Provvedimento segnalato da Donato Giovenzana – Legale d’impresa – con nota di accompagnamento
LA MASSIMA
La mancata conservazione dei documenti (ex art. 119 TUB) non comporta responsabilità della Banca ove manchi la prova del nesso causale tra detto inadempimento ed il danno lamentato.
L’ITER GIUDIZIALE
Una società aveva convenuto in giudizio la sua Banca lamentando il fatto che quest’ultima aveva omesso di fornire le copie degli assegni negoziati a suo credito (e quindi gli importi dei corrispettivi versati da propri clienti ed incassati dalla Banca) sui suoi conti correnti; copie che sarebbero state ad essa necessarie per resistere alla pretesa erariale di accertamento di un maggior reddito d’impresa, con la conseguenza, in ragione della mancata difesa, si sarebbe verificato un aggravamento dell’imposizione fiscale relativo agli anni 2006 e 2007.
I giudici di prime e seconde cure avevano rigettato la domanda risarcitoria.
Per il che è stato proposto ricorso per Cassazione.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in quanto, in piena condivisione con la sentenza della Corte d’Appello distrettuale, ha sottolineato che, anche se la Banca era sicuramente tenuta a fornire ex art. 119 Tub, la documentazione bancaria richiesta, l’assunto della ricorrente (secondo il quale era necessaria al fine di fornire all’ente accertatore le spiegazioni richieste nel corso dell’accertamento la documentazione bancaria inerente le singole operazioni inerente le singole operazioni poste in essere dall’impresa e dai singoli soci) non può essere condiviso.
A tale considerazione la Corte è pervenuta sulla base del fatto che non risulta provato il nesso causale fra il comportamento colposo della Banca (conseguente all’inosservanza dell’art. 119 Tub) ed il danno lamentato (e cioè le conseguenze degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate). A ciò aggiungasi che gli esiti dell’accertamento dell’Agenzia non risultano fondati sulla non coincidenza tra il fatturato della società e quanto dalla stessa incassato, con la conseguenza che la concreta disponibilità degli assegni non avrebbe comunque potuto scongiurare gli esiti dell’accertamento stesso.
Al fine di confutare l’assunto dell’ente accertatore, sarebbe stato necessario dimostrare che i versamenti complessivamente effettuati corrispondevano (ma non superavano) a quanto versato in acconto ed all’atto dell’emissione della fattura (a prestazione eseguita).
Gli ermellini hanno specificato, altresì, che il consulente di parte aveva confermato che l’Agenzia aveva ripreso a tassazione tutti gli accrediti non giustificati, circostanza questa dalla quale era scaturito un reddito imponibile accertato di gran lunga superiore a quanto effettivamente dichiarato, e questo divario non poteva essere colmato con la documentazione richiesta all’istituto.
Sulla base di tale percorso motivazionale, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ia seguenti contributi pubblicati in Rivista:
119 TUB: LA BANCA NON È TENUTA A CONSERVARE I CONTRATTI
L’OBBLIGO PREVISTO DALLA NORMA RIGUARDA SOLO LA DOCUMENTAZIONE DELLE SINGOLE OPERAZIONI
Ordinanza | Tribunale di Roma, Pres. Marvasi – Rel. Carlomagno | 10.04.2015 |
CONSEGNA EX 119 TUB: IL MANCATO REPERIMENTO DEL CONTRATTO È CAUSA DI REVOCA DEL DECRETO INGIUNTIVO
SI CONFIGURA UN’IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA DELLA PRESTAZIONE
Sentenza | Tribunale di Verona, dott. Fabio D’Amore | 30.08.2017 | n.2089
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