Le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come “predisposte” dal contraente medesimo ai sensi dell’art. 1341 cod. civ. e, pertanto, pur se vessatorie, non necessitano di specifica approvazione.
Nell’ambito del ricorso per Cassazione, la previsione di cui all’art. 366 n. 6 cpc, impone al ricorrente di indicare specificamente l’atto processuale o il documento su cui il ricorso medesimo si fonda; ciò significa, anzitutto, dire qual è il suo contenuto, senza di che il motivo non può che rimanere confinato nell’oscurità; in secondo luogo è necessario specificare in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dicendo dove, nel processo, è rintracciabile. Dire dove l’atto acquisito al processo è rintracciabile, si traduce nella localizzazione dell’atto o del documento, ossia nella indicazione del fascicolo (di parte o di ufficio) in cui essi, atti o documenti, sono collocati.
Questi sono i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sez. II, Pres. Manna – Rel. Giusti, con l’ordinanza n. 18275 del 25 giugno 2021.
È accaduto che una cliente ricorreva in giudizio in danno della propria Banca, sul presupposto che nel contratto di mutuo precedentemente stipulato tra le parti, alla controparte era stato riconosciuto il potere di modificare unilateralmente il tasso applicabile, senza però osservare il requisito della doppia sottoscrizione.
Avverso la decisione della Corte di Appello la quale, conformandosi a quanto previsto dal giudice di prime cure, rigettava le doglianze avanzate dalla cliente, la stessa ricorreva in Cassazione, lamentando tra l’altro, l’omessa applicazione della disciplina del consumatore che imponeva l’obbligo della doppia sottoscrizione del contratto di mutuo al cui interno era stata inserita una clausola vessatoria attributiva dello ius variandi, pur se inserito all’interno di un atto pubblico notarile.
La Corte di Cassazione, intervenuta a dirimere la controversia, ha avuto modo di chiarire che le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come “predisposte” dal contraente medesimo ai sensi dell’art. 1341 cod. civ. e, pertanto, pur se vessatorie, non necessitano di specifica approvazione.
La Corte ha rigettato il suindicato motivo di ricorso rilevando altresì una violazione dell’art. 366, numero 6), cod. proc. civ., non avendo parte ricorrente provveduto ad indicare il contratto di mutuo al cui interno era collocata l’asserita clausola vessatoria.
Alla luce di ciò gli Ermellini hanno rigettato il ricorso e condannato la parte soccombente al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
CLAUSOLE VESSATORIE: VALIDE SE BEN INDIVIDUATE ALL’INTERNO DEL CONTRATTO BANCARIO
È IRRILEVANTE LA LORO COLLOCAZIONE NEL MODULO
Sentenza | Tribunale di Ancona – Giudice dott.ssa Roberta Mariotti | 16.10.2018 | n.1623
CLAUSOLE VESSATORIE: L’APPROVAZIONE “IN BLOCCO” DI TUTTE LE CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO È NULLA
LA SOTTOSCRIZIONE INDISCRIMINATA NON È UNA MODALITÀ CHE GARANTISCE L’ATTENZIONE DEL CONTRAENTE DEBOLE
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, Giudice Gianluigi Morlini | 24.04.2018 | n.623
CLAUSOLE VESSATORIE: IMPOSSIBILITÀ DI APPLICAZIONE ANALOGICA MA SOLO ESTENSIVA
NON RIENTRANO NELLA TASSATIVA ELENCAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 1341 COMMA 2 C.C. LA CLAUSOLA CHE ESCLUDE LA FACOLTÀ DI UN LIBERO RECESSO DEL CONTRAENTE E LA CLAUSOLA PENALE
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, dott. Gianluigi Morlini | 19.12.2013 | n.1983
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