ISSN 2385-1376
Testo massima
La tempestività della notifica si perfeziona, per il notificante, al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, a nulla rilevando che sul timbro apposto sull’atto da notificare manchi la firma dell’ufficiale accettante.
E’ questo il principio che emerge dalla sentenza n.8287 pronunziata in data 04/04/2013 dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, chiamata a pronunziarsi in tema di inammissibilità di un ricorso per presunta tardività eccepita dal controricorrente.
In particolare, veniva contestata la mancanza di sottoscrizione dell’ufficiale giudiziario in calce al timbro di avvenuta notifica.
Ebbene, i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto infondata tale eccezione atteso che la tempestività della notifica può essere desunta dal timbro apposto sull’atto da notificare, recante il numero cronologico e la data, atteso che, solo in caso di specifica contestazione circa la conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta, l’interessato deve farsi carico di esibire ex art.375 cpc, l’idonea certificazione rilasciata dall’ufficiale giudiziario, a nulla rilevando che tale timbro risulti privo della firma dell’ufficiale accettante il quale ha valore fino a specifica contestazione di corrispondenza al vero.
Nel caso de quo risultava dal timbro cronologico, apposto nella prima pagina del ricorso principale, che questo fosse stato consegnato all’ufficiale giudiziario, per la susseguente notifica, l’ultimo giorno utile rispetto alla data di pubblicazione della sentenza, tenendo conto del termine lungo di cui all’art.327 cpc e dell’aggiunta del periodo di sospensione feriale.
La Suprema Corte, dunque, nel confermare l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo il quale gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari (quale appunto l’agente postale) sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo, ha respinto l’eccezione sollevata atteso che la mancanza di sottoscrizione dell’ufficiale ricevente in calce al timbro di avvenuta notifica non vale di per sè a privare la risultanza della correlata sua capacità dimostrativa.
Testo del provvedimento
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P.F. impugnò un avviso di accertamento in rettifica del reddito dichiarato nell’anno d’imposta 1990, eccependo l’illegittimità dell’applicazione retroattiva dei coefficienti previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992.
Il ricorso venne accolto dall’adita commissione tributaria, con sentenza poi confermata in appello.
In particolare la commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza depositata il 25.2.2005, in risposta al gravame proposto dall’amministrazione finanziaria, osservò che, in base alla L. n.413 del 1991, modificativa del comma 4, art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, il potere di determinazione dell’accertamento sintetico poteva essere legittimamente esercitato soltanto per i periodi successivi, “mancando, nella richiamata norma di autorizzazione, ogni delega di operatività retroattiva”.
Il Ministero dell’economia e finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, deducendo un motivo.
L’intimato ha resistito con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi.
La causa, di valore non superiore a Euro 20.000,00, è stata decisa dal collegio, nel senso che segue, nella camera di consiglio del 6.7.2011.
La redazione della sentenza è stata peraltro sospesa con provvedimento del 22.9.2011 a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n.98 del 2011, conv. in L. n.111 del 2011.
In base al cit. D.L. n.98 del 2011, art.39, comma 12, la presentazione, da parte del contribuente, di una regolare domanda di definizione (con pagamento integrale di quanto dovuto) non risulta peraltro essere stata attestata dall’agenzia delle entrata a mezzo della prevista formale comunicazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il controricorrente ha prospettato l’inammissibilità del ricorso per presunta tardività.
L’eccezione è infondata, ostandovi il principio per cui, ai fini della tempestività dell’impugnazione, la notificazione si perfeziona per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. Per cui il termine per l’impugnazione deve ritenersi rispettato se tale consegna avvenga tempestivamente (v. in ultimo C. cost. n.28/04, dopo la essenziale C. cost. n.477/02).
Il principio postula in generale che la parte provi – mediante idonea certificazione dell’ufficiale giudiziario – l’eventuale consegna in data anteriore a quella di effettuazione della notifica, dovendosi altrimenti presumere la coincidenza fra le due date (per tutte Cass. n.12282/04). Ma la prova può essere ricavata anche dal timbro apposto sull’atto da notificare, recante il numero cronologico e la data (v. Cass. n.14294/07; n.15707/05; n.6836/05), atteso che – secondo il prevalente orientamento di questa corte – solo in caso di specifica contestazione circa la conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta, l’interessato deve farsi carico di esibire altresì – ai sensi dell’art.375 cpc – l’idonea certificazione di cui sopra.
Nel caso di specie risulta dal timbro cronologico, apposto nella prima pagina del ricorso principale, che questo fu consegnato all’ufficiale giudiziario, per la susseguente notifica, in data 12 aprile 2006, ultimo giorno utile rispetto alla summenzionata data di pubblicazione della sentenza, tenendo conto del termine lungo di cui all’art.327 cpc (la sentenza non è stata notificata) e dell’aggiunta del periodo di sospensione feriale.
Poichè l’eccezione di inammissibilità del ricorso è stata affidata al solo rilievo circa la mancanza di sottoscrizione dell’ufficiale ricevente in calce al timbro anzidetto, devesi ribadire che una simile mancanza di sottoscrizione non vale di per sè a privare la risultanza della correlata sua capacità dimostrativa.
