ISSN 2385-1376
Testo massima
Il notaio incaricato di redigere l’atto pubblico di trasferimento immobiliare, il quale abbia compitato la dichiarazione a fini INVIM, sottoscritta dal venditore, riportando quanto da questi dichiarato rispetto ai valori finali e iniziali, e abbia provveduto alla relativa registrazione senza avvertire la parte delle conseguenze derivanti da dichiarazioni non veritiere, almeno quando è ragionevolmente probabile che quelle fornite dalla parte non lo siano, pone in essere un comportamento non conforme alla diligenza qualificata richiesta dalla particolare qualificazione tecnico/giuridica della prestazione professionale – oggetto dell’incarico conferito dal cliente e quindi ricompresa nel rapporto di prestazione di opera professionale (artt. 1176 e 2230 c.c. e segg.) e nel contempo intrecciata alle peculiari funzioni notarili pubblicistiche.
Tra i mezzi e i comportamenti rientranti nella prestazione professionale cui il notaio si è obbligato vi è quello di fornire consulenza tecnica alla parte, finalizzata non solo al raggiungimento dello scopo privatistico e pubblicistico tipico al quale l’atto rogando è preordinato, ma anche a conseguire gli effetti vantaggiosi eventualmente previsti dalla normativa fiscale e a rispettare gli obblighi imposti da tale normativa; con la conseguenza di rispondere dei danni originati da tale comportamento anche nella sola ipotesi di colpa lieve.
Questi sono i principi espressi dalla Cassazione civile, sezione terza, con la sentenza n. 26369 del 16 dicembre 2014 in materia di responsabilità professionale del notaio.
Nel caso di specie, una confraternita esponeva che, in riferimento a tre atti di compravendita, venivano predisposte e presentate da un notaio tre dichiarazioni INVIM, sottoscritte dal legale rappresentante della Confraternita nelle quali il notaio aveva attribuito valori finali e iniziali di pari importo.
La Confraternita conveniva in giudizio il notaio e, assunta la responsabilità dello stesso per aver erroneamente compilato le dichiarazioni INVIM, ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno equivalente a quanto da corrispondere in esito all’accertamento dell’INVIM dovuta da parte della Amministrazione finanziaria.
Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il notaio. Proposto appello, i giudici di secondo grado accogliendo l’impugnazione del notaio ribaltavano la sentenza di primo grado condannando la Confraternita alla restituzione di quanto ricevuto in virtù della sentenza di prime cure.
La Confraternita proponeva, quindi, ricorso per cassazione deducendo in buona sostanza la violazione dell’art. 1176, comma 2, c.c. in ordine alla condotta tenuta dal professionista.
Occorre fare brevi cenni alla normativa di riferimento.
In riferimento al pagamento dell’INVIM, secondo la disciplina legislativa (D.P.R. n. 643 del 1972, art. 18), i notai, per tutti gli atti stipulati con il loro ministero, devono richiedere ai cedenti la loro dichiarazione, rilasciata su modello fornito dall’Amministrazione, e devono produrla all’ufficio con l’atto stipulato.
La dichiarazione è rilasciata dal cedente, ma la legge impone al notaio, quando questi sia stato incaricato della stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, di chiedere al proprio cliente la dichiarazione e di produrla all’ufficio insieme all’atto stipulato.
Attraverso questo obbligo legislativo, dunque, la dichiarazione della parte a fini INVIM entra a far parte della complessa attività del notaio nella predisposizione degli atti pubblici di trasferimento immobiliare. Attività che si snoda attraverso una fase preparatoria, un’altra propria di redazione dell’atto e una fase successiva. Attività tutta ricollegabile all’incarico professionale di redigere l’atto pubblico, conferito al notaio dal cliente e, quindi, all’obbligo di adempimento contrattuale dell’attività professionale con la diligenza qualificata, da valutarsi avendo presente la natura dell’attività esercitata.
Il notaio ha chiarito la Corte è un vero e proprio “consulente delle parti, che ad esso devono rivolgersi per la redazione degli atti pubblici. Un consulente “privato e pubblico” sulla cui competenza le parti fanno affidamento, non solo affinchè l’atto redatto raggiunga lo scopo privatistico tipico al quale è preordinato e assicuri la certezza pubblicistica connessa, ma anche per conseguire gli effetti vantaggiosi eventualmente previsti dalla normativa fiscale e per rispettare gli obblighi imposti da tale normativa”.
Alla stregua dei principi sopra esposti e in conformità alla propria consolidata giurisprudenza la Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.
Sul punto si rileva che altro giudicante (Tribunale di Milano, quinta sezione civile, dott. Caterina Apostoliti – 25-09-2013 ) aveva già affermato che l’attività professionale del notaio si estende anche all’attività di consulenza non essendo tenuto alla mera stipula del rogito.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 22/2014