ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di locazioni abitative, l’art. 13, comma 1 della legge n. 431 del 1998, nel prevedere la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore rispetto a quello risultante dal contratto scritto e registrato, non si riferisce all’ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo, in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma in quanto, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato, non può sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo mediante una pattuizione scritta ma non registrata. La nullità prevista dal comma 1 dell’art. 13 è volta a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario.
Il contratto di locazione di immobili ad uso abitativo registrato per un canone inferiore al reale resta valido per il canone apparente, mentre l’accordo simulatorio relativo al maggior canone è nullo e non sanabile dall’eventuale registrazione tardiva.
Questa è la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Pres. Rovelli Rel. Travaglino, con la sentenza n. 18213 del 17.09.2015, in materia di locazioni ad uso abitativo, relativamente ad una fattispecie che riflette una prassi diffusa, e cioè quella di eludere o evadere il Fisco denunciando un canone inferiore attraverso il meccanismo di stipulare due contratti di locazione: uno, registrato, ad un prezzo minore che sarebbe quello c.d. ufficiale ai fini IRPEF, ed uno ad un prezzo superiore da registrare all’occorrenza, ossia quando il conduttore, contravvenendo ai reali patti, si avvalga del c.d. primo contratto corrispondendo il canone inferiore ivi previsto.
Il meccanismo è, in un certo senso, collaudato, in quanto, attraverso il contratto al canone superiore, il locatore si dota non solo di uno strumento avente una efficacia dissuasiva nei confronti del conduttore, ma anche di un utile documento per reagire a fronte dell’inadempimento di quest’ultimo nel pagamento del prezzo effettivamente pattuito.
È quanto similmente avvenuto nella fattispecie decisa con la sentenza in commento, laddove le parti avevano registrato un contratto al canone mensile di 387,00 ed, a latere, stipulato una scrittura privata nella quale era stato indicato il canone aggiuntivo, fino ad arrivare ad 1.700,00 mensili.
Avviene, ad un certo punto, che il conduttore comincia a non pagare il canone inducendo il locatore ad effettuare la registrazione della scrittura integrativa, dopo circa un anno dall’inizio della locazione e ad intimare uno sfratto per morosità, per i mesi di dicembre 2003 e gennaio 2004, per 3.400,00, pari per l’appunto al canone effettivamente concordato.
Invero, il “presidio”, posto in essere dal locatore attraverso la scrittura integrativa, non ha funzionato, avendone il conduttore eccepito la illeceità, con richiesta, in riconvenzionale, di ripetizione delle somme versate in eccesso, pari ad 11.813,00 complessivi, previo accertamento definitivo del canone pari ad 387,00 mensili.
Tribunale e Corte di Appello rigettano la domanda del locatore stabilendo che il corrispettivo mensile dovuto fosse pari ad 387,00, accogliendo la riconvenzionale proposta dal conduttore e, per l’effetto, riconoscendo il diritto di quest’ultimo alla restituzione della somma di 11.813,00; e ciò sulla scorta della intervenuta modifica dell’originario contratto da ritenersi non consentita sulla base del tenore letterale dell’art. 13 L. 431/1998, secondo cui “è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone superiore a quello del contratto scritto e registrato“, non potendosi aderire al rilievo, sollevato dal locatore, predicativo la configurabilità, nella specie, di una simulazione (per motivi fiscali) del canone stabilito nel primo dei due contratti, versandosi piuttosto in tema di integrazione negoziale per effetto del secondo negozio.
La conclusione è che il “malcapitato” locatore vede sconfessata una linea interpretativa, su cui aveva fatto, evidentemente, ragionevole affidamento, espressa con la famosa sentenza del 27/10/2003 n. 16089, cui erano seguite, nei successivi dieci anni, altre decisioni conformi (Cass. 19568/2004; Cass. 8148/2009; Cass. 8310/2010) e che aveva dettato i seguenti principi, sulla base dei quali, in pratica, era stato congegnato lo schema negoziale scelto dal locatore medesimo.
1) Nel caso di simulazione relativa al canone (è questa l’ipotesi afferente gli atti giuridici posti in essere dalle parti), non si configura un contrasto tra due diversi canoni perché, una volta provata ed accertata la simulazione, il canone è soltanto quello effettivamente voluto tra le parti ed il conflitto tra le diverse pattuizioni va risolto secondo i principi della simulazione.
