Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LE MASSIME
Il giudicato formatosi in sede fallimentare sulla qualificazione giuridica dei rapporti non ha natura endofallimentare, quando concerne un credito vantato dalla curatela.
Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento.
Tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale.
Questi i principi come ricavabili dalla sentenza del Tribunale di Napoli, Giudice Ettore Pastore Alinante, n. 2012 del 22 febbraio 2019
IL CASO
La Curatela del fallimento del lessee citava in giudizio la società di locazione finanziaria, in relazione a diversi contratti di leasing già risolti in epoca precedente la apertura del concorso, chiedendo la condanna di essa società concedente alla restituzione di tutte le somme incassate a titolo di canoni, in forza dei contratti, per un importo di superiori euro 200 mila.
Si costituiva tempestivamente la società convenuta, invocando il rigetto delle domande di parte attrice, giacchè inammissibili ed infondate.
Respinta preliminarmente l’eccezione di incompetenza per territorio formulata dalla convenuta, il magistrato ha quindi rievocato, in punto di fatto, le vicende che precedevano la vocatio in jus ad opera del fallimento.
In particolare, prendendo atto che con un precedente decreto, era stata rigettata l’opposizione allo stato passivo come formulata dalla società di leasing, nella parte in cui non era stato ammesso il credito come maturato per canoni di leasing insoluti, oltre interessi, Tribunale di Napoli, nella fase della verificazione dei crediti e della successiva opposizione allo stato passivo, aveva infatti qualificato i contratti, a motivo fondamentale della esclusione dallo stato passivo del crediti insinuati, come di leasing traslativo.
Il Giudice ha precisato che il giudizio come incardinato dal fallimento nei confronti del lessor, sull’assunto del giudicato formatosi sulla qualificazione giuridica dei rapporti, non aveva natura endofallimentare, poiché concerneva un credito vantato dalla curatela fallimentare; in tal senso, l’accertamento della natura dei contratti per cui era causa, non poteva fare stato nel giudizio oggi in commento; precisando e comunque che i contratti sui quali il fallimento parte attrice fondava la propria domanda, andavano qualificati come di leasing traslativo, sussistendone i presupposti.
Il Tribunale ha richiamato un precedente dei giudici di legittimità secondo cui: “Nel leasing traslativo, al quale si applica per analogia la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà in caso di inadempimento dell’utilizzatore, il diritto all’equo compenso spettante all’utilizzatore per l’uso della cosa comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso”, non includendo, invece, né il risarcimento del danno che può derivare da un deterioramento anormale della cosa, né il mancato guadagno.”.
Il giudice ha ritenuto che, nel caso in esame, non trovasse applicazione nè l’art. 72 quater LF, giacchè i contratti erano già stati risolti in epoca precedente la dichiarazione di fallimento, né la legge n. 124/17.
Richiamata quindi la lettera di cui all’art. 1526 cc comma primo: “Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse , salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno… e comma secondo, “ Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta”, il magistrato di Napoli ha preso atto che la società di leasing convenuta opponeva alla domanda di restituzione dei canoni formulata dal Fallimento attore, il proprio diritto ad acquisire le rate a titolo d’indennità, come possibile in base al secondo comma dell’art. 1526 cc, sancita dai contratti di leasing per cui era causa.
Il COMMENTO
Il Tribunale di Napoli ha esposto che non poteva essere precluso alla convenuta di opporre il proprio diritto a ritenere le rate riscosse: con la decisione come rassegnata nel precedente giudizio di opposizione allo stato passivo, infatti, si era stabilito che la ex concedente non aveva diritto ad ottenere i canoni di leasing impagati, ma non anche che non avesse diritto a ritenere i canoni già pagati; ci si riferiva cioè all’interno della decisione in parte qua, al primo comma dell’art. 1526 cc, ma solo per escludere il diritto della ex concedente al pagamento dei canoni scaduti ed a scadere, non anche per escludere l’eventuale applicabilità del secondo comma e quindi il diritto del lessor a ritenere i canoni già riscossi.
Il Giudice ha, poi, richiamato l’art. 56 L.F comma 1 secondo cui: “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.”; così interpretato da Cass. 19609/2018: Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. l.fall. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione.”
