La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili, come testualmente sancito dalla normativa (art. 1, comma 346 Legge Finanziaria 2004), è certamente causa di nullità del medesimo, tuttavia, se la causa di nullità del contratto dipende solo ed esclusivamente dalla sua omessa registrazione, tale nullità, sulla base di una corretta interpretazione delle norme, può comunque essere sanata, con efficacia ex tunc, in caso di successiva (pur se tardiva) registrazione.
L’adempimento tardivo della registrazione, infatti, coerentemente con quanto stabilito dagli artt. 38 e 76 del D.P.R. 131 del 1986, non può rendere illegittima la registrazione, producendo anzi l’effetto di sanare l’invalidità originaria con conseguente reviviscenza, ex tunc, del contratto.
La sanzione di nullità del patto di maggiorazione, attestane la natura di controdichiarazione simulatoria – ne impedisce il dispiegarsi degli effetti, con la conseguenza che il contratto resterà valido ed efficace in tutte le sue altre clausole, risultando invece insanabilmente nullo il solo patto di maggiorazione, in quanto accordo (vietato) mediante il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo abbiano concordato occultamente un canone superiore a quello dichiarato e registrato (o altrimenti solo dichiarato e nemmeno registrato).
Questi i principi di diritto affermati da una “voluminosa” decisione della Cassazione a Sezioni Unite 09/10/2017 n° 23601 – Pres. Amoroso, Relatore Travaglino, che, ripercorrendo dettagliatamente l’articolato quadro normativo in subiecta materia, su cui più volte è intervenuta la Corte Costituzionale, ha in pratica fatto ordine in un settore, quello delle locazioni, che in passato è stato oggetto di variegate opinioni, connesse alla validità negoziale in rapporto alle questioni de quibus, da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità, non sempre uniformi, anche in ragione di una frastagliata legislazione e del sovrapporsi di disposizioni fiscali che hanno posto l’interrogativo circa la loro incidenza sulla normativa civilistica sotto il duplice profilo della indifferenza/interferenza.
Orbene, la prima questione affrontata dalla Corte Suprema, nelle 50 pagine della decisione, riguarda gli effetti di un tardivo adempimento dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione, ove non viene in rilievo (n.b.) un vizio genetico dell’atto, ma la mancata attuazione di un obbligo ad esso conseguente, con possibilità di sanatoria ovvero di recupero degli effetti negoziali attraverso il compimento extraformale della registrazione.
La seconda questione trattata, attiene alle sorti di un contratto debitamente registrato, contenente una indicazione simulata del prezzo, cui accede una pattuizione a latere (denominata accordo integrativo), non registrata e destinata a sostituire la previsione negoziale del canone simulato con quella di un canone maggiore rispetto a quello formalmente risultante dal contratto registrato. La fattispecie va ricondotta (come sottolinea la S.C.) nella orbita dell’istituto della simulazione proprio perché l’accordo serve ad occultare un corrispettivo, per ragioni di risparmio fiscale, permettendo così di identificare “nella finalità della elusione la causa concreta del contratto da intendersi quest’ultima, nella più moderna nozione di scopo pratico del negozio”. Essa è diversa e non trattabile omogeneamente alla prima.
Il caso deciso dalle Sezioni Unite ha riguardato un contratto di locazione, ritualmente registrato, stipulato nel 2008 per un canone di locazione di € 1.200,00 mensili, essendo stata prevista a latere una scrittura integrativa (registrata anch’essa, ma solo nel gennaio 2009), in cui erano stati previsti due distinti canoni di locazione: uno di € 5.500,00 mensili da ritenersi “reale ed effettivo” in luogo di quello risultante dal contratto originariamente concluso, da corrispondersi in tale misura laddove una o entrambe le parti avesse proceduto alla registrazione dell’accordo; un diverso canone di € 3.500,00 mensili che sarebbe stato corrisposto in mancanza di registrazione.
Insorta tra le parti (la prevedibile) contestazione sulla misura dei canoni dovuti, il Tribunale di Catanzaro, presso cui il proprietario dell’immobile affittato per uso diverso dall’abitazione aveva evocato il proprio inquilino con azione di sfratto per morosità, escludeva l’inefficacia del contratto per tardiva registrazione, ritenendo tuttavia la nullità della pattuizione aggiuntiva in quanto contenente la illegittima previsione di un aumento automatico del canone, fissando in € 1.200,00 l’importo mensile dovuto dalla conduttrice. Purtuttavia, avendo il Tribunale accertata la tardività nel pagamento di due canoni, dichiarava risolto il contratto di locazione in ragione di una clausola risolutiva espressa, contrattualmente pattuita.
Impugnata la decisione da parte della conduttrice, presso la Corte di Appello di Catanzaro, quest’ultima, in accoglimento dell’appello incidentale svolto dal proprietario ed in parziale riforma della decisione di I° grado, dichiarava risolto il contratto per inadempimento della conduttrice medesima, la quale veniva condannata al pagamento delle differenze dovute tra il canone corrisposto e quello effettivamente pattuito, pari ad € 5.500,00, dovendosi considerare l’atto integrativo “alla stregua di una controdichiarazione attestante la simulazione relativa del prezzo posto in essere” per intuibili scopi di evasione fiscale.
