ISSN 2385-1376
Testo massima
Il contratto di mutuo è disciplinato dall’art.1813 del codice civile, il quale prevede che il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.
Qualora l’attore fondi la sua domanda di restituzione di somme su un contratto di mutuo, la contestazione, da parte del mutuatario circa la causale del versamento, non si tramuta in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova.
Infatti, negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia o la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a fondamento della domanda, benché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per quale tale somma sarebbe stata versata.
Pertanto, anche in tale ultima ipotesi, resta fermo l’onere probatorio a carico dell’attore, con le relative conseguenze nel caso di mancata dimostrazione dei fatti costitutivi del contratto di mutuo.
Cosi si è pronunziata la terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n.6295 pronunciata in data 13.03.2013, ha confermato un principio ormai cristallizzato in giurisprudenza secondo il quale, in caso di contestazione su un contratto di mutuo, l’onere della prova grava sul mutuante, il quale sarà tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non soltanto l’avvenuta consegna della somma ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione.
Nel caso di specie, era accaduto che un soggetto aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Velletri il precedente convivente, per sentirlo condannare alla restituzione di una somma di denaro che assumeva di avergli corrisposto a titolo di mutuo ed in subordine, chiedeva – previo accertamento dell’indebito arricchimento – la condanna al pagamento della stessa somma di L. 62.000.000 a titolo di indennizzo ex art.2041 cc.
Il convenuto si opponeva all’accoglimento della domanda, riconoscendo la consegna della somma ma per un diverso titolo rappresentato da svariate esigenze familiari, attesa la convivenza tra le parti all’epoca dei atti di causa.
Il Tribunale di Velletri ha rigettato la domanda, dichiarando improponibile quella subordinata e condannava l’attrice al pagamento delle spese processuali.
La Corte di Appello di Roma, poi a seguito di impugnazione avanzata dall’attore soccombente, confermava la decisione del Tribunale di Velletri.
Di qui il ricorso per cassazione ove sono stati enunciati i principi di diritto sopra indicati con i quali la Suprema Corte, interpellata in materia di contestazione su contratto di mutuo, ha stabilito che la contestazione, da parte del mutuatario circa la causale del versamento, non determina un’inversione dell’onere della prova, corroborando il principio secondo il quale “negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia o la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a fondamento della domanda, benché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata. Pertanto, anche in tale ultima ipotesi, resta fermo l’onere probatorio a carico dell’attore, con le relative conseguenze nel caso di mancata dimostrazione dei fatti costitutivi del contratto di mutuo.”
Alla luce di quanto esposto una domanda di restituzione di una somma assertivamente concessa a mutuo dovrà pertanto richiedere l’assolvimento dell’onere della prova per i seguenti aspetti:
1) prova della consegna della somma;
2) prova natura e del titolo contrattuale da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 1441/2010 proposto da:
CAIA
RICORRENTE
contro
TIZIO
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 5177/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/12/2008, R.G. 4040/2008;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 3 giugno 1999 CAIAconveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Velletri TIZIO, per sentirlo condannare alla restituzione della somma di L. 62.000000, che assumeva di avergli corrisposto a titolo di mutuo; in subordine, chiedeva – previo accertamento dell’indebito arricchimento del TIZIO
– la condanna del medesimo al pagamento della stessa somma di L. 62.000.000 a titolo di indennizzo ex art.2041 cc.
Costituitosi in giudizio, il convenuto chiedeva il rigetto della domanda, assumendo che le somme versategli dalla CAIA costituivano il rimborso o l’anticipazione di importi sborsati per svariate esigenze famigliare da esso TIZIO, all’epoca convivente con la CAIA.
La causa, istruita con prova documentale e con l’interrogatorio formale del TIZIO, era decisa con sentenza 19 agosto 2003, con la quale il Tribunale di Velletri rigettava la domanda principale, dichiarava improponibile quella subordinata e condannava l’attrice al pagamento delle spese processuali.
La decisione, gravata da impugnazione della CAIA, e confermata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 11 dicembre 2008 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione CAIA, svolgendo due motivi.
Ha resistito TIZIO depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto, in forza del combinato disposto di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n.40, art.27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n.69, art.58, alla disciplina di cui all’art.360 cpc e segg., come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n.40 del 2006.
1.1. Con il PRIMO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.2697 cc (art.360 cpc n.3). Con il quesito conclusivo ex art.366 bis cpc, si chiede a questa Corte “se la Corte di appello abbia correttamente applicato l’art.2697 cc, allorché ha ritenuto che l’eccezione del convenuto, il quale ha dedotto un titolo diverso della dazione di danaro non configuri una confessione o, comunque, determini l’inversione dell’onere probatorio, allorché il titolo dedotto implichi un obbligo restitutorio“.
1.2. Il motivo, al limite dell’inammissibilità per l’inadeguatezza del quesito, è, comunque, manifestamente infondato.
Si rammenta che la datio di una somma di danaro non vale, di per sé, a fondare la richiesta di restituzione, allorquando, ammessane la ricezione, l’accipiens non confermi il titolo posto ex adverso alla base della pretesa di restituzione ed, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell’accipiens, della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, ad opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l’onere della prova.