2) Con la conseguenza che il locatore potrà chiedere il pagamento del canone previsto nella controdichiarazione, laddove si tratta di corrispettivo afferente il tipo di contratto c.d. libero, di cui all’art. 2 comma 1 L. 431/98, mentre nella ipotesi di contratto c.d. convenzionato, di cui all’art. 2 comma 3 L. 431/98, ancora una volta potrà essere richiesto il canone effettivo risultante dalla controdichiarazione, con l’eccezione che il conduttore, non essendo il canone liberamente determinabile dalle parti, potrà far valere l’azione di nullità della pattuizione racchiusa nella controdichiarazione qualora preveda un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi.
3) In caso di simulazione relativa parziale del canone, deve escludersi la nullità dell’accordo contemporaneo ed ulteriore di un canone più elevato (c.d. controdichiarazione), non potendo essa conseguire dalla mancata registrazione dell’ulteriore accordo in quanto detto adempimento fiscale non sarebbe stato elevato a requisito di validità del contratto di locazione, ponendosi solo un problema di tardiva registrazione fiscale della controdichiarazione, a far data dalla stipulazione; regolarizzazione espressamente consentita dalla legislazione di settore (art. 13 D.L. 18/12/1997 n. 472).
4) Un problema di nullità si porrebbe, viceversa, in quella ipotesi da riferirsi al diverso caso in cui, nel corso dello svolgimento del rapporto, venga pattuito un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario che deve risultare invariato, a parte l’eventuale aggiornamento ISTAT, per tutta la durata dl rapporto legalmente imposta, abilitando il conduttore solo in tale ipotesi (e non anche nell’accertato contratto simulatorio) alla ripetizione delle somme maggiori indebitamente corrisposte ex art. 13, comma 2 L. 431/98.
In sostanza, fino al 2014, la questione era risolta costantemente in questi termini: in tema di locazioni abitative regolate da contratto registrato e da contestuale atto di pari data (c.d. controdichiarazione) non registrato, contenente un canone di locazione superiore a quello previsto nel contratto registrato, doveva escludersi che l’art. 13 comma 1 L. 431/98, prevedesse la sanzione di nullità dell’accordo contemporaneo ed ulteriore di un canone più elevato (c.d. controdichiarazione), in ragione della sua omessa registrazione, per cui era esclusa l’azione di ripetizione delle somme corrispondenti al canone effettivamente pattuito.
Accade, dunque, nel 2014, che la questione, non vexata, viene rimessa in discussione attraverso l’ordinanza interlocutoria 37/2014, avvertendo la Cassazione non l’esigenza di superare un contrasto giurisprudenziale in atto, quanto di rivalutare la problematica sulla base delle teorie della causa concreta del contratto e dell’abuso del diritto, non recepite nello stratificato orientamento giurisprudenziale in subiecta materia.
Di qui l’approdo alle S.U. che affermano il principio innovatore suddetto del tutto opposto a quello in precedenza seguito.
Overruling, ossia ribaltamento del precedente consolidato orientamento giurisprudenziale?
Il tema richiede approfondimenti che tralasciamo di fare per ragioni di spazio.
Fatto sta che il presupposto fondante le precedenti decisioni della Suprema Corte, ossia l’assunto che la violazione di disposizioni tributarie non avrebbe l’effetto di rilevare nei rapporti civili, viene ritenuto non più indifferente, valorizzandosi proprio i due principi, di cui si è detto, che avevano provocato la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
Ed invero, secondo la teoria della causa concreta del negozio giuridico (che supera il tradizionale orientamento che ravvisava nella causa la funzione economico-sociale del contratto), predicata soprattutto nelle sentenze della Corte di legittimità 10490/2006, 23491/2009 e 7557/2011, non potrebbe riconoscersi validità alla pattuizione di un canone superiore rispetto a quello indicato nel contratto scritto e registrato perché, attraverso di essa, concretamente, per l’appunto, il locatore conseguirebbe un risultato vietato dalla legge, cioè quello di ritrarre dalla locazione un reddito superiore a quello assoggettato a tassazione.
