ISSN 2385-1376
Testo massima
La funzione dell’istituto della mediazione è quella di favorire un “effettivo” incontro tra i litiganti: la prevista possibilità di farsi assistere da un legale – o, comunque, da altra persona di fiducia – ha il solo scopo di aiutare le parti a raggiungere un accordo che sia, per entrambe, il più soddisfacente possibile.
La finalità, tipica della mediazione, di deflazione del contenzioso civile è completamente vanificata dalla condotta – purtroppo comune, specie tra gli operatori del diritto – di coloro i quali vedono nell’istituto un inutile, doloroso passaggio obbligato per arrivare alla fase giudiziale, quasi che quest’ultima rappresenti l’unica strada verso una soddisfazione piena (implicitamente, a discapito dell’avversario).
Dal momento che, per talune materie, il procedimento di mediazione deve essere effettuato a condizione di procedibilità della domanda, per quelle stesse materie la condotta sopra specificata rappresenta una elusione della normativa obbligatoria contenuta nel decreto 28 del 2010, ma pure una violazione dell’art. 96, comma 3, del codice di procedura, norma che punisce la cosiddetta responsabilità aggravata per scorretta condotta processuale.
È quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Firenze, III sezione, del 17 marzo 2014, la quale statuisce al riguardo come l’esperimento del procedimento obbligatorio di mediazione non possa essere fittizio: non ci si può far sostituire da un rappresentante, pure munito di procura idonea, al solo scopo di manifestare la sostanziale volontà di non voler neppure tentare di raggiungere un accordo.
Come precisato dal Giudice, ove il decreto 28 prevede (art. 8) per il mediatore l’onere di chiedere alle parti, durante il primo incontro, se esiste la “possibilità” di iniziare la procedura, si riferisce alla necessità di verificare l’insussistenza di impedimenti allo svolgimento della procedura medesima e non, piuttosto, di saggiare la effettiva disponibilità delle parti a volersi o non avvalere dell’istituto.
Se al primo incontro le parti non si presentano personalmente, si fanno sostituire dai propri legali e per loro tramite si limitano a dichiarare che, a loro giudizio, qualsiasi accordo risulta impossibile, l’unica conseguenza che può trarre il giudice è che il procedimento di mediazione, «pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine».
Se così non fosse, la mediazione da obbligatoria diventerebbe una facoltà delle parti, nessun senso avrebbe la prevista possibilità di rinvio ad incontro successivo se la parte si trova nell’impossibilità di presenziare e neppure la circostanza che l’intero procedimento di mediazione ha una durata predeterminata.
In presenza di un procedimento di fatto non espletato, il giudice ha la necessità di rinviare le parti nuovamente dinanzi al mediatore, affinché portino a termine il procedimento: la effettiva non fruttuosità della mediazione deve risultare dal verbale redatto dal mediatore e sottoscritto dalle parti, nel quale sono indicate, dettagliatamente, le ragioni per le quali il tentativo di accordo è fallito.
Le risultanze del verbale di mediazione sono necessarie al giudice per ricavare tutti gli elementi utili alla sua decisione, in particolar modo quegli elementi e argomenti di prova che egli dovrà porre a motivazione della sua sentenza.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 351/2014