2. – Invece deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale siccome proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, essendo l’agenzia delle entrate, alla data in cui fu pronunciata la sentenza d’appello (25 febbraio 2005), unica titolare dei poteri giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazioni tributarie, in quanto successore a titolo particolare del Ministero in ordine a tali rapporti a decorrere dalla data di relativa operatività (1 gennaio 2001). Con conseguente assunzione in via esclusiva della gestione del contenzioso e connessa spettanza dell’esercizio delle facoltà processuali in ordine all’impugnazione in sede di legittimità (per tutte, sez. un.3116/06).
La non ancora avvenuta stabilizzazione dell’orientamento giurisprudenziale suddetto all’epoca di proposizione del ricorso giustifica la compensazione delle spese processuali quanto al rapporto istituitosi tra l’impugnante Ministero e il contribuente.
Il ricorso principale va quindi esaminato, nel merito delle critiche svolte, per quanto attiene alla sola ricorrente agenzia delle entrate.
3. – Con l’unico motivo del ricorso detto, l’agenzia deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n.600 del 1973, art.38 e dell’art. 11 preleggi.
Sostiene che l’impugnata sentenza, disattendendo l’appello, contrasta con il consolidato insegnamento di questa corte secondo il quale la rettifica del reddito con metodo sintetico, in base al c.d.redditometro di cui ai decreti ministeriali citati, non determina alcun problema di retroattività, essendo stato in tali termini disciplinato il potere di accertamento, sul quale il momento di elaborazione del redditometro non incide.
Il motivo è fondato.
Questa corte ha ripetutamente affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla rettifica, con metodo sintetico, del reddito complessivo delle persone fisiche, è legittima l’applicazione degli indici e coefficienti presuntivi di reddito (cosiddetto redditometro) stabiliti nel D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992 ai redditi maturati in epoca anteriore alla entrata in vigore degli stessi, attesa la natura esclusivamente procedimentale degli strumenti normativi secondari, la cui emanazione è prevista dal D.P.R. n.600 del 1973, art.38, comma 4, a fini esclusivamente accertativi e probatori.
Sicchè di essi è escluso ogni carattere sostanziale, non contenendo alcuna norma per la determinazione del reddito (v. ex alis Cass. n.15045/00; n.11611/01; n.11607/01; n.6032/02; n.11680/02; n.12731/02).
In sostanza, le modificazioni introdotte con la legge n.413 del 1991 alla disciplina originaria contenuta nell’art.38 cit., invocate dal contribuente per sostenere la natura sostanziale della disciplina che riguarda l’entità del reddito, nulla hanno cambiato sul punto che qui interessa, nel senso che le norme di natura sostanziale continuano a essere contenute, agli specifici fini, nel Tuir, mentre le norme procedimentali, che costituiscono lo strumento normativo attraverso il quale si dispiega l’attività accertatrice, continuano a loro volta a essere contenute nel D.P.R. n.600 del 1973.
L’art.38, prevede la possibilità che l’amministrazione emani decreti ministeriali per disciplinare la valutazione in concreto di beni posseduti dal contribuente nel momento in cui l’ufficio prende in esame la dichiarazione al fine di verificarne l’attendibilità con riferimento alla capacità contributiva.
Sicchè in pratica i decreti ministeriali servono giustappunto ed esclusivamente a fini accertativi e probatori e non possono considerarsi di natura sostanziale, poichè non contengono norme per la determinazione del reddito.
Discende che la natura procedimentale delle dette norme secondarie consente di ritenere legittima la previsione che estende la loro applicabilità a periodi precedenti a quello della loro formulazione.
Non essendovi ragione per modificare tale orientamento, il ricorso principale è da considerare fondato.
Di contro, va disatteso il ricorso incidentale.
Con esso il contribuente svolge due motivi.
Il primo denunzia violazione dell’art.360 cpc, n.5, in relazione alla L. n.212 del 2000, art.7, comma 1, sulla considerazione che la commissione regionale, pur accogliendo una delle tesi da lui sostenuta, non avrebbe rilevato un motivo di inammissibilità dell’appello dell’agenzia delle entrate per non essere stata allegata la prescritta autorizzazione al gravame della direzione regionale delle entrate. Assume che l’esistenza della citata autorizzazione sarebbe stata solo mentovata nell’atto di appello, senza tuttavia allegazione dell’atto il richiamato, con conseguente violazione dell’art. 7, comma 1, dello statuto dei diritti del contribuente.
Il secondo denunzia violazione dell’art.360 cpc n.5, in quanto la sentenza non avrebbe pronunciato in ordine a distinte eccezioni di merito sollevate nel ricorso.
5. – Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato per l’assorbente considerazione che a seguito della soppressione di tutti gli uffici e organi ministeriali ai quali fa riferimento il D.Lgs. n.546 del 1992, art.52, comma 2, non sussistono più condizionamenti al diritto processuale di impugnazione a opera degli uffici periferici delle agenzie fiscali; donde, diversamente da quanto supposto dal motivo, l’istituto dell’autorizzazione preventiva al gravame deve ritenersi, per tali uffici, ormai abrogato (v. sez. un. n.604/2005).
Il secondo motivo è invece inammissibile.
Il ricorrente addebita all’impugnata sentenza di non aver pronunciato su asserite eccezioni di merito inerenti il