Al riguardo, osservava la Corte di Appello calabrese, che nella specie non era configurabile un illecito aumento del canone, nullo ex art. 79 L. 392/78, in quanto il complesso regolamento delle rispettive posizioni patrimoniali, operato dalle parti, conduceva a ritenere trattarsi di “un contratto sottoposto a condizione sospensiva – perfettamente lecita ed, anzi, imposta – afferente alla misura del canone e legata alla registrazione del contratto reale”.
La Corte Regolatrice ha cassato la pronuncia della Corte Territoriale sulla base, in pratica, della seguente equazione:
-mancata registrazione del contratto/nullità/possibilità di sanatoria con effetti ex tunc ancorché l’adempimento fiscale extra negoziale venga effettuato tardivamente;
-registrazione del c.d. accordo integrativo contenente la previsione di un canone inferiore per finalità di elusione fiscale/nullità virtuale limitatamente a detto patto/inidoneità a travolgere l’intero rapporto, compreso il contratto integrativo, quindi il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione.
A fronte di tale evidenza, e riferendoci al caso specifico deciso dalla S.C., il contratto continuerebbe a produrre i suoi effetti sulla base del canone originario di € 1.200,00.
Le S.U. erano state investite della questione dall’ordinanza della IIIa Sezione 16604/2010, invero ritenuta di massima e particolare importanza “in una materia connotata da diffusissima contrattazione e caratterizzata da una accentuata litigiosità (i cui esiti hanno registrato spesso una difformità di orientamenti nella giurisprudenza) quale quella concernente i contratti di locazione ad uso diverso dalla abitazione, spesso oggetto di accordi simulati funzionalmente volti ad eludere i diritti di terzi, in particolare del fisco, dei quali non potrebbe non riconoscersi la invalidità ed inefficacia impingendo nella violazione dell’interesse pubblicistico sotteso alle norme fiscali eluse”, così ponendosi in contrasto con il generale principio antielusivo previsto dall’art. 53 Cost.”.
Il percorso argomentativo delle S.U. si sviluppa attraverso un incedere molto articolato e serrato, prendendo le mosse da lontano ossia da quel principio di indifferenza della normativa fiscale su quella civilistica che in tempi più risalenti aveva permesso di escludere la nullità del contratto a fronte della violazione della norma tributaria, pur in presenza di alcune pronunce contrastanti con detto maggioritario orientamento, che avevano ritenuto nullo il negozio, volto a conseguire un illecito risparmio di imposta, per difetto di causa in concreto, abuso del diritto e/o frode alla legge, evocando all’uopo il principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost..
Ed invero, a mente di detta disposizione che connota il sistema tributario di un fondamentale criterio di progressività (“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” così recita detta disposizione normativa) si è sostenuto che non poteva non predicarsi la natura imperativa di detta disposizione normativa da cui doveva conseguire la sanzione di nullità della manifestazione di autonomia negoziale con essa confliggente (si confronti Cass. S.U. 6645/1998).
Ma, ricorda la S.C., è con le riforme in materia di contratti di locazione – a cominciare dal 1998 con la legge 431 e successivamente con la legge finanziaria 2004 e poi ancora con la legge 23/11, fulminata, per così dire dalla Corte Costituzionale, ma per eccesso di delega – che viene sottoposta a revisione la precedente concezione della non interferenza fra normativa tributaria e normativa civile ed in questa direzione si colloca la scelta del legislatore, soprattutto con la emanazione dell’art. 1 comma 346 della legge finanziaria 311/2004, di dover più incisivamente intervenire in subiecta materia , in funzione antielusiva, introducendo expressis verbis la comminatoria di nullità conseguente alla mancata registrazione del contratto di locazione, per entrambe le tipologie (abitativa ed uso diverso).
E nel momento stesso in cui la Corte Costituzionale, interviene, con la nota decisione 420/2007, sull’art.1 comma 346 citato -affermandone la legittimità sulla base di un principio assai importante secondo cui detta disposizione “non introduce ostacoli alla tutela giurisdizionale ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ex art. 1418 CC” – si realizza la condizione per il superamento del principio di indifferenza a favore di quello della inferenza/interferenza della norma tributaria su quella civile, sviluppato poi dalla Cassazione con la altrettanto nota sentenza a S.U.8213/2015.
Sottolineano le S.U. che il richiamo all’art. 1418 CC, invero privo della indicazione di quale comma di detto articolo vorrebbe il rilievo nel caso specifico, ossia se si tratti di una nullità virtuale (comma 1) o di una nullità testuale (comma 3), al di là della scelta terminologica, ribadirebbe che proprio di nullità si debba discorrere e non già di inefficacia o di altre fattispecie ipotizzate da dottrina e giurisprudenza.
