ISSN 2385-1376
Testo massima
“Il principio di correttezza e buona fede deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile.”
Con sentenza del 14/10/2013, n.23232, la Corte di Cassazione Civile, confermando il provvedimento emanato dal Giudice della seconda istanza di Salerno, condannava la banca al risarcimento del danno relativo alla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di mutuo, connessa alla mancata concessione del frazionamento dello stesso.
In sintesi, nel caso di specie, un’impresa edile conveniva in giudizio la sua banca, chiedendo la condanna della stessa al risarcimento del danno causato dal considerevole ritardo ( oltre tre anni) nella concessione del frazionamento dei mutui, con le relative ipoteche, richiesto dalla srl a seguito della vendita a terzi delle singole unità immobiliari edificate.
Se il Tribunale in primo grado aveva rigettato la domanda attorea, motivando tale decisione alla stregua che le pattuizioni tra le parti prevedevano il frazionamento solo come mera eventualità, la Corte d’Appello prima e la Cassazione poi, decidevano, invece, in riforma della predetta sentenza di primo grado, condannando la banca a risarcire l’impresa in questione.
La Corte di legittimità ha fondato la sua decisione sul presupposto che, seppure applicabile al caso in esame la normativa in vigore precedentemente al T.U. n. 385 del 1993, la quale individuava il frazionamento del mutuo come non già un obbligo, bensì una facoltà da parte dell’istituto di credito, ciò nondimeno il comportamento del soggetto mutuante, nel procrastinare il rifiuto di aderire ad una prassi consolidata, come quella del frazionamento del mutuo appunto, costituiva una palese violazione dei doveri di solidarietà, consequenziali al rispetto dei principi di correttezza e buona fede oggettiva, da porsi alla base dell’esecuzione di qualsiasi contratto.
Il principio di correttezza e buona fede deve essere inteso, infatti, in senso oggettivo, sottendendo una solidarietà reciproca imposta a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio. Il dovere è quello di agire in maniera tale da preservare gli interessi dell’altra parte, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o da quanto stabilito in singole norme di legge, sicchè la violazione di tali regole comportamentali presuppone anche di per sé un danno risarcibile.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24499-2006 proposto da:
S. S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)) incorporante il Banco di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI SAVORELLI 11, presso l’avvocato RISPOLI GIOVANNA, rappresentato e difeso dall’avvocato SORRENTINO UGO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.V., (omissis) S.R.L.;
– intimati –
sul ricorso 29401-2006 proposto da:
P.V. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di titolare dell’omonima impresa edile, POLITO COSTRUZIONI S.R.L. (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TREBBIA 3, presso l’avvocato CASSESE ANTONIETTA, rappresentati e difesi dall’avvocato FERRARA FELICE, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
S. S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI SAVORELLI 11, presso l’avvocato RISPOLI GIOVANNA, rappresentato e difeso dall’avvocato SORRENTINO UGO, giusta procura in calce al ricorso principale;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 456/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 26/03/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2013 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato SORRENTINO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
Svolgimento del processo
P.V., quale titolare della omonima impresa edile corrente in (OMISSIS) e quale rappresentante legale della Polito Costruzioni s.r.l., convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania il Banco di Napoli s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dal notevole ritardo (oltre tre anni) nel concedere il frazionamento dei mutui, con le relative ipoteche, a suo tempo conclusi dalla Polito Costruzioni s.r.l., da questa richiesto a seguito delle vendite a terzi delle singole unità immobiliari edificate.
Deduceva che tale condotta, che aveva fra l’altro provocato un ritardo nella percezione dei corrispettivi delle vendite, era del tutto priva di giustificazione, specie considerando i reiterati solleciti, inviati all’Ufficio Frazionamenti della Direzione Generale non solo da parte della mutuataria -la quale peraltro non aveva subito protesti nè procedure esecutive- ma anche da parte dell’Ufficio Crediti Speciali dell’Istituto stesso, a procedere al frazionamento secondo una prassi consolidata. Il Banco di Napoli, costituendosi, contestò la domanda della quale chiese il rigetto.
Il Tribunale rigettò la domanda, rilevando, da un lato, che le pattuizioni tra le parti prevedevano il frazionamento come mera facoltà dell’Istituto, dall’altro che la parte mutuataria non aveva provveduto a sanare le morosità pregresse, cui l’Istituto aveva alla fine condizionato l’adesione alla richiesta, giustificando in tal modo, alla stregua del disposto dell’art. 1460 c.c., la condotta dell’Istituto.
L’appello proposto dal P. è stato accolto dalla Corte d’appello di Salerno, che ha condannato la S. s.p.a. (succeduta per incorporazione al Banco di Napoli) al pagamento in favore della P.C. s.r.l. (non anche della impresa individuale di P.V., ritenuta del tutto estranea al perfezionamento della pratica di frazionamento), a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 151.177,5 oltre rivalutazione monetaria dal 1.1.1995 ed interessi legali sulle somme annualmente rivalutate nonchè spese del doppio grado. La Corte di merito, premesso che – nel vigore della normativa precedente al T.U. n. 385 del 1993, normativa applicabile nella specie perchè vigente all’epoca momento della conclusione dei contratti tra le parti – il frazionamento del mutuo costituiva non già un obbligo bensì una facoltà unilateralmente esercitabile dalla banca mutuante, ha ritenuto che il comportamento dell’Istituto mutuante – con il rifiuto ingiustificato di aderire ad una prassi consolidata ed il procrastinarsi immotivato di tale rifiuto per oltre tre anni, nonostante i ripetuti solleciti provenienti anche dall’Ufficio Crediti Speciali dell’Istituto stesso evidenzianti anche la bontà del cliente – costituisca violazione dei doveri di solidarietà derivanti dal rispetto dei principi di correttezza e buona fede oggettiva che debbono permeare l’intera esecuzione del contratto.
