ISSN 2385-1376
Testo massima
L’art.38 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, che, a tutela della collettività, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti, qual è l’oggetto negoziale, e, pertanto, non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 del medesimo decreto, il quale attribuisce, invece, all’istituto di vigilanza un potere “conformativo” o “tipizzatorio” del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità, attenendo ad una normativa imperativa in ordine alla determinazione dell’oggetto, cagiona la nullità del contratto di mutuo fondiario ex art. 1418, I comma, c.c.
1. IL CASO
La decisione che si commenta, pronunciata in sede di opposizione all’esclusione dallo stato passivo fallimentare dal Tribunale di Firenze, Pres. M. Grazia Damonte Rel. Isabella Mariani, ha concluso per la nullità del mutuo e, più in genere, del finanziamento fondiario che abbia superato i limiti di cui all’art. 38, comma 2, T.U.B.
In applicazione di tale norma è stato stabilito per i crediti fondiari dalla Banca d’Italia, con delibera C.I.C.R. del 22 aprile 1995 il limite di finanziabilità dell’80% del valore dell’immobile concesso in garanzia. E’ pacifico che la predetta norma imperativa sia posta a tutela del corretto funzionamento del sistema bancario.
Pertanto, dalla violazione del predetto limite non può discendere la nullità del mutuo fondiario, dal momento che l’art. 38 T.U.B., diversamente dall’art. 117 T.U.B., non incide sulla formazione e sulla validità del sinallagma contrattuale, ma investe esclusivamente la buona condotta della banca erogante il finanziamento. Ne deriva che il superamento dell’importo finanziabile potrà comportare solo l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, qualora ne venga accertata la responsabilità.
Il Tribunale pur sostenendo che non è la Banca d’Italia a creare il tipo o la clausola contrattuale, ma l’oggetto, la prestazione (concessione del finanziamento) che viene determinata nel massimo ammontare da norma secondaria ha, al contempo, ritenuto che la violazione dell’art. 38 T.U.B. “determina nullità ex art. 1418, I comma, c.c.” in quanto “una normativa che incide direttamente sull’oggetto del contratto attiene agli elementi essenziali dello stesso e non all’apposizione di doveri di comportamento“.
Il giudice ha motivato il provvedimento richiamando il principio secondo il quale il mutuo fondiario concesso a fronte di un’ipoteca su un bene immobile, non può eccedere l’80% del valore dell’immobile stesso.
La decisione si caratterizza per una discutibile applicazione dei principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di legittimità e costituisce un precedente isolato, in contrasto proprio con l’ultimo arresto della S.C. (Cass. n. 26672/13) nonché con una giurisprudenza di merito già significativamente orientata a recepirne appieno le conclusioni.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, è pacifica nel ritenere che l’inosservanza dei limiti di finanziamento dei mutui fondiari non comporti la nullità del contratto né influisce in alcun modo sul sinallagma, ma, trattandosi di una violazione di una regola imperativa che riguarda il comportamento dei contraenti, può giustificare solo l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario.
Il tema è quello della distinzione tra le norme imperative di validità e le norme imperative di condotta seppure muovendo non dall’esame di disposizioni poste a tutela del cliente-contraente debole, bensì dall’analisi di regole finalizzate a garantire il funzionamento delle banche e a salvaguardare quella che tradizionalmente è considerata la parte “forte” del rapporto.
La violazione di norme aventi natura imperativa non sempre conduce alla caducazione dell’intero rapporto, dal momento che spesso la nullità si presenta come il rimedio contrattuale meno idoneo a garantire la piena realizzazione della regola disattesa; pertanto deve essere esclusa la nullità del contratto ove l’effettività della norma può essere meglio assicurata da strumenti diversi.
2. IL MUTUO FONDIARIO NON E’ UN MUTUO DI SCOPO
Occorre subito sgombrare il campo da un possibile fraintendimento: il mutuo fondiario non è condizionato ad una necessaria destinazione delle somme erogate e non assume pertanto la qualifica di mutuo di scopo.
