ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione, con sentenza n.18902 del 05/11/2012, ha ribadito il principio di diritto, già espresso dalla stessa Corte (Cass. n. 14964 del 28/06/2006), secondo il quale la mancata riproduzione nelle conclusioni definitive di cui all’art.189 cpc, di una delle domande proposte con l’atto di citazione comporta soltanto una mera presunzione di abbandono della domanda stessa.
Invero, il giudice del merito, al quale spetta il compito di interpretare la volontà della parte, è tenuto ad accertare se, nonostante la materiale omissione, sussistano elementi sufficienti, per ritenere che la parte abbia inteso insistere nella domanda pretermessa in dette conclusioni.
Detti elementi sono ricavabili dalla complessiva condotta processuale o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate.
Tuttavia, precisa la Corte che tale presunzione deve ritenersi inoperante se, su invito del giudice, le parti abbiano precisato le conclusioni in ordine ad una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito.
Alla luce di ciò il giudice deve concretamente verificare se l’omessa riproduzione è frutto di un errore e/p integra una precisa scelta processuale.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26156-2006 proposto da:
B.D.;
RICORRENTE
Contro
B.G.;
CONTRORICORRENTE
e contro
B.A.P.;
INTIMATA
avverso la sentenza n. 40/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 24/01/2006;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 6 e 7 settembre 1984 B. G. evocava in giudizio avanti al Tribunale di Avezzano, i germani D. e A.P. per sentir dichiarare aperta la successione del loro comune genitore B.S. con conseguente attribuzione delle singole quote previa divisione dell’asse ereditario, comprendente un fabbricato nel comune di (OMISSIS), dei terreni nel comune di (OMISSIS) ed inoltre un trattore con rimorchio per la metà. Si costituiva B.D. il quale chiedeva che la divisione venisse estesa anche ai beni appartenuti alla loro madre deceduta M.A. e che nell’asse ereditario venissero compresi la casa di abitazione dell’attore sita in (OMISSIS), intestata ai fratelli G. e A.P., ma in realtà acquistata in vita dai genitori con i loro danari, nonchè la somma di L. 2.800.000 dai medesimi versata al fratello G. quale liquidazione anticipata delle sue spettanze ereditarie sui terreni del (OMISSIS).
Nel corso dell’istruttoria si procedeva all’interrogatorio formale di B.G. e D.P., alla prova per testi ed a CTU;
quindi il Tribunale pronunciava una prima sentenza non definitiva in data 1.6.94 dichiarando che l’asse ereditario oggetto di divisione era composto solo dai beni indicati nell’atto di citazione, ritenendo abbandonata la domanda avanzata dal convenuto circa la divisione dell’asse ereditario materno e rigettando in quanto non provata la domanda diretta a ricomprendere nell’asse ereditario l’immobile (abitazione paterna) sito in (OMISSIS) intestata ai germani G. e A.P.. Lo stesso tribunale quindi, espletata la successiva istruttoria, decideva in via definitiva la causa con la sentenza n. 469 del 23 aprile-17 maggio 2001, disponendo precedersi alla divisione in tre quote uguali, ed all’assegnazione delle stesse mediante estrazione a sorte e determinando i dovuti conguagli.
Avverso le predette sentenze proponeva appello B.D.;
l’adita Corte d’Appello dell’Aquila con la sentenza n. 40/06 depos. in data 24.1.2006 respingeva il gravame avverso la sentenza non definitiva e lo accoglieva in parte con riferimento alla decisione definitiva relativamente alla determinazione dei conguagli, da corrispondere da B.D., in favore di B.G., che riduceva alla somma di L. 62.121.000.
Secondo la Corte distrettuale, in modo particolare, non era provato che l’acquisto della alla casa paterna di (OMISSIS) fosse avvenuto con denaro dei genitori; le dichiarazioni rese su tale specifica circostanza da B.A.P. in sede d’interrogatorio formale – secondo cui tale cespite venne acquistato effettivamente con danaro dei genitori ed intestato ai germani – non avrebbero potuto avere valore contessono a suo carico, – non essendo stata la domanda formulata nei suoi confronti ed erano altresì prive di valenza probatoria nei riguardi del fratello G., che invece aveva negata la stessa circostanza in sede di interrogatorio formale, mentre non costituiva prova la condanna del padre in sede penale per la soprelevazione abusiva dell’immobile.
Quanto alla somma di L. 2.800.000 che sarebbe stata versata da B.S. al figlio G., la predetta circostanza non poteva ritenersi provata con la sola dichiarazione testimoniale di V.T.; era emerso poi che il trattore e relativo rimorchio era stato acquistato dai genitori con il ricavato dei contributi agricoli versati, mentre infine la domanda di divisione di Domenico del patrimonio ereditario materno era stata abbandonata nel corso del giudizio di 1^ grado, non essendo stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.
Per la cassazione della sentenza ricorre B.D. sulla base di n. 4 mezzi; resiste con controricorso B.G.; non ha svolto difese B.M.P..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Con il primo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2730 e 2733 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce che con la “confessione” resa dalla sola sorella A. in sede d’interrogatorio formale circa la fittizia intestazione dell’immobile ai germani G. e A.P., almeno 1/2 dell’immobile (pari alla quota di sua spettanza) doveva rientrare nell’asse ereditario; peraltro le dichiarazioni della donna avevano trovato riscontro anche nella sentenza di condanna penale per illecito edilizio del loro padre, per avere abusivamente sopraelevato il vecchio fabbricato, dimostrando in tal modo di esserne il proprietario effettivo.