Secondo la teoria dell’abuso del diritto, di cui la Cassazione fornisce una efficace definizione con la sentenza 20106/2009 (affermandone la ricorrenza “quando nel collegamento tra il potere conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede“), non potrebbero trarsi benefici da operazioni, ancorché non invalide e realmente volute dalle parti, compiute separatamente allo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale.
La valorizzazione di detti elementi ha consentito di affermare che lo scopo del procedimento simulatorio è, senza dubbio, quello dell’occultamento al Fisco della differenza tra la somma indicata nel contratto registrato e quella effettivamente percepita dal locatore.
Il procedimento simulatorio si sostanzierebbe nella stipula dell’unico contratto di locazione (registrato), cui accede, di guisa di una controdichiarazione, la scrittura privata (nella specie, coeva alla locazione stessa e redatta in forma contrattuale), in cui è previsto il prezzo effettivo.
L’atto negoziale è unico e la funzione della controdichiarazione è duplice, interpretativa (consentendo di disvelare e far prevalere la realtà sulla apparenza) e probatoria (costituendo l’unico mezzo per dimostrare l’accordo simulatorio nel giudizio).
La sostituzione, attraverso il contenuto della controdichiarazione, del prezzo fittizio con quello reale, contrasta con la norma imperativa che tale sostituzione impedisce, di cui all’art. 13, comma 1, L. 431/98, che si riferisce ad ogni pattuizione determinante un importo del canone maggiore rispetto a quello del contratto scritto e registrato, non operando alcuna distinzione fra pattuizioni contemporanee e quelle posteriori alla formazione della scrittura registrata.
Tale nullità lascia integra la unica convenzione negoziale originaria, oggetto di registrazione.
La nullità, dunque, colpisce, secondo le Sezioni Unite, non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale (attesane la funzione di controdichiarazione), ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullità.
Nessun rilievo, in tale contesto, assumerebbe la tardiva registrazione della controdichiarazione, atteso anche che l’effetto sanante di un simile adempimento fiscale contrasterebbe con la ratio legis, indubbiamente tesa a combattere l’evasione fiscale.
A favore di detta interpretazione militerebbero:
1) “ragioni di tipo letterale”, in quanto (come si è detto) l’art. 13, comma 1, L. 431/98, non lascia spazio a dubbi interpretativi, essendo stabilita la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, al di là, ed a prescindere, da qualsivoglia elemento esterno all’atto (es. registrazione);
2) “ragioni di tipo logico”, in quanto una diversa interpretazione – quella cioè predicativa della tutela soltanto ex post dell’invariabilità del canone – si risolverebbe nella sostanziale vanificazione dell’intento perseguito dal legislatore di colpire, in radice, l’elusione fiscale e subordinatamente la parte più debole del rapporto;
3) “ragioni di tipo storico-sistematico”, legate alla circostanza che la legislazione successiva al 1998 (in primo luogo l’art. 1 comma 346 della legge finanziaria per il 2005 con cui è stata prevista la nullità di tutti i contratti non registrati ed in secondo luogo l’art. 3, comma 8 e 9 del D.lgs. 23/2011, dichiarati incostituzionali con sentenza della Corte Costituzionale 50/2014) ha introdotto un principio generale di ingerenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio (ribadito anche da Corte Costituzionale 420/2007).
Non senza rilievo, infine, la considerazione del disvalore, su un piano etico/costituzionale, del fatto che una parte possa invocare la tutela giurisdizionale adducendo , apertamente ed impunemente, la propria qualità di evasore fiscale “in un contesto in cui l’imposizione ed il corretto adempimento degli obblighi tributari, lungi dall’attendere al solo rapporto individuale, contribuente/fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un migliore funzionamento della stessa macchina statale, nell’interesse superiore della intera collettività“.
Precisazioni, queste, che evocano quei risultati interpretativi in tema di causa concreta del negozio e di abuso del diritto, di cui sopra si è detto, che hanno decisamente orientato la Cassazione ad effettuare una scelta che rimette al passato il c.d. dogma della irrilevanza delle violazioni tributarie agli effetti dei rapporti civili e che ci ricorda quanto sia sempre più immanente la presenza (ancorché non apparente), in quello spazio ove si svolgono e concludono le trattative tra privati, di uno Stato con il quale dobbiamo “fare comunque i conti“.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 629/2015