E’ lecita la clausola di un contratto di locazione che preveda che imposte e tasse relative all’immobile locato siano poste a carico del locatario.
Questo il principio espresso dalla Suprema Corte, Sez. Unite, Pres. Vivaldi – Rel. Scarano con la sentenza n. 6882 del 08.03.2019.
IL CASO
Con sentenza del 29/10/2015 la Corte d’Appello di Firenze ha respinto il gravame interposto da una società in relazione alla pronunzia del giudice di prime cure di rigetto della domanda di accertamento e declaratoria del diritto alla restituzione degli importi versati ad altra società in virtù di un contratto di locazione asseritamente non dovuti stante la dedotta nullità della clausola secondo cui “Nel corso dell’intera durata del… contratto: (i) Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi, (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito“.
La suddetta asserita nullità sarebbe derivata dall’essere detta clausola volta “a riversare l’onere tributario relativo all’ICI e all’IMU gravanti sull’immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge a subire il relativo sacrificio patrimoniale, e quindi in chiaro contrasto con il principio, costituzionalmente sancito, di concorso alla spesa pubblica in ragione della (e non oltre la) propria capacità contributiva“, nonché “con la L. n. 392 del 1978, art. 89, che non indica in alcun modo, tra gli oneri accessori a carico del conduttore, ivi tassativamente elencati, anche le imposte patrimoniali relative ai beni locati“.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società ha proposto ricorso per cassazione.
La Terza Sezione della Corte di Cassazione ha osservato che il giudice del gravame ha ritenuto valida la clausola di cui all’art. 7.2 del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione in argomento poiché essa non prevede un obbligo diretto della conduttrice verso il fisco di pagamento delle imposte a vario titolo gravanti sull’immobile, bensì meramente che “si faccia carico, nei confronti della locatrice, dei relativi oneri“; a tale stregua, tale pattuizione, non determinando nella specie una traslazione in capo alla conduttrice delle imposte gravanti sull’immobile a carico della proprietaria/locatrice, comporta la mera integrazione del canone di locazione dovuto.
La Sezione rimettente ha ritenuto, altresì, che, la problematica sottopostole presuppone la soluzione del quesito relativo al se, al di là delle ipotesi in cui vi siano divieti espressi di traslazione da parte di specifiche norme tributarie, l’art. 53 Cost. possa ritenersi costituire un limite generale all’autonomia privata in tema di individuazione del soggetto passivo dell’imposta, impedendo alle parti private di neutralizzare pattiziamente gli effetti della capacità contributiva; nonché di quello se la sussistenza di un limite all’autonomia negoziale possa essere presidiato dall’istituto della nullità, in relazione ad un accordo di traslazione palese di imposta patrimoniale posto in una scrittura contenente un contratto a prestazioni corrispettive, qual è il contratto di locazione de quo.
Pertanto, stante la ravvisata “attuale presenza di elementi dubbi, tenuto conto appunto della risalenza degli interventi delle Sezioni Unite e valutata la notevole valenza nomofilattica della questione, in quanto correlata alla diretta precettività dell’art. 53 Cost. – per la quale necessariamente evolutiva lettura ben potrebbe incidere pure il nuovo quadro sistemico come discendente dai tratti, benchè ratione temporis qui non applicabili, di recente inseriti nello Statuto del contribuente -“, la Terza Sezione ha rimesso la causa alle Sezioni Unite.
LA DECISIONE
Le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sul quesito, hanno rappresentato che la tematica della traslazione dell’imposta è stata già precedentemente affrontata dalla cassazione in due pronunce del 1985.
Con la prima di tali pronunce si è in particolare affermato che è nulla – sia ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, che per contrasto con l’art. 53 Cost. – la clausola con la quale – sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti – venga convenuta l’imposizione a carico del mutuatario di quanto il mutuante è tenuto a versare all’erario (nel caso, per IRPEG ed ILOR) in ragione dello stipulato contratto, stante l’immediato valore vincolante del principio del concorso di tutti alle spese pubbliche alla stregua della rispettiva capacità contributiva fissato dalla norma costituzionale, che si traduce nel divieto inderogabile per il debitore d’imposta – sia diretta che indiretta – di riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su un patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il prelievo fiscale (v. Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5).
Con la sentenza n. 6445 del 1985 le Sezioni Unite hanno diversamente affermato che il patto traslativo d’imposta “è nullo per illiceità della causa contraria all’ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito“.