La doglianza non è fondata.
Giova invero precisare che, nella fattispecie, l’attore non aveva proposto una domanda di riduzione e neppure di collazione, ma una domanda di accertamento di una simulazione relativa (costituita dalla falsa intestazione dell’immobile) per cui tale azione soggiaceva alle precise limitazioni previste dall’art.1417 cc non potendo l’attore ritenersi quale terzo rispetto al negozio.
A questo riguardo ha precisato questa S.C. che: “la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l’immobile tra i beni facenti parte dell’asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge (art. 1417 cod. civ.) per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del “de cuius”, non possono legittimamente dirsi “terzi” rispetto al negozio;
deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte” (Cass. n. 6632 del 24/03/2006).
Va altresì rilevato che nell’ipotesi di simulazione di contratto di compravendita di immobili, che esigono la forma scritta ad substantiam, la prova della simulazione mediante interrogatorio formale, diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito, è ammissibile tra le parti solo se sia rivolta a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, perchè in tal caso oggetto del mezzo di prova è l’inesistenza della compravendita immobiliare; questa però non è l’ipotesi in esame, per cui le dichiarazioni “confessorie” di B.A.P. non potevano essere in alcun modo utilizzate per dimostrare l’asserita simulazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente.
2 – Con il secondo motivo, B.D. eccepisce la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese da V.T., sull’asserita dazione della somma di L. 2.880.00 da parte del de cuius B.S. al figlio G.; sostiene l’esponente che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito tale testimonianza, doveva ritenersi pienamente esaustiva ed attendibile.
Anche tale motivo è privo di pregio. La sentenza ha affermato invero che la deposizione della V. “era stata disattesa dal tribunale con argomenti assolutamente convincenti, che neppure sono stati contestati con l’atto di gravame” rilievo quest’ultimo che non è stato oggetto di specifica censura. In tal senso dunque non ne è stata colta la ratio decidendi, senza contare poi che la censura si risolverebbe comunque nella proposizione di una questione di fatto quale la giudiziale valutazione di un mezzo istruttorio, non censurabile in questa sede di legittimità, attesa la corretta motivazione della sentenza.
3 – Con il terzo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., e art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), con riferimento all’inclusione nell’asse ereditario del trattore e rimorchio. Deduce il ricorrente che si trattava di mezzi a lui intestati (del cui patrimonio esclusivo facevano parte) mentre era irrilevante che tali mezzi fossero stati in precedenza intestati al de cuius ed alla di lui moglie, che li avevano acquistati con contributi agricoli ad essi erogati, atteso che la circostanza era priva di qualsivoglia riscontro ed era irrilevante l’intestazione precedente il trasferimento a B.D..
Il motivo è infondato.
Il ricorrente si limita a dolersi che il giudice distrettuale abbia fatto ricorso a presunzioni semplici e contrappone all’affermazione della sentenza secondo cui dagli atti emergeva l’acquisto della macchina da parte dei genitori con il ricavato di contributi agricoli, l’affermazione che di tale circostanza non vi era prova nel processo, nonchè l’affermazione (nuova) che in precedenza il trattore era stato intestato ai genitori. In definitiva la censura si traduce in una critica alla valutazione di prove, inammissibile in questa sede di legittimità.
4 – Con il quarto motivo, il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione degli artt. 189 e 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in ordine all’affermazione che la domanda di divisione di B. D. del patrimonio ereditario materno era stata abbandonata nel corso del giudizio di 1^ grado, non essendo stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. La censura non ha fondamento.
Secondo questa S.C. “l’omessa riproposizione, all’udienza di precisazione delle conclusioni, di alcune delle domande formulate nel corso del giudizio, o il semplice richiamo alle conclusioni originariamente proposte con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, sono circostanze sufficienti a far presumere l’abbandono delle domande non riproposte, se dalla complessiva condotta della parte non si evidenzia in modo inequivoco l’intento di mantenere ferme tutte le domande, nonostante la materiale omissione di alcune di esse (Cass. n. 14783 del 02/08/2004; Cass. n. 10569 del 03/06/2004).
Questa Corte ha altresì ribadito che “la omessa riproduzione nelle conclusioni definitive di cui all’art. 189 c.p.c., di una delle domande proposte con l’atto di citazione implica soltanto una mera presunzione di abbandono della stessa, sicchè il giudice del merito, al quale spetta il compito di interpretare la volontà della parte, è tenuto ad accertare se, malgrado la materiale omissione, sussistano elementi sufficienti – ricavabili dalla complessiva condotta processuale o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate – per ritenere che la parte abbia inteso insistere nella domanda pretermessa in dette conclusioni. Tale presunzione deve ritenersi peraltro inoperante se, su invito del giudice, le parti abbiano precisato le conclusioni in ordine ad una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito (Cass. n. 14964 del 28/06/2006).
Ciò posto, nella fattispecie il ricorrente non ha indicato invero alcun elemento concreto o specifica circostanza da cui potesse emergere in modo inequivoco, la sua volontà contraria all’abbandono della domanda in questione: egli si è limitato in sostanza a richiamate la concorrente domanda della sorella P.A.. Va inoltre ricordato al riguardo, che la domanda di divisione di un diverso asse ereditario quale quello materno, non era in alcun modo connessa con quella della richiesta divisione originaria, che era limitata al patrimonio paterno.
Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico del ricorrente.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in solido delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori come per legge.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 89/2012