La giurisprudenza di legittimità più recente ha, infatti, affermato che è lecito il contratto di mutuo fondiario stipulato dal mutuatario, ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante (cfr. Cass. n. 28663/13; Cass. 19282/2014).
Il mutuo fondiario non costituisce un mutuo di scopo, dal momento che non ne è elemento essenziale il patto di destinazione della somma mutuata a fini di miglioramento dei fondi sui quali è costituita l’ipoteca, che il mutuatario sia tenuto a perseguire, nè l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata (Cass., sez. 1, 26 marzo 2012, n. 4792, con riguardo alla disciplina del t.u.b.; sez. 3, 20 aprile 2007, n. 9511).
Ne deriva che, nel mutuo fondiario, il finanziamento dietro garanzia ipotecaria ben può essere finalizzato allo scopo soggettivo che le parti si prefiggono, e, se questo è costituito dall’utilizzo della somma per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può predicarsene l’illiceità. E ciò appare del tutto coerente con la situazione fattuale, in cui l’erogazione di denaro si è certamente realizzata, indipendentemente dall’uso che ne sia seguito.
3. CONSEGUENZE DEL SUPERAMENTO DEL LIMITE DI FINANZIABILITA’
La circostanza che il mutuo fondiario non sia più inquadrato in un mutuo di scopo, fa venir meno la necessità di qualsiasi indagine circa il profilo soggettivo dei contraenti e le finalità perseguite attraverso le somme erogate.
Ciò detto, la sentenza in commento si discosta senza adeguatamente motivare ed approfondire dalle decisioni adottate dalla Suprema Corte di Cassazione, giungendo a dichiarare la nullità dell’intero contratto di mutuo fondiario.
La disciplina del T.U.B. risponderebbe ad esigenze di carattere pubblico e generale e il limite massimo di finanziabilità violato avrebbe natura di “elemento intrinseco alla fattispecie negoziale”, tale che la sua violazione o mancanza comporterebbe di conseguenza la caducazione dell’intero contratto ex art. 1418 c.c.
Questa lettura non pare tuttavia convincente.
Sostiene il Tribunale che “l’interesse del ceto creditorio fa parte poi di un più generale interesse al corretto andamento economico e quindi sociale, atteso che il mancato adempimento delle obbligazioni nei riguardi dei creditori meno tutelati crea un effetto a catena di fallimenti, perdite di posti di lavoro e crisi economica generale“.
E’ stata, dunque, sostenuta la nullità del mutuo partendo dal presupposto che la violata disciplina di cui all’art. 38 ed alle disposizioni di attuazione non solo sia imperativa ed inderogabile, ma sia posta a tutela di interessi pubblici e della collettività.
Il limite di finanziabilità farebbe parte della stessa struttura del credito fondiario quale elemento intrinseco al suo contenuto. Pertanto i contratti difformi sarebbero nulli.
Preme evidenziare gli equivoci di fondo che hanno determinato tale non condivisibile decisione.
Innanzitutto, i limiti di finanziabilità previsti nella delibera del C.I.C.R. del 1995 sono espressione di un potere specifico, delimitato ai soli crediti fondiari ed avente un oggetto predeterminato: la discrezionalità che in questo caso il legislatore lascia alla Banca di Italia è ridotta o praticamente assente, e non implica alcuna funzione di tipizzazione dei contratti, bensì il mero compito di attuare le dettagliate indicazioni di cui all’art. 38, secondo comma, T.U.B.
Pertanto applicare, come ha fatto il Tribunale di Firenze, il combinato disposto degli artt. 1418 e 1346 c.c. per giungere alla nullità del mutuo per mancanza di uno degli elementi relativi alla struttura o al contenuto del contratto appare tesi difficilmente condivisibile.
