Testo massima
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1456/2005 proposto da:
P.S.
– RICORRENTE –
contro
A.P., Z.I.
– CONTRORICORRENTI –
avverso la sentenza n. 1241/2003 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, Seconda Sezione Civile, emessa il 16/09/2003; depositata il
16/12/2003; R.G.N. 399/01;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con sentenza del 25 settembre
2000 il Tribunale di Bologna adito dai coniugi
Z.- A. rigettava la domanda da essi proposta contro il notaio P.S., intesa ad
ottenere un risarcimento dei danni subiti per effetto di una sua negligenza
professionale nella redazione del rogito del (OMISSIS) circa l’acquisto di un
immobile.
In punto di fatto, con citazione
del 7 ottobre 1998 i suddetti coniugi, quali proprietari di un appartamento
sito in (OMISSIS), evocavano in giudizio il notaio.
Assumevano gli attori che con il rogito del (OMISSIS)
avevano inteso acquistare una zona terrazza – stenditoio, definita da loro
“attico” che, invece, in un contenzioso successivamente instaurato
con il condominio e deciso con sentenza n. 74/98 dal Tribunale di Bologna era
stata dichiarata, in via incidentale, parzialmente di proprietà condominiale.
Nel costituirsi il notaio contestava la pretesa in fatto e in
diritto; confermava la correttezza nella
redazione del rogito, attribuiva agli attori la soccombenza nella causa con il
condominio, neppure proseguita in appello ed eccepiva la prescrizione
dell’azione.
Il Tribunale,
come detto, rigettava la domanda dei coniugi.
2.- Contro questa sentenza i
coniugi Z. interponevano appello, riproponendo la domanda.
Si costituiva il notaio, che
riproponeva le proprie difese.
La
Corte di appello, con sentenza non definitiva del 19 luglio 2002, riformava la
decisione del giudice di primo grado in punto di responsabilità e rigettava la
eccezione di prescrizione e le istanze istruttorie dell’appellato notaio.
Rimessa
la causa sul ruolo per la quantificazione del danno e le istanze istruttorie
dell’appellato, espletata una CTU sul minore valore del bene, la Corte di
appello di Bologna, con sentenza del 16 dicembre 2003, condannava il notaio a
corrispondere ai coniugi, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 39.811,29,
oltre rivalutazione secondo indici ISTAT e interessi legali, rivalutati di anno
in anno con decorrenza dal 7 ottobre 1998 al saldo, oltre alle spese generali
che variamente governava.
Avverso
le due sentenze insorge il notaio con un ricorso affidato a 6^ motivi.
Resistono
con controricorso i coniugi Z.- A..
Il
ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1. – Osserva il Collegio che dei
sei motivi di ricorso vanno
esaminati in ordine logico, il terzo, il primo e il sesto motivo.
1.1. – Infatti, con il TERZO MOTIVO (violazione e mancata
applicazione dei principi di legittimazione processuale e sostanziale, mancata
applicazione dell’art. 75 c.p.c., dell’art. 100 c.p.c.: violazione e mancata
applicazione dell’art. 163 c.p.c., in entrambe le sentenze impugnate, con
riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) il notaio assume che, avendo i coniugi
avviato la loro azione con citazione del 7 ottobre 1998, avrebbero taciuto,
fino all’espletamento della CTU, di non essere, al momento della notifica
dell’atto di citazione di primo grado, più proprietari dell’immobile, oggetto
del rogito.
Avendo essi coniugi venduto
l’immobile nel 1994, quattro anni prima della sentenza emessa dal Tribunale di
Bologna n. 74/98, avrebbero essi agito privi di legittimazione e, comunque, non
avrebbero interesse alla decisione.
Il ricorrente, inoltre, sostiene
che avrebbe conosciuto ciò solo all’atto della CTU disposta in secondo grado e
la Corte di appello nella sentenza definitiva avrebbe del tutto ignorato questa
circostanza da lui puntualmente rilevata.
