Il principio, sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario.
E’ inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte.
Questi i principi espressi dalla Cassazione Civile, sez. unite, Pres. Macioce – Rel. Cirillo, con la sentenza del 18.04.2016.
Nella fattispecie considerata, un contribuente e delle associazioni di consumatori, impugnavano dinanzi al giudice amministrativo territorialmente competente, gli atti di suddivisione del territorio del Comune di Lecce in microzone catastali ai sensi del D.P.R. n. 138 del 1998, art. 2, nonché l’atto con il quale la Giunta Comunale di Lecce aveva attivato la procedura L. n. 311 del 2004, ex art. 1 e la conclusione della stessa, deducendo, in particolare, l’illegittimità costituzionale della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.; la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 138 del 1998, art. 2, per eccesso di potere per sviamento, violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione; la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 e dell’art. 10 dello Statuto del contribuente dovuta alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revisione catastale; l’incompetenza della giunta comunale a formulare la richiesta di revisione del classamento.
Il TAR adito accoglieva il ricorso, osservando, in punto di giurisdizione, sulla base del combinato disposto delle norme processuali tributarie, che gli atti regolamentari e gli atti amministrativi generali in materia fiscale possono essere disapplicati dalla C.t.p. e dalla C.t.r., ma non sono impugnabili davanti alle stesse, atteso che la giurisdizione tributaria è delimitata dall’impugnazione degli atti tipici previsti dall’art. 19 proc. trib.., in quanto imprescindibilmente collegata alla natura fiscale del rapporto e rilevando che, nella specie, la questione controversa non atteneva all’atto finale impositivo, bensì ai presupposti atti amministrativi, di carattere generale, riguardanti il procedimento di revisione del classamento degli immobili e l’intera attività di microzonizzazione del territorio leccese, nei confronti dei quali le posizioni dei contribuenti erano d’interesse legittimo.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze proponeva appello avverso la decisione del Giudice di primo grado, invocando, tra l’altro, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato, rilevato che l’Associazione dei consumatori aveva impugnato gli atti amministrativi oggetto di contestazione solo dopo la notificazione dell’avviso di accertamento catastale per revisione e classamento della rendita e, dunque, innanzi ad un giudice non più fornito di giurisdizione a norma della L. n. 342 del 2000, art. 74, dichiarava la competenza del giudice tributario.
Il Giudice di seconde cure, infatti, osservava che la disposizione richiamata produce un duplice effetto: quello di rendere efficace, lesivo ed impugnabile il provvedimento e quello di attribuire la giurisdizione sull’atto in via principale e non più incidentale, al giudice tributario in luogo del giudice amministrativo, con la conseguenza che il ricorso di cui all’art. 2, co. 3, proc. trib., proposto a norma dell’art. 74, non risulterebbe più di mera pregiudizialità, ma aggredirebbe direttamente l’atto presupposto, ossia quello generale di pianificazione in tema di attribuzione o modificazione delle rendite catastali per terreni e fabbricati, senza attendere la mediazione dell’atto impositivo.
Le Associazioni dei Consumatori proponevano, dunque, ricorso per Cassazione, eccependo la giurisdizione del giudice amministrativo ed osservando, all’uopo, che l’art. 2, comma 3, proc. trib. consentirebbe una delibazione meramente incidentale da parte del giudice tributario di atti amministrativi generali, ovverosia di atti costituenti presupposto dell’atto impositivo, senza alcuna possibilità di allargamento del potere del giudice tributario di annullamento di atti generali e cogenti, con conseguente violazione del divieto costituzionale di creazione di giudici speciali.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze resisteva con controricorso e l’intimato Comune di Lecce si difendeva aderendo alle tesi dei ricorrenti.
Preliminarmente, la Suprema Corte rigettava l’eccezione sollevata dai ricorrenti che avevano invocato la nullità del controricorso erariale per vizi formali della sua notificazione effettuata, a mezzo p.e.c., richiamando, in proposito, l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “il principio sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c., alla cui stregua cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, in relazione alle quali – pertanto la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario” (Cass., sez. lav., n. 13857 del 2014; conf., sez. trib., n. 1184 del 2001 e n. 1548 del 2002).
In altri termini, rilevava la Corte che il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di p.e.c. espressamente a tale fine indicato dalla parte nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla p.e.c., tanto più che i ricorrenti, nel caso concreto, non avevano addotto nè alcuno specifico pregiudizio al loro diritto di difesa, nè l’eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con estensione.doc in luogo del formato.pdf, e quello cartaceo depositato in cancelleria.
Nel merito, il Giudice chiariva che, ai fini del riparto della giurisdizione, occorre distinguere tra l’impugnativa di atti generali o a contenuto normativo, che fissano i criteri per la determinazione delle prestazioni pecuniarie, e l’impugnazione di concreti provvedimenti con i quali l’amministrazione determina l’ammontare della prestazione e/o ne impone l’esecuzione, atteso che nel primo caso gli atti costituiscono espressione di potestà discrezionale e incidono su posizioni di interesse legittimo tutelabili dinanzi al giudice amministrativo e posto che, di contro, la giurisdizione tributaria avente ad oggetto sia l’an che il quantum della pretesa tributaria e comprendente anche l’individuazione del soggetto tenuto al versamento dell’imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato, non ricorre allorquando non è in discussione l’obbligazione tributaria e neppure il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario.
In conclusione, la Suprema Corte osservato che, nella fattispecie considerata, doveva ritenersi esclusa dal perimetro della giurisdizione amministrativa solo il segmento del ricorso introduttivo riguardante la contestuale impugnazione dell’avviso di accertamento catastale per revisione del classamento e della rendita, dichiarava la giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso introduttivo ed accoglieva parzialmente il ricorso, rimettendo le parti dinanzi al Consiglio di Stato per la riassunzione del giudizio nei termini di legge.
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