Il superamento del limite di finanziabilità dipende, infatti, dal valore attribuito ai beni ipotecati ed è pertanto oscillante, dal momento che è soggetto agli esiti delle diverse valutazioni tecniche, eseguite in occasioni altrettanto differenti, ora dalle banche ora dal giudice, e sulla base di un range di informazioni inevitabilmente maggiore al momento della dichiarazione del fallimento della mutuataria piuttosto che al momento della concessione del credito da parte dell’istituto mutuante.
Si può parlare di superamento dei limiti di finanziabilità solo quando si riscontri una essenziale ed oggettiva sopravalutazione del valore dei beni ipotecati, non riconducibile alle inevitabili differenze che ogni indagine peritale comporta.
La scelta del legislatore è pacifica al riguardo essendoci stata una chiara delegificazione della materia in modo da renderla più flessibile. Tale precisa scelta allontana qualsiasi dubbio in ordine alla possibilità di attribuire alle percentuali massime dei crediti fondiari la natura di elementi essenziali e strutturali del contratto.
Inoltre, gli artt. 38 ss., inseriti nel testo unico bancario tra le “norme relative a particolari operazioni di credito“, non disciplinano aspetti inerenti alla struttura, formazione e trasparenza del contratto, ma sono disposizioni poste a tutela degli interessi delle banche e volte ad evitare che i finanziamenti erogati non siano accompagnati da adeguate garanzie.
Si tratta di regole che rispondono solo indirettamente a finalità generali e pubblicistiche, essendo volte anzitutto a salvaguardare la solvibilità e la stabilità patrimoniale del sistema bancario, in modo che ciò consenta, in un secondo momento, di incrementare i finanziamenti fondiari e soddisfare le esigenze del mercato.
Diversamente argomentando si cade nel paradosso di attribuire la legittimazione a rilevare detta nullità all’unico soggetto che non ne avrebbe alcun interesse, ossia al mutuatario.
E’ stato, infatti, correttamente evidenziato da App. Firenze, 18 settembre 2012, che “ai fini della determinazione del valore dell’immobile per accertare il carattere fondiario, o meno, di un finanziamento, nella natura delle cose l’interesse a sopravvalutare i cespiti, più che in capo all’istituto mutuante, si manifesta in capo all’impresa mutuataria“: il mutuatario ha logicamente tutto l’interesse ad ottenere il finanziamento fondiario, anche di importo eccedente rispetto al limite di finanziabilità.
4. LE CONCLUSIONI
Il Tribunale di Firenze ha argomentato in maniera non convincente la propria decisione avuto riguardo al bene tutelato dalle violate disposizioni: le regole di cui agli artt. 38 ss. T.U.B. non investono la formazione del sinallagma con il fine di salvaguardare la collettività, se non in modo indiretto, ma sottendono esigenze diverse. Sarebbe infatti paradossale da un lato, accollare al mutuatario l’errore commesso dalla banca nelle proprie valutazioni sul valore dell’immobile ipotecato, dall’altro, dichiarare la nullità del finanziamento erogato, così danneggiando la stabilità del sistema bancario e disincentivando gli istituti di credito a concludere queste operazioni, in quanto sempre più aleatorie.
In definitiva, sebbene la disciplina speciale di cui agli artt. 38 ss. T.U.B. conduca in effetti ad un trattamento particolarmente favorevole agli istituti bancari eroganti a discapito degli altri creditori concorrenti, tuttavia non per questo si deve concludere per la nullità e/o illiceità del finanziamento, specialmente ove l’effettività delle regole sia meglio garantita da altri strumenti rimediali. Un atteggiamento troppo rigido urterebbe d’altronde contro i principi espressi dalla stessa Corte costituzionale, che ha infatti difeso più volte la legittimità dell’istituto (cfr. da ultimo, Corte cost., 22 giugno 2004, n. 175).
Testo del provvedimento
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