In tema di motivazione, se la sentenza, per quanto sintetica, consente in modo del tutto evidente il controllo sulla ratio decidendi della medesima, essa risponde al parametro del c.d. minimo costituzionale, esulandosi nella fattispecie da quell’anomalia motivazionale particolarmente grave (motivazione apparente o obiettivamente incomprensibile) tale da convertirsi in vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Cirillo – Rel. Napolitano, con la sentenza n. 35354 del 18 dicembre 2023.
A seguito di processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società controricorrente due avvisi di accertamento ai fini Irpeg, Iva ed Irap per gli anni 2002 e 2003. In particolare, si contestava alla società l’indebita deduzione di costi per acquisti effettuati da altra società fornitrice, domiciliata in un paese a fiscalità privilegiata, incluso nella black list di cui al D.M. 23 gennaio 2002, e la indebita deduzione di perdite su crediti.
L’adita Commissione tributaria provinciale (CTP) accoglieva in parte i due ricorsi presentati dalla società.
La Commissione tributaria regionale (CTR) della Campania accoglieva gli appelli della società e rigettava gli appelli incidentali della Agenzia delle Entrate, confermando per l’anno 2002 la rettifica in relazione alla deduzione della perdita su crediti.
L’Agenzia delle entrate impugnava detta pronuncia con ricorso per cassazione basato su quattro motivi. La Corte accoglieva solo il primo motivo del ricorso erariale, dichiarando inammissibili i restanti motivi.
La CTR con sentenza, in riferimento all’anno 2003, riteneva che la società non avesse fornito la documentazione giustificativa degli acquisti presso la fornitrice, in assenza di prova che quest’ultima nel 2003 fosse stata assoggettata a tutte le imposte federali, cantonali e comunali.
Avverso tale sentenza la società proponeva ricorso principale per Cassazione che, con sentenza, accoglieva il ricorso principale della società, dichiarando inammissibile il ricorso incidentale dell’Ufficio.
Nuovamente riassunto il giudizio dalla società dinanzi alla CTR della Campania, quest’ultima, con sentenza accoglieva l’appello della società quanto al rilievo relativo all’indeducibilità dei costi per il 2003 riguardo alle operazioni intercorse con la fornitrice.
Avverso detta ultima sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione in forza di due motivi.
Con il primo di essi, l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deducendo la nullità della sentenza per motivazione apparente, per avere la CTR riconosciuto la sussistenza dei requisiti di deducibilità dei costi, ritenendo che dalla documentazione prodotta dalla società risultasse la prova della deducibilità e dell’inerenza degli stessi, senza, però, null’altro specificare e/o motivare al riguardo.
La Suprema Corte ha ritenuto che “la motivazione della sentenza da ultimo resa dalla CTR, per quanto sintetica, consente in modo del tutto evidente il controllo sulla ratio decidendi della medesima, essendo stato dato atto che la stessa precedente sentenza di questa Corte aveva evidenziato che risultava essere stata depositata, sin dal primo grado, apposita certificazione comprovante che anche per l’anno 2003 (la fornitrice) era assoggettata a tutte le imposte elvetiche e che il rinvio al giudice a quo era volto alla verifica, da parte del giudice del merito, alla stregua della normativa nelle more sopravvenuta, della rilevanza della stessa proprio sul tema della deducibilità dei costi sostenuti con imprese aventi sede legale in Paesi inclusi nella black list”.
Pertanto, tale motivazione rispondeva al parametro del c.d. minimo costituzionale, esulandosi nella fattispecie da quell’anomalia motivazionale particolarmente grave (motivazione apparente o obiettivamente incomprensibile) tale da convertirsi in vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. SU, 7 aprile 2014, n. 8053 e successiva giurisprudenza conforme).
Né a diversa conclusione poteva indurre il rilievo dell’Amministrazione ricorrente in ordine all’erronea menzione dell’originario appello principale della società (vittoriosa, su detto rilievo in primo grado), trattandosi chiaramente di errore materiale agevolmente riconoscibile.
Pertanto, il ricorso è stato rigettato e la ricorrente condannata alle spese di lite.
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