Mette conto di rilevare, a tal ultimo riguardo, che una delle principali questioni che in passato hanno agitato dottrina e giurisprudenza ha riguardato proprio il significato da attribuirsi all’inciso di cui all’art. 1 comma 346 L. 311/2004 (i contratti di locazione sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati) oltre all’effetto conseguente all’adempimento dell’obbligo fiscale della registrazione, da individuarsi ex nunc od ex tunc (come propende , in tale seconda direzione, la sentenza in commento ed anche una meno recente pronuncia della stessa Cassazione, ma sempre di quest’anno, ossia quella pubblicata il 28/04/2017 recante il numero 10498, la quale attribuisce alla mancata registrazione del contratto di locazione la valenza di una nullità atipica suscettibile di sanatoria ex tunc, attraverso il tardivo adempimento fiscale).
Ed invero, secondo un filone giurisprudenziale e dottrinario, che ha avuto un certo successo, si è posto l’accento sul fatto che, al di là del dato testuale, la registrazione del contratto di locazione costituirebbe una conditio iuris da cui dipenderebbe la efficacia e non la validità del contratto.
Detta condizione può intervenire ed avverarsi in un momento successivo alla conclusione del negozio, determinandone l’efficacia con effetti ex tunc ai sensi dell’art. 1360, 1° comma CC (v. in dottrina Di Marzio, La nullità del contratto di locazione per omessa registrazione in Giust. Civ. 2007, 2, 484; Falabella, Locazione e Fisco, alcune questioni particolari; in Rassegna locazione e condominio 2005, 391; Focacci/Ammanati, La nullità del contratto non registrato, in Immobili e proprietà 2005, 331. In giurisprudenza v. Tribunale di Modena 12/06/2006 in Foro.it 2007, 10, 2926; Tribunale di Arezzo 30/01/2007, Tribunale di Reggio Emilia 05/03/2009, Tribunale di Firenze 01/04/2009, Tribunale di Catanzaro 22/07/2010, Tribunale di Bergamo 07/02/2012, Tribunale di Lecce 10/07/2012, Tribunale di Messina 23/05/2013 – tutte in Red. Giuffrè De Iure 2006/2013).
A motivo di tale indirizzo, come si è già accennato, militerebbe l’affermazione secondo cui non sarebbe conforme al sistema normativo la previsione di nullità del contratto che, come nel caso di omessa registrazione, non sia inficiato da un vizio genetico alla sua formazione ma extra negoziale.
Con riguardo alla specifica questione dell’esistenza del patto occulto relativo alla misura del canone maggiore rispetto a quello che si può dire “ufficiale”, laddove l’ufficialità è stata conferita, nel caso concreto, dalla registrazione del contratto prevedente il corrispettivo di € 1.200,00 mensili, sembrerebbe prima facie (ad avviso delle S.U.) che la sanzione di nullità testuale del patto di maggiorazione del canone che, attesane la natura di controdichiarazione dissimulatoria, preclusiva il dispiegarsi degli effetti, non si applicherebbe alle locazioni per uso diverso dato che l’art. 13 L. 431/98 si riferisce alla sole locazioni abitative.
In tale contesto normativo, allora sarebbe predicabile un effetto sanatorio conseguente alla registrazione del contratto che si dispieghi alla interezza della pattuizioni ivi convenute compresa quella che contenga l’indicazione del canone reale come convenuto ab origine dalle parti?
Posta la validità di una registrazione tardiva del contratto, ciò evincendosi dal DPR 131/1986 (laddove emerge la non perentorietà del termine di 30 giorni per la registrazione, il fatto che la nullità dell’atto non dispensa dall’obbligo di richiederne la registrazione e di pagare la relativa imposta) ma anche dalle disposizioni di legge (art. 13 D.lgs. 472/97) sul ravvedimento operoso e che detto adempimento fiscale sana il vizio con effetti retroattivi, il successivo passaggio operato nella decisione delle S.U. in commento è quello volto a verificare la possibilità che un effetto sanante possa derivare dalla registrazione del c.d. accordo integrativo dopo che il contratto contenente il canone simulato sia stato previamente registrato, sulla premessa per cui la sanatoria da tardiva registrazione elimina soltanto la nullità (testuale) sopravvenuta, lasciando impregiudicata la sorte del contratto quale era fino alla violazione dell’obbligo di registrazione (inidonea a spiegare efficacia sanante su una eventuale nullità da vizio genetico).
Trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto (per l’appunto) e non soltanto ad un mero inadempimento successivo alla stipula (sanzionato dalla nullità testuale di cui all’art. 1, co. 346 L. 311/2004, identificandosi con detta terminologia tutte quelle ipotesi in cui tale invalidità derivi da cause particolari stabilite di volta in volta dalla legge ), nella fattispecie scrutinata del canone locatizio contenuto in un contratto già registrato deve, secondo le S.U., “ravvisarsi la diversa ipotesi della nullità virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria (ossia, così definita in quanto la legge non individua un tipo ma rimanda alle norme imperative violate) e, quindi, tradizionalmente insanabile ex art. 1423 CC: in tal caso la nullità deriverebbe non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma a monte dalla illeceità della causa concreta del negozio (elusione di una norma imperativa tale essendo considerata la norma tributaria dell’obbligo di registrazione, come visto elevata a tale rango dalla Corte Costituzionale), che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare”. E, ciò, per entrambe le tipologie contrattuale (locazioni abitative e non).
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