Ne consegue che l’attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l’avvenuta consegna della somma ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione (Cass. 22 aprile 2010, n. 9541).
In particolare questa S.C. ha precisato che, qualora l’attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la contestazione, da parte del preteso mutuatario, circa la causale del versamento, non si tramuta in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova, giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia o la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata; anche in tale caso, quindi, rimane fermo l’onere probatorio a carico dell’attore, con le relative conseguenze nel caso di mancata dimostrazione dei fatti costitutivi del contratto mutuo (Cass. 9 agosto 1996, n. 7343).
1.3. Questi i principi di diritto applicabili alla fattispecie e correttamente richiamati nella decisione impugnata: si osserva che il quesito di diritto e, prima ancora, il motivo di ricorso poggiano su una premessa assertiva, e cioè, che l’odierno resistente abbia “confessato” l’esistenza di un titolo che comportasse la restituzione della somma pretesa in citazione, che non trova riscontro nella decisione impugnata ed è, anzi, espressamente smentita dalla Corte di appello, laddove ha precisato che “il TIZIO in sede di interrogatorio formale, lungi dal confessare di avere avuto in prestito le somme di cui l’odierna appellante pretende la restituzione, ha riconosciuto soltanto di averle ricevute, durante il periodo di convivenza con la CAIA, in rimborso o in vista delle spese straordinarie, da lui solitamente anticipate per esigenze familiari, come acquisto di mobili, vacanze estive ed invernali, prima comunione della figlia della CAIA “.
Ciò posto e precisato che l’apprezzamento dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio è soggetto al libero apprezzamento del giudice del merito, si osserva che – escluso, nella specie, il carattere confessorio delle riferite dichiarazioni, se non altro perché non vi è stata conferma da parte dell’interrogando del titolo (mutuo) posto a fondamento della pretesa restitutoria – la doppia decisione conforme ha fatto corretta applicazione del principio actore non probante reus absolvitur, giacché l’indicazione delle (diverse) circostanze allegate in sede di interrogatorio non esimevano l’attrice dall’onere di fornire la prova dei propri assunti nei termini innanzi precisati, segnatamente in ordine alla causale della consegna della somma di danaro di cui trattasi.
E’ appena il caso di aggiungere che – quand’anche volessero ricondursi le affermazioni del TIZIO al riconoscimento di un contratto di mandato, così come dedotto nel motivo di ricorso – non per questo ne deriverebbe l’accoglimento della pretesa restitutoria; e ciò per l’assorbente considerazione che l’attrice non ha esercitato l’actio mandati, né tantomeno ha chiesto il rendiconto delle somme consegnate al (presunto) mandatario per il compimento di atti giuridici, ma ha, piuttosto, pretesto la restituzione di somme date a mutuo.
Invero non può essere consentito al giudice, in violazione dell’art.112 cpc, di sostituirsi alla parte attrice nella scelta che avrebbe potuto operare ed accogliere la domanda in base ad un titolo diverso da quello fatto valere in giudizio.
2. Con il SECONDO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.2042 cc (art.360 cpc, n.3) e difetto di motivazione (art.360 cpc, n.5), deducendosi la proponibilità e fondatezza della subordinata domanda di arricchimento.
Con il quesito conclusivo ex art.366 bis cpc, si chiede a questa Corte “se la Corte di appello abbia correttamente applicato l’art. 2042 cc, e abbia correttamente motivato, allorché ha ritenuto l’azione di arricchimento improponibile sotto il profilo della sussidiarietà, nonché infondata ai sensi dell’art. 2041 cc“.
2.1. Il motivo è, al pari del precedente, manifestamente infondato.
Si rammenta che ai sensi dell’art.2041 cc, i presupposti per la proposizione dell’azione generale di arricchimento senza causa vanno ravvisati:
a) nell’arricchimento senza causa di un soggetto;
b) nell’ingiustificato depauperamento di un altro;
c) nel rapporto di causalità diretta ed immediata tra le due situazioni, di modo che lo spostamento risulti determinato da un unico fatto costitutivo;
d) nella sussidiarietà dell’azione (art.2042 cc), nel senso che essa può avere ingresso solo allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (cfr. Sez. Unite, 25 novembre 2008, n. 28042).
Ne consegue che non può dirsi che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, almeno fino a quando il contratto o l’altro rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria (cfr. Sez. Unite, 03 ottobre 2002, n. 14215).
Da tale premessa di principio deriva, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che l’azione di arricchimento senza giusta causa può essere proposta in via subordinata rispetto all’azione contrattuale proposta in via principale soltanto qualora l’azione tipica dia esito negativo per carenza ab origine dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento (Cass. 10 agosto 2007, n. 17647), ma non anche nel caso in cui sia stata proposta domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prove sufficienti all’accoglimento, oppure quando la domanda ordinaria, dopo essere stata proposta, non sia stata più coltivata dall’interessato (Cass. 2 aprile 2009, n. 8020).
Nel caso in esame la ricorrente ha proposto una domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prova sufficiente all’accoglimento e, pertanto, non poteva trovare ingresso la domanda subordinata di arricchimento.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n.140 del 2012, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.700,00 (di cui Euro 2.500,00 per compensi) oltre accessori come per legge.
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Numero Protocolo Interno : 173/2013