamento della Cassazione secondo cui “l’art. 96 c.p.c. non detta una regola sulla competenza, non indica cioè davanti a quale giudice va esercitata l’azione dalla norma (in tesi) riconosciuta, ma disciplina un fenomeno endoprocessuale, consistente nell’esercizio, da parte del litigante, del potere di formulare una istanza collegata o connessa all’agire o al resistente in giudizio” (Cass., sez. III, 20 novembre 2009, n.24538).
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che l’attrice – richiedendo la rifusione delle spese sostenute nella procedura esecutiva e il risarcimento del conseguente danno emergente avesse spiegato quindi una domanda risarcitoria che ricade sicuramente nell’ambito di applicazione dell’art. 96, secondo comma, c.p.c.
Nel merito, e con riferimento al lucro cessante il Giudice ha accolto l’eccezione di parte convenuta secondo cui la domanda avrebbe dovuto essere proposta al giudice del merito, vale a dire il giudice dell’esecuzione. Tale pregiudizio, infatti, si verificò con l’aggiudicazione dell’immobile, che risaliva a prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Tanto, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale che, nell’attribuire la competenza a giudicare in materia di responsabilità processuale aggravata al giudice investito della causa dal cui esito si pretenda dedurre tale responsabilità, consente la formulazione della relativa domanda fino all’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio in cui si è verificato il fatto generatore di responsabilità, fatto salvo il diritto di chiedere successivamente il ristoro degli ulteriori danni che si fossero verificati in seguito.
A diversa conclusione è invece pervenuto il Giudicante per il danno emergente, ossia in relazione alle spese della procedura esecutiva (spese notarili e di custodia, spese per la cancellazione del pignoramento e spese legali), poiché la società attrice ebbe contezza del relativo ammontare solo dopo la succitata udienza di precisazione delle conclusioni.
Il Giudice ha ritenuto che “nel corso del giudizio di esecuzione, e fino al momento della revoca del decreto ingiuntivo da parte del giudice dell’opposizione, non si erano realizzate le condizioni per la formulazione di una domanda risarcitoria avente ad oggetto quel danno, dal momento che l’esecuzione era iniziata e proseguita sulla base di un titolo valido ed efficace, costituito dal decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Alla luce di tali particolari deve escludersi che quella domanda potesse essere avanzata mediante opposizione all’esecuzione come sostenuto dalla difesa di parte convenuta“.
La pronuncia, nel riconoscere la possibilità di agire in un giudizio autonomo per il riconoscimento del danno ex art. 96 c.p.c., appare in linea con quanto affermato, anche di recente, dalla Corte di Cassazione secondo cui l’stanza ai sensi dell’art. 96 c.p.c., “pur essendo volta ad attivare una tutela di tipo aquiliano …non può tuttavia essere considerata espressione di una potestas agendi esercitabile al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata, e quindi in via autonoma e consequenziale e successiva, davanti ad altro giudice, salvo i casi in cui la possibilità di attivare il mezzo offerto dall’art. 96 c.p.c. sia rimasta preclusa in forza dell’evoluzione propria dello specifico processo dal quale la responsabilità aggravata ha avuto origine” (cfr. Cass., 20 novembre 2009, n.24538).
A margine, il Giudice ha inoltre precisato che, nel caso di specie, era ravvisabile anche l’elemento soggettivo richiesto dalla norma per l’affermazione della responsabilità aggravata. Esso è costituto non già dalla mala fede o dalla colpa grave, che costituiscono i presupposti per l’applicazione sia del primo che del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., ma dalla mancanza della norma prudenza che la giurisprudenza di legittimità ha individuato nella “consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà del suoi effetti” (Cass. 14.10.2008 n.25143; Cass. 19.10.2007, n-.21992; Cass.13 aprile 2007, n.8829; Cass. 5 agosto 2005, n. 16559).
In conclusione, il Tribunale ha condannato il convenuto a corrispondere all’attrice la somma di euro 7.081,22 oltre alla rifusione delle spese di lite liquidate nella somma complessiva di euro 3.545,00.
Testo del provvedimento
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