ISSN 2385-1376
Testo massima
La condotta processuale che denota la volontà di creare un contenzioso seriale non fondato in materia bancaria merita di essere opportunamente sanzionata ex art. 96 c.p.c. adottando come sanzione la condanna al quintuplo delle spese di lite liquidate ai sensi del DM 55/2014.
La sentenza 350/2013 della Cassazione ha solo detto che il tasso di mora deve essere tenuto in conto ai fini della valutazione della usurarietà e ciò vuol dire che il Giudice deve verificare se, il tasso convenzionale e quello di mora singolarmente considerati, superino o meno il tasso soglia non potendosi accontentare di verificare il solo tasso convenzionale.
La sommatoria dei due tassi costituisce una fantasiosa deduzione che non trova alcun riscontro nella sentenza della Cassazione n. 350/2013 e sostenere il contrario è sintomo o di ignoranza inescusabile del dettato normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia che viene citata a sproposito o di dolo processuale nel tentativo di indurre in errore il giudicante sul fatto che una certa sentenza della Suprema Corte abbia detto una cosa che in realtà non ha mai detto.
Questi gli interessanti principi affermati dal Tribunale di Padova, dott. Giorgio Bertola, con la sentenza resa ai sensi dell’art. 281-sexies in data 10 marzo 2015 che ha condannato alcuni clienti a rifondere l’importo di oltre 40.000,00 euro ad un istituto di credito a titolo di lite temeraria.
Gli attori citavano in giudizio una banca deducendo di aver stipulato un mutuo a tasso variabile per l’importo di euro 170.000,00 che prevedeva un tasso convenzionale del 3,50% mentre un tasso di mora pari al 5,50% evidenziando che al momento della stipula il tasso soglia usura fosse pari al 6,24%.
Deducevano gli attori che il tasso pattuito fosse ex se usurario fin dalla sua pattuizione e per corroborare questa «fantasiosa deduzione» affermavano che con la sentenza n. 350 del 2013 la Corte di Cassazione avesse affermato che, ai fini della verifica della usurarietà dei tassi di interesse pattuiti, il tasso convenzionale ed il tasso di mora andassero sommati così che, «se fosse vera questa deduzione», effettivamente il tasso da confrontare sarebbe pari al 9% (3,50 + 5,50) ovvero di molto superiore al tasso del 6,24% che rappresentava il tasso soglia.
Deducevano ancora che in seguito quel mutuo venne rinegoziato e trasformato da tasso variabile a tasso fisso con un tasso convenzionale pari al 5% ed uno di mora di 5 punti superiori al tasso nominale e quindi pari al 10% laddove il tasso soglia pro tempore vigente era pari al 9,45%.
Il Giudice ha ritenuto palesemente infondate le domande attoree, rigettandole integralmente.
Invero, la circostanza che la sommatoria fra i due tassi fosse pari al 10% a fronte di un tasso soglia pari al 9,45% appariva palesemente errata atteso che nel contratto il tasso nominale veniva quantificato nel 4,25% e, pertanto, la sommatoria, quand’anche legittima, era pari al 9,25% ossia rispettosa nel tasso soglia pro tempore vigente.
Il Giudice ha osservato, infatti, che il mutuo originario era del tutto valido e legittimo. Infatti, lo stesso essendo a tasso variabile o ha tassi usurai fin dal suo sorgere oppure non può mai essere usurario visto che i suoi tassi salgono o scendono in base all’andamento degli indici di riferimento collocandosi sempre per definizione entro il tasso soglia.
Parimenti, il mutuo a tasso fisso rinegoziato era stato previsto con tassi, convenzionali e di mora, pacificamente e documentalmente entro la soglia.
L’unico modo per cui quei due mutui potevano dirsi ab origine usurari è ritenere che la sentenza 350/2013 della Cassazione abbia detto che al fine della verifica si debba sommare il tasso convenzionale con quello moratorio.
Ebbene, il Giudice ha precisato che «la Cassazione non ha mai detto una simile mostruosità» poiché la citata decisione ha solo detto che il tasso di mora deve essere tenuto in conto ai fini della valutazione della usurarietà e ciò vuol dire che il Giudice deve verificare se, il tasso convenzionale e quello di mora singolarmente considerati, superino o meno il tasso soglia non potendosi accontentare di verificare il solo tasso convenzionale come era opinione isolata ma presente prima di quella decisione.
La tesi della sommatoria non è mai stata avallata dalla Cassazione «poiché quella decisione (n. 350/2013) ha detto, al contrario, che gli interessi di mora vanno “tenuti in conto” ovvero che per valutare se le pattuizioni siano a meno legittime si debba verificare che sia gli interessi convenzionali che quelli di mora debbano essere al di sotto della soglia usura».
Come già sostenuto in giurisprudenza, la sentenza 350/2013 della Cassazione non ha mai affermato che il tasso convenzionale debba essere sommato a quello moratorio e «sostenere il contrario è indice di dolo o colpa grave nell’agire in giudizio art. 96 comma 3 c.p.c.». (cfr. Ordinanza, Tribunale di Padova, dott. Giorgio Bertola, 17-02-2015).
Sostenere tale tesi, secondo il Giudicante, «è sintomo o di ignoranza inescusabile del dettato normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia che viene citata a sproposito o di dolo processuale nel tentativo di indurre in errore il giudicante sul fatto che una certa sentenza della Suprema Corte abbia detto una cosa che in realtà non ha mai detto».
Inoltre, la circostanza che la causa fosse stata introdotta con un atto fatto sostanzialmente in serie rispetto a tanti altri procedimenti similari è stata ritenuta dal Giudice meritevole di sanzione.
La condotta processuale che denota la volontà di creare un contenzioso seriale in materia bancaria, approfittando della congiuntura economica che ha colpito le famiglie e le imprese, merita di essere opportunamente sanzionata.
La serialità del contenzioso arreca un grave danno al sistema giudiziario nel suo complesso per l’aggravio di cause che, tutte insieme, concorrono a formare un numero di procedimenti che ormai da tempo superano quanto si possa esigere in termini di produttività da un singolo Giudice così che normalmente lo stesso sia impossibilitato a definire la totalità dei procedimenti gravanti sul suo ruolo entro i termini che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ritiene equi, ossia tre anni dalla data di iscrizione a ruolo per un procedimento di primo grado così come recepito dal nostro ordinamento con la legge 89/2001 cd. Legge Pinto in applicazione dell’art. 6 C.E.D.U., così da esporre, in ultima istanza, lo Stato Italiano a continue sanzioni pecuniarie per la durata irragionevole dei suoi procedimenti giudiziari.
Per tali motivi, il Giudice ha ritenuto equo applicare una sanzione ex art. 96, co. 3, c.p.c. pari al «quintuplo delle spese di lite liquidate ai sensi del DM 55/2014» imponendo, in tal modo, una sanzione esemplare così come già accaduto nel caso deciso con Sentenza | Tribunale di Torino, dott. Enrico Astuni | 17-09-2014 n.5984
Sulla scorta di tali argomentazioni il Giudice ha condannato i clienti a rifondere all’istituto di credito l’importo di euro 43.525,00 ex art. 96 comma 3 c.p.c.
Sul punto, per approfondimenti, su vedano le rassegne di materia di usura e lite temeraria realizzate dalla redazione di Ex Parte Creditoris.
Testo del provvedimento
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 122/2015
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