Il giudice ha rappresentato che con la prima memoria ex art. 183.6 cpc, la società di leasing convenuta aveva prodotto le condizioni generali dei contratti de quibus agitur, nei quali erano pure espressamente approvate le clausole vessatorie, delle quali venivano menzionati numeri e rubriche.
Tali condizioni generali prevedevano, per taluni contratti, che nel caso si fossero risolti anticipatamente per inadempimento della utilizzatrice, la concedente aveva diritto, tra l’altro, “al pagamento in unica soluzione di tutte le somme dovute fino alla data della risoluzione”, la qual cosa implicava il diritto di ritenere le somme pagate dall’utilizzatrice, sino a quel momento.
Le condizioni generali dei restanti contratti prevedevano invece espressamente che nel caso il rapporto si fosse risolto per inadempimento dell’utilizzatrice, alla concedente sarebbero rimasti acquisiti “per l’intero loro ammontare il canone regolato alla firma, i canoni periodici già in precedenza pagati ed ogni altra somma a qualsiasi titolo corrisposta”.
Con la prima memoria ex art. 183.6 cpc, il fallimento parte attrice, di fronte alla eccezione riconvenzionale della convenuta, aveva invece chiesto a questo punto di ridurre l’indennità spettante alla concedente, in base alle menzionate clausole contrattuali, come consentito dall’art. 1526 comma 2 cc, specificando le ragioni per le quali detta indennità si sarebbe dovuta ritenere eccessiva. Orbene, su detto punto, il giudice ha quindi esposto che certamente l’indennità convenuta, che al concedente può legittimamente spettare ai sensi del secondo comma dell’art. 1526 cc, non possa superare l’entità dell’equo compenso al quale il concedente ha diritto, ai sensi del primo comma della stessa norma.
Il CTU nominato nel corso dello stesso giudizio ha calcolato l’equo compenso spettante alla concedente, utilizzando un criterio consistente nella applicazione della formula valore del contratto – (rate pagate + valore del bene al momento della riconsegna) = equo indennizzo.
In tal modo, si scorporava completamente da ciò che era dovuto al concedente, quanto pagato dall’utilizzatore per acquistare i beni, al termine del rapporto ed al concedente restava solo l’equo corrispettivo per l’uso che era stato fatto degli stessi beni. Nel valore complessivo del contratto, era stato giustamente incluso anche il prezzo di riscatto. Per determinare il valore residuo dei beni al momento della riconsegna, il CTU aveva quindi legittimamente considerato il prezzo al quale la concedente era riuscita a vendere ciascun bene, dopo che le erano stati riconsegnati. Così operando, era stato determinato un equo compenso complessivamente spettante alla concedente, di consistente valore; in buona sostanza, il valore di ciascuno dei contratti per cui era causa, superava quello delle somme riscosse dalla concedente e ne risultava indi un credito per quest’ultima; dal ragionamento che precede, giungendo dunque il Magistrato di Napoli alla conclusione che la penale, consistente nel trattenere, da parte della concedente, convenuta in giudizio, tutto quanto pagato dalla utilizzatrice sino a quando i contratti si erano risolti per inadempimento, non appariva eccessiva. Conseguentemente, la domanda del Fallimento è stata rigettata e lo stesso fallimento condannato al pagamento delle spese e dei compensi della lite.
Merita sicuramente una particolare attenzione la sentenza oggi in esame; sostanzialmente la società di leasing convenuta ha costruito le proprie difese, sull’assunto che nulla aveva da eccepire in merito alle conseguenze che derivavano dal giudicato formatosi all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, la cui decisione infatti non era stata portata all’esame dei giudici di legittimità e dando ancora atto all’interno delle proprie difese, che ben conosceva gli effetti che derivavano dalla giurisprudenza di legittimità in tema di giudicato endofallimentare; il limite alle affermazioni esposte dalla Curatela con la citazione in atti, era rappresentato dalla pretesa di ricondurre il pronunciamento del Tribunale di Napoli nella fase oppositiva, alla ipotesi pura e semplice di cui all’art. 1526 co. 1 c.c., scevro da ogni indagine rispetto al dettato contrattuale di riferimento, effettivamente applicato dalle parti nella fattispecie in esame; dettato contrattuale giusta il quale, all’interno di tutti i rapporti di locazione finanziaria, trovava diversamente applicazione, in via esclusiva, il comma 2 dell’art. 1526 cc.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributo pubblicati in Rivista:
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