La mancata indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore dell’immobile ipotecato non possa costituire, di per sé sola, causa di nullità del contratto medesimo, in assenza della prova concreta dell’intervenuta violazione del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 T.U.B.
Né può ritenersi tale indicazione un elemento costitutivo essenziale del contratto medesimo, ben potendo la Banca fornire la prova, in caso di contestazione, del mancato superamento del limite.
La mancata indicazione del valore dell’immobile non costituisce pertanto necessariamente prova della violazione del limite di finanziamento stabilito ex lege, ma mera omissione da ritenersi priva di effetto laddove ad una valutazione successiva il valore del finanziamento risultasse superiore all’80% del valore dell’immobile ipotecato.
Laddove in contratto siano chiaramente indicati sia l’entità del finanziamento sia l’immobile posto a garanzia, una mera stima di quest’ultimo consente agevolmente di verificare la regolarità del contratto.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Monza, Giudice Luca Fuzio con la sentenza n. 2286 del 21.07.2018.
Nella fattispecie esaminata un mutuatario proponeva opposizione al precetto notificatogli dalla Banca mutuante eccependo la nullità del contratto di mutuo ipotecario fondiario stipulato dallo stesso per violazione dell’art. 38 T.U.B., come integrato dalla delibera C.I.C.R. n. 426700 del 22.04.1995, dal momento che nel contratto mancava qualsiasi riferimento al valore del cespite immobiliare su cui parametrare, in conformità con la normativa richiamata, il valore massimo dell’importo finanziabile.
Si costituiva in giudizio la Banca replicando che l’indicazione nel contratto del valore dei beni ipotecati non è prevista da nessuna norma di legge, cosicché tale mancanza non integrerebbe alcuna violazione da parte dell’istituto di credito, e che in ogni caso la Suprema Corte, in ben due distinte pronunce (una del 2013 e una del 2015) ha sancito il principio per cui “il superamento del limite di finanziabilità stabilito dalla Banca d’Italia non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario”.
Il Tribunale nell’accogliere le allegazioni difensive dell’opposta ha specificato che la mancata indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore dell’immobile ipotecato non può costituire, di per sé sola, causa di nullità del contratto medesimo, non essendoci nessuna norma che prevede espressamente la nullità del contratto di mutuo fondiario per violazione dell’art. 38 T.U.B. in mancanza dell’indicazione del valore.
A voler intendere diversamente, osserva il Giudice, si perverrebbe alla conclusione di ritenere istituita una presunzione legale di superamento in tutte le ipotesi di silenzio nel contratto di finanziamento circa il valore dei beni ipotecati.
Né può ritenersi che tale indicazione costituisca un elemento essenziale del contratto, ben potendo la Banca fornire la prova, in caso di contestazione, del mancato superamento del limite.
La mancata indicazione del valore dell’immobile non costituisce pertanto necessariamente prova della violazione del limite di finanziamento stabilito ex lege, ma mera omissione da ritenersi priva di effetto laddove ad una valutazione successiva il valore del finanziamento risultasse superiore all’80% del valore dell’immobile ipotecato.
Ne consegue, conclude il Giudicante, che nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, in contratto siano chiaramente indicati sia l’entità del finanziamento sia l’immobile posto a garanzia dello stesso, una mera stima di quest’ultimo consente agevolmente di verificare la regolarità del contratto.
Nel caso di specie l’opponente, gravato dell’onere di allegare i fatti costitutivi del preteso superamento, si era limitato a denunciare la mancata indicazione del valore quale causa di nullità senza null’altro dire, pertanto, in assenza della prova dell’intervenuto superamento del limite di finanziabilità stabilito dall’art. 38 T.U.B. come integrato dalla delibera C.I.C.R. del 22.04.1995, il Tribunale ha rigettato l’opposizione condannando il mutuatario al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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