Quanto poi alla condizione, posta dall’Istituto dopo oltre tre anni, concernente la sanatoria della morosità, la Corte di merito ha accertato come, all’epoca della richiesta di frazionamento, la mutuataria fosse in regola con il pagamento delle rate ed abbia mantenuto tale posizione per tutto l’anno in corso, sì che la circostanza che, dopo oltre tre anni, fosse in crisi di liquidità, non va qualificata come inadempimento (tale da legittimare la relativa eccezione da parte dell’Istituto) bensì come conseguenza del colposo comportamento omissivo da parte dell’Istituto stesso, a causa della patologia derivatane nei conti della mututaria dalla sospensione dei pagamenti dei corrispettivi delle vendite delle unità immobiliari.
Avverso tale sentenza la S. s.p.a. ha proposto ricorso a questa Corte, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso e ricorso incidentale per due motivi il P., che ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, avendo ad oggetto la stessa sentenza, debbono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
2. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia la violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3) e il vizio di motivazione, assumendo che la Corte di merito, pur riconoscendo che il frazionamento del mutuo costituiva non già un obbligo bensì una facoltà unilateralmente esercitabile dalla banca mutuante, ha poi violato tale normativa, accogliendo la domanda risarcitoria del mutuatario. Osserva tuttavia il Collegio che la prospettazione della doglianza (al pari della formulazione del relativo quesito di diritto) si mostra del tutto generica ed incongrua, atteso che non viene presa in esame – nè invero congruamente riportata – la ratio decidendi della statuizione impugnata, si che la deduzione della violazione di legge si palesa priva del suo presupposto necessario.
3. Con il secondo motivo del ricorso principale si censurano, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (art. 1375 c.c.) e sotto quello del vizio di motivazione, le argomentazioni esposte nella sentenza impugnata circa la violazione di obblighi derivanti dai principi di correttezza e buona fede, assumendo che tali principi, secondo alcune pronunce di questa Corte, non avrebbero carattere immediatamente precettivo, costituendo invece meri criteri deputati ad orientare l’interpretazione del contratto; e che, in ogni caso, il dovere di solidarietà evidenziato da altre sentenze più recenti, imporrebbe a ciascuna delle parti di tenere un comportamento idoneo a preservare gli interessi dell’altra nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio, laddove il frazionamento – con la rinuncia del creditore ipotecario all’indivisibilità dell’ipoteca – comporterebbe un sacrificio certamente apprezzabile a carico dell’Istituto.
Anche questa doglianza non può trovare accoglimento. Il riferimento, nel ricorso, a risalenti pronunce di questa Corte si palesa del tutto inidoneo, atteso che l’orientamento consolidato cui ormai da alcuni anni la Corte è pervenuta è nel senso che il principio di correttezza e buona fede (il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”) deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sè, un danno risarcibile (cfr. tra molte: S.U. n. 28056/08; Sez. 1, n.1618/09; Sez. 3 n. 22819/10).
Nè, d’altra parte, all’osservanza di tale dovere di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede la banca potrebbe sottrarsi adducendo il solo fatto che la concessione del richiesto frazionamento del mutuo comporti la rinuncia alla indivisibilità dell’ipoteca, quando – come nella specie – non alleghi ulteriori eventuali circostanze che, nella concreta situazione di fatto del rapporto contrattuale in esame, possano giustificare, alla luce dei criteri sopra enunciati, il rifiuto di tale concessione.
4. Parimenti infondato è infine il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia la falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. per il cumulo, disposto dalla sentenza impugnata, di rivalutazione ed interessi legali. Trattandosi nella specie di obbligazione risarcitoria, ancorchè per violazione di obbligo contrattuale, il debito accertato è di valore e non di valuta, e pertanto si esula dall’ambito di applicazione dell’art. 1224 c.c.. In relazione ai debiti di valore, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (cfr. tra molte: 20742/04; n.19510/05; n.9515/07;
n.4587/09; n.18028/10) cui il Collegio aderisce, non soltanto la rivalutazione monetaria della somma calcolata come corrispondente al valore perduto dal patrimonio del danneggiato all’epoca del fatto, ma anche gli interessi legali (diretti a compensare il danneggiato del ritardo nella percezione del risarcimento) costituiscono componenti del danno da liquidare, partecipanti della stessa natura di modalità della tecnica di liquidazione (esulando quindi dalla categoria degli interessi moratori); tecnica che può, per l’appunto, legittimamente condurre – tra le varie ipotesi di liquidazione – a riconoscere interessi nella misura legale, purchè non calcolati sulle somme integralmente rivalutate bensì su somme progressivamente rivalutate.
E a tale orientamento la sentenza impugnata si è conformata, liquidando gli interessi legali sulla somma rivalutata annualmente.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale si censura, sotto il profilo del vizio di motivazione, il rigetto della domanda risarcitoria proposta dal P. quale titolare della impresa individuale. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di appello, consistente nella domanda di emissione di ordine di pubblicazione della sentenza sul giornale quotidiano Il Mattino di Napoli. L’illustrazione di entrambi i motivi, tuttavia, è priva rispettivamente- della sintesi del fatto controverso e del quesito di diritto richiesti, a pena di inammsibilità, dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis (la sentenza è stata depositata il 26 maggio 2006).
L’inammissibilità del ricorso incidentale ne deriva dunque di necessità.
5. Le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, debbono esser poste a carico del S. s.p.a. , che ha dato causa all’instaurazione del giudizio di impugnazione, il cui esito la vede soccombente.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna S. s.p.a.
al rimborso, in favore delle controparti, delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000,00 per onorario e Euro 200,00 per rimborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2013
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Numero Protocolo Interno : 37/2013