1.2. – La doglianza è priva di
fondamento, sia sotto il profilo dell’art. 75 c.p.c., che sotto quello
dell’art. 100 c.p.c..
Di vero, va tenuto presente che i
coniugi, attuali resistenti, agiscono per inadempimento da parte del notaio
della sua diligenza professionale e, quindi, gli unici legittimati ad agire,
sia sostanzialmente che processualmente, non possono che essere solo loro, che
avevano richiesto al notaio di procedere al rogito, concludendo con lui un
contratto di opera professionale (Cass. n. 14934/02, par. 5 in motivazione).
E’ noto che la legitimatio ad causam dal lato attivo
consiste nella pretesa di esercitare in giudizio in nome proprio un diritto
proprio, indipendentemente dalla titolarità del diritto azionato, la quale resta
“affidata alla disponibilità delle parti.
Gli originari attori hanno agito
onde ottenere il risarcimento dei danni, consistiti nel minore valore del bene
da loro acquistato, perchè, a loro giudizio, il notaio, non usando la diligenza
che gli incombeva, avrebbe determinato un deprezzamento del bene stesso,
realizzatosi con il minor introito del ricavato al momento della rivendita del
bene (Cass. n. 623/77).
Vi è, dunque, in capo ai coniugi
un interesse ad agire, in quanto essi tendevano ad ottenere una pronuncia onde
conseguire un risultato utile (Cass. n. 13906/02), non altrimenti conseguibile
se non con l’intervento del giudice (Cass. n. 4984/01; n. 13901/03).
2. – Circa il primo motivo la Corte osserva quanto segue.
Il ricorrente si duole che il giudice
dell’appello non sarebbe stato in grado di individuare, in motivazione, in
quale condotta si sarebbe dovuto concretare la diligenza professionale per
porre il notaio rogante al riparo da ogni responsabilità professionale (p. 4
ricorso).
Questo motivo non è meritevole di
accoglimento.
Di vero (e la censura è
indubbiamente rivolta alla sentenza non definitiva, nella parte in cui riporta
in sintesi la decisione del giudice di prime cure, per poi mostrare di
condividerla (p. 14 – 16), nella sentenza si legge che dal rogito e dagli
allegati non emergeva l’acquisto della proprietà “stenditoio”, perchè
venne citato solo “il terrazzo” che nominalmente è parte distinta
dalla porzione a stenditoio; il regolamento condominale non era chiaro; la
deposizione testimoniale parla di una parte del terrazzo separata da un
cancello, ma non deponeva in modo sicuro per l’uso esclusivo a favore dei
coniugi Z.; l’errore del condominio nelle tabelle millesimali non può integrare
valido titolo di proprietà.
In sostanza, il giudice dell’appello ha addebitato al
notaio di non aver diligentemente, come era suo obbligo, proceduto a tutti
quegli accertamenti preparatori e prodromici per far conseguire alle parti, che
lo avevano investito, di conseguire il loro risultato, di cui il notaio stesso
non poteva non essere a conoscenza.
Tale statuizione è immune da ogni
censura di ordine logico e di ordine giuridico.
Infatti, da una parte il giudice
dell’appello si è fatto carico di esaminare tutto il materiale processuale e,
in piena aderenza ad esso, ne ha tratto il convincimento della responsabilità
del notaio;
dall’altro non ha fatto altro che
applicare i principi sussistenti in materia di responsabilità contrattuale,
qual è quella in esame, del notaio nello svolgimento della sua attività
professionale.(p. 16 sentenza non definitiva).
3. – Con il SESTO
MOTIVO, articolato in due profili, ci si duole della erronea e
contraddittoria individuazione della fattispecie come integrante una
responsabilità contrattuale e non già extracontrattuale; carenza e
contraddittorietà di motivazione sul punto; mancata applicazione della
prescrizione in entrambe le sentenze impugnate ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
3.1. Il primo profilo va respinto per le considerazioni esposte in precedenza,
non potendosi accedere alla tesi del ricorrente.