Pur pervenendo a soluzione opposta a quella raggiunta nella sentenza n. 5 del 1985, in quest’ultima pronuncia le Sezioni Unite hanno posto invero a relativo fondamento gli stessi presupposti argomentativi della precedente, ribadendone la validità.
Esse hanno sottolineato che l’autonomia privata non può alterare i connotati dei tributi diretti, strutturati in modo che ad ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa poiché, alla stregua dei principi scaturenti dal coordinamento degli artt. 2 e 53 Cost., esige che quel concorso, imposto al contribuente, incida sul suo patrimonio.
Hanno ulteriormente posto in rilievo che nel vigente sistema costituzionale tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla a cui carico gli artt. 53 e 2 Cost., pongono un dovere ribadito dall’art. 1, della legge della legge sul contenzioso tributario.
La prestazione imposta di carattere tributario postula infatti che “una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto” individuato dalla legge come “soggetto passivo del tributo“, con “correlativo sacrificio personale”.
Il principio delineato da Cass., Sez. Un., n. 6445 del 1985, condiviso dalla dottrina maggioritaria, ha successivamente ricevuto costante conferma da parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità.
Alla luce delle succitate pronunce, il Collegio ha ritenuto che le doglianze mosse dalla ricorrente avverso l’impugnata sentenza non siano idonee a revocare in dubbio la correttezza della soluzione raggiunta nel 1985, e non inducano a dover rimeditare un orientamento interpretativo che al contrario merita di essere ulteriormente confermato.
La clausola contrattuale di cui all’art. 7.2 in argomento è stata correttamente interpretata dalla corte di merito, alla stregua dei principi posti a fondamento del suindicato consolidato orientamento.
Laddove è stato posto in rilievo che la stessa previsione della “fatturazione del rimborso degli oneri per imposte di cui al citato art. 7.2 (i)” risulta invero coerente “con la natura di rimborso di tale componente del canone, poiché è ben vero che le relative imposte sono pur sempre sostenute dal proprietario dell’immobile e l’ente impositore (Stato, Comune o altro) individua in esso il soggetto che è tenuto a farvi fronte, ma questo si disinteressa se poi, per accordo privato, i contraenti scelgano di operare un rimborso” (sottolineando che in tal senso deve interpretarsi l’uso della parola “manlevare”) o “una diversa forma di pagamento variamente posta a carico del conduttore“.
Al dato letterale della clausola la corte di merito ha dunque attribuito significato -come detto- alla luce delle pregresse trattative nonché dell’interesse pratico che con la stipulazione e la specifica previsione in argomento le parti hanno nella specie inteso in concreto realizzare.
Orbene, correttamente la corte di merito ha nell’impugnata sentenza interpretato la clausola contrattuale in argomento alla luce della ragione pratica dell’accordo e del contratto, in coerenza con gli interessi che le parti hanno cioè nel caso specificamente inteso tutelare mediante lo stipulato contratto convenzionalmente determinando la regola volta a disciplinare il loro rapporto negoziale.
Pertanto, all’infondatezza dei motivi è conseguito il rigetto del ricorso.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LEASING IMMOBILIARE: L’OBBLIGO DELL’UTILIZZATORE AL PAGAMENTO DELL’IMU CESSA CON LA RICONSEGNA DEL BENE
LA SOLA RISOLUZIONE ANTICIPATA NON TRASFERISCE IL TRIBUTO
Sentenza | CTR Lombardia, Pres. Craveia – Rel. Mietto | 04.09.2018 | n.3658
LEASING IMMOBILIARE: L’UTILIZZATORE È TENUTO A PAGAMENTO IMU NONOSTANTE RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
L’OBBLIGO CESSA AL MOMENTO DELLA RICONSEGNA DEL BENE
Sentenza | CTR di Napoli, Sez. 45, Pres. Giacalone – Rel. De Tullio | 26.09.2016 | n.8208
LEASING IMMOBILIARE: IN IPOTESI DI CONTRATTO RISOLTO, MA SENZA CONSEGNA BENE, PAGAMENTO IMU A CARICO UTILIZZATORE
IL PRESUPPOSTO DI APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA È RAPPRESENTATO DAL POSSESSO DI IMMOBILI
Sentenza | Commissione Tributaria Regionale Di Milano – Sez. 13 – Pres. Labruna – Rel. Gaudino | 18.05.2016 | n.2993
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