Va accolta la domanda ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.c. formulata dalla banca quando le sono palesemente infondate le domande di parte ricorrente, le cui ragioni sono state smentite da parte resistente con la produzione di documenti di cui parte attrice aveva piena cognizione, e di cui avrebbe dovuto avere anche la disponibilità.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Parma, Giudice Stefana Curadi, con l’ordinanza del 23.11.2018.
La vicenda ha riguardato un soggetto che, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., ha convenuto in giudizio un istituto di credito chiedendo la declaratoria di nullità degli acquisti di azioni per violazione dell’art. 23 TUF, per mancata stipulazione scritta del contratto generale di investimento e, in subordine, la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti.
La Banca, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito, in via preliminare la prescrizione del diritto ad esercitare l’azione di restituzione delle somme relative all’ordine di acquisto del 27.11.2007 e, nel merito, ha rilevato che delle operazioni contestate da parte ricorrente, cinque riguardavano operazioni di vendita e non di acquisto, che la parte aveva sottoscritto regolarmente contratto quadro del 19.01.2000 relativo all’unico ordine di acquisto contestato e che comunque aveva sottoscritto anche contratti quadro nel 2009 e nel 2012. L’istituto di credito ha, quindi, concluso per il rigetto delle domande del ricorrente e la condanna dello stesso per lite temeraria.
Il Giudice, all’udienza del 13.11.2018, ritenuta la causa di natura documentale, l’ha trattenuta in riserva.
Con l’ordinanza emessa a scioglimento della riserva, il Tribunale ha rappresentato l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno in quanto formulata in maniera troppo generica.
L’Organo giudicato ha ritenuto infondata, altresì, la domanda di nullità avanzata dal ricorrente in quanto è stato depositato agli atti il contratto per la negoziazione, la ricezione e la trasmissione di ordini su strumenti finanziari, del 19.01.2000, unitamente al documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, regolarmente sottoscritti dal cliente.
Al riguardo, l’autorità adita ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale, In tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti in conformità con la disciplina di settore applicabile.
Il Giudice ha, per tali ragioni, accolto la domanda di condanna per lite temeraria formulata dalla banca resistente stante la palese infondatezza delle domande attoree le cui ragioni sono state smentite dalla documentazione depositata dall’istituto di credito convenuto.
Sulla base di tali argomentazioni, il Giudice ha rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore di Banca oltre alla condanna al pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del danno, equitativamente stabilita in € 500,00 ex art. 96 c.p.c..
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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