Nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Reggio Calabria, Giudice Giuseppe Campagna con la sentenza n. 884 del 16.04.2019.
In particolare, la vicenda ha riguardato un mutuatario che ha convenuto in giudizio un istituto di credito al fine di ottenere, previo accertamento dell’invalidità, nullità ed inefficacia delle condizioni contrattuali contenute nel contratto di mutuo, la rideterminazione della somma di cui egli risultava ancora debitore, con vittoria di spese e competenze di lite.
La Banca, nel costituirsi in giudizio,e dopo aver eccepito la nullità dell’atto di citazione per la sua estrema genericità nonché l’intervenuta prescrizione del diritto del mutuatario di richiedere la ripetizione delle somme corrisposte a titolo di interessi per il periodo intercorrente tra la data di stipula del contratto sino al 26 maggio 2011, ha dedotto l’assoluta infondatezza e pretestuosità delle contestazioni sollevate dall’attore, specificando che alla luce dei pronunciamenti dei giudici di legittimità la valutazione del tasso di interesse come usurario dovesse effettuarsi nel momento in cui gli interessi fossero stati promessi o convenuti, e che non fosse possibile sommare gli interessi corrispettivi a quelli moratori ai fini dell’accertamento del superamento del tasso soglia.
Ha concluso, quindi, per il rigetto della domanda, con il favore delle spese e competenze di causa.
Il Giudice ha ritenuto infondate le doglianze attoree, osservando che, ai fini dell’applicazione dell’art.1815 c.c. e dell’art.644 c.p., si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, con la sentenza n.24675/2017, ha statuito che “nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
Inoltre, il Giudicante ha evidenziato che, al fine del riscontro di eventuale usurarietà dei tassi preveduti in un contratto di mutuo, debbono essere computati anche gli interessi moratori convenzionalmente stabiliti; tuttavia, i tassi pattuiti, con funzioni distinte ed autonome, a titolo di naturale remuneratività del denaro ed a titolo di mora, non devono essere considerati unitariamente.
Una diversa interpretazione del principio espresso dalla Cassazione, che propenda per la necessità del cumulo tra interessi corrispettivi ed interessi moratori, non sarebbe condivisibile, e ciò in relazione alla diversità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi, che non ne consente il mero cumulo.
Difatti, il tasso di mora ha una autonoma funzione – quale penalità per il fatto, imputabile al mutuatario e solo eventuale, del ritardato pagamento – e quindi la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi.
In buona sostanza, il tasso di mora nominale è oggetto di autonoma verifica rispetto al tasso soglia e ciò in ragione della sua autonoma e distinta funzione quale penalità per il ritardato adempimento, fatto imputabile al mutuatario e solo eventuale, la cui incidenza va rapportata al protrarsi e all’entità dell’inadempienza.
Ne consegue che, ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca del stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla, ex art.1815 comma 2 c.c. (e quindi non applicabile), con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potranno essere applicati interessi di mora, ma saranno unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il Tribunale ha rigettato le domande attoree con condanna al pagamento delle spese processuali.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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