In tema di mutuo agrario ipotecario, con la notificazione al debitore inadempiente dell’atto di precetto per il pagamento dell’intero credito residuo la banca mutuante manifesta, per fatti concludenti, la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista contrattualmente, la quale, pur facendo riferimento all’omesso integrale pagamento anche di una rata soltanto, va comunque considerata valida ed efficace quantomeno con riguardo agli inadempimenti che legittimano la risoluzione ai sensi dell’art. 40, comma 2, t.u.b. e, cioè, al pagamento tardivo – ma contenuto nei 180 giorni da ciascuna scadenza – di una singola rata che si sia verificato almeno sette volte oppure all’omesso o tardivo pagamento di una rata protrattosi per oltre 180 giorni.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo, con la sentenza n. 37734 del 23 dicembre 2022.
La decisione in esame ha riguardato un contratto di mutuo ipotecario agrario contenente una clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c., per il caso di mancato integrale pagamento anche di una sola rata o, comunque, di somme dovute a qualunque titolo in base al contratto.
Il mutuatario, dopo il pagamento delle prime rate, non aveva effettuato ulteriori versamenti diretti fino alla data di notificazione dell’atto di precetto opposto: l’accredito da parte di terzi di una somma nelle more pervenuta sul conto corrente bancario – attraverso il quale il predetto mutuatario provvedeva al pagamento delle rate del mutuo – era stato imputato dalla banca ad altri suoi debiti, meno garantiti.
La banca aveva poi dichiarato al mutuatario la risoluzione del contratto di mutuo con una comunicazione intervenuta meno di 90 gg. dopo la scadenza della prima rata insoluta.
Con l’atto di precetto notificato aveva poi intimato il pagamento dell’intero importo mutuato, maggiorato dei relativi accessori.
Secondo il ricorrente, la dichiarazione di risoluzione del contratto di mutuo comunicatagli dalla banca avrebbe dovuto essere ritenuta del tutto inefficace in quanto essa era stata effettuata in violazione del termine minimo di 180 gg. dalla scadenza della rata insoluta previsto dall’art. 40 comma 2 Testo Unico delle Leggi Bancarie (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385: TUB); non avrebbe potuto, d’altronde, ritenersi valida la più restrittiva clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso, a causa del carattere imperativo della indicata previsione di legge.
Di conseguenza, avrebbe dovuto del tutto escludersi l’avvenuta risoluzione del contratto di mutuo e l’atto di precetto, in cui si intimava il pagamento dell’intero importo mutuato, avrebbe dovuto essere ritenuto illegittimo.
La Corte d’Appello ha considerato infondate le censure del debitore.
I giudici di secondo grado, infatti, hanno ritenuto che si fosse del tutto al di fuori del campo di applicazione dell’art. 40, comma 2 TUB, disciplinando tale disposizione il pagamento tardivo di una o più rate, non il loro omesso pagamento definitivo ed integrale, ipotesi che hanno ritenuto essersi verificata al momento del precetto opposto.
Hanno altresì precisato che i presupposti per la risoluzione del contratto di mutuo si erano verificati al momento della notificazione dell’atto di precetto opposto, anche a prescindere dalla validità della clausola risolutiva espressa, che – almeno secondo la prospettazione del debitore – avrebbe consentito la risoluzione a condizioni diverse e più rigorose di quelle previste dall’art. 40, comma 2 TUB, in quanto vi era stato certamente un inadempimento “duraturo, totale e definitivo, e come tale oneroso e significativo”.
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di primo grado, ribadendo che la notificazione da parte della banca di un atto di precetto al mutuatario inadempiente per il pagamento dell’intero credito residuo da essa vantato manifestasse – quanto meno per fatti concludenti – la volontà della stessa banca di avvalersi della clausola risolutiva espressa, comportando, quindi, di per sè la risoluzione del contratto.
Pertanto, è stata ritenuta corretta la valutazione operata della Corte d’Appello circa la sussistenza delle condizioni necessarie ai fini della risoluzione del contratto, con riferimento alla data di notificazione del precetto opposto, diversamente da quanto preteso (almeno implicitamente) dal ricorrente.
Gli Ermellini hanno ritenuto altresì conforme a diritto la conclusione di merito cui è pervenuta la Corte d’Appello con riguardo alla sussistenza dei presupposti della risoluzione per inadempimento del contratto di mutuo.
Secondo la Suprema Corte, infatti, atteso che l’intimazione del precetto per il pagamento dell’intero importo residuo del mutuo equivale alla dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa e che, al momento della notificazione del precetto, non solo una sola rata, ma anche buona parte delle successive, erano rimaste del tutto insolute per un termine ben superiore a quello di 180 giorni dalla scadenza di cui all’art. 40, comma 2 TUB, non può dubitarsi della sussistenza, anche ai sensi di tale ultima disposizione, delle condizioni necessarie ai fini della risoluzione del contratto di mutuo e, quindi, della legittimità dello stesso precetto opposto.
Ne è derivata l’infondatezza di tutte le censure con le quali è stata dedotta la violazione, tra gli altri, dello stesso art. 40 TUB.
La Suprema Corte ha poi chiarito che, anche a voler considerare la disposizione di cui all’art. 40, comma 2 TUB come una norma imperativa, non derogabile per volontà delle parti, la clausola risolutiva espressa del contratto di mutuo che faccia riferimento all’omesso integrale pagamento anche di una sola rata deve certamente ritenersi valida ed efficace, quanto meno con riguardo agli inadempimenti che, in base all’espresso disposto della predetta norma, legittimano comunque la risoluzione, cioè con riguardo ai pagamenti del tutto omessi o comunque tardivi di oltre 180 giorni, relativi anche ad una sola rata, oltre che in caso di pagamenti tardivi contenuti nei 180 giorni dalla scadenza di ciascuna rata, ma reiterati per più di sette volte.
Nella specie, come più volte sottolineato, la dichiarazione di risoluzione contrattuale della banca mutuante era intervenuta (implicitamente, mediante notificazione di atto di precetto per il pagamento dell’intero importo residuo del mutuo) a seguito del mancato integrale pagamento di svariate rate protrattosi per più di 180 giorni dalla scadenza (anzi, addirittura mai intervenuto): essa, pertanto, è stata ritenuta legittima e pienamente efficace.
Per tali motivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente.
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