Infatti, non si rinviene alcun
elemento per ritenere di natura extracontrattuale la responsabilità del notaio,
considerato che egli redasse un rogito, che si rilevò non rispecchiare appieno
la volontà delle parti contraenti e specificamente dei coniugi Z., che a lui si
rivolsero, incaricandolo di redigere l’atto, ovviamente previo esame della
situazione documentale (titolo di provenienza, visure catastali, regolamento di
condominio).
Del secondo profilo di questo motivo, resta assorbito
quello relativo alla prescrizione per responsabilità extracontrattuale, mentre
della parti in cui ci si duole della non ritenuta prescrizione sotto il profilo
della responsabilità contrattuale si tratterà di seguito.
3.2. – Le considerazioni svolte finora in ordine al SESTO MOTIVO inducono a ritenere
assorbito il QUARTO MOTIVO, con il
quale, ci si duole della sentenze impugnate nella parte in cui hanno deciso
sull’ari, nonchè sul quantum debeatur (p. 14 – 15 ricorso).
4. – Passando all’esame del
secondo motivo la Corte osserva
quanto segue.
Con
esso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., mancato
riconoscimento dell’intervenuta prescrizione; omessa, contraddittoria o
comunque insufficiente motivazione sul punto nel comb. disp. della sentenza non
definiva e di quella definitiva ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Questa censura va letta in collegamento con l’altra
contenuta nel sesto motivo circa, nella parte riguardante la non ritenuta
prescrizione dell’azione (contrattuale) intentata dai coniugi Z..
La doglianza, per le
considerazioni che seguono, non merita di essere accolto.
Di
vero, è giurisprudenza di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi,
secondo la quale il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del
danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non già dal momento in
cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello
in cui la produzione del danno è oggettivamente percepibile e conoscibile da parte
del danneggiato (Cass. n. 16658/07; n. 10493/06).
Nella
specie, il giudice dell’appello ha correttamente applicato questo principio e
con incontestabile apprezzamento di fatto, perchè sorretto da logica e congrua
motivazione (v. p. 19 sentenza non definitiva) ha statuito che i coniugi Z.
avevano avuto contezza e percezione del danno subito, a cagione della
negligenza professionale del notaio, solo dal momento dell’accertamento
giudiziale (operato, sia pure, incidenter
tantum) dal Tribunale di Bologna con la sentenza n. 74/98.
Con
quella decisione il danno, subito per la inesatta indicazione della consistenza
dell’immobile da essi acquistato nel (OMISSIS) per rogito del P., ebbe a
manifestarsi all’esterno nella sua oggettività, divenendo, per l’effetto,
percepibile, conoscibile ed azionabile sul piano della domanda risarcitoria,
(come tiene a rilevarne i caratteri per la sua risarcibilità quale intesa
dall’art. 2935 c.c., la sentenza n. 10493/06, in motivazione, con richiami a
Cass. n. 9927/00; n. 8845/95; n. 3691/93).
In
sintesi, da quel momento il diritto al risarcimento poteva essere fatto valere,
come, in effetti, avvenne.
Il QUINTO MOTIVO censura le decisioni (non definitiva e definitiva)
del giudice dell’appello, in quanto non sarebbe stato valutato il comportamento
dei compratori (i coniugi Z. n.d.r.) “anche al fine di valutare un
concorso di colpa nella causazione o nell’aggravamento del preteso danno”
e, nello steso tempo avrebbe quel giudice “individuato e quantificato un danno
inesistente e in ogni caso non adeguatamente accertato” (p. 15 ricorso).
Questa doglianza è inammissibile,
in quanto non sembra proposta nella fase del merito.
Conclusivamente
il ricorso va respinto, ma si rinvengono giusti motivi, attesa la peculiarità
della vicenda, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetto il ricorso e compensa
integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio, il 5 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 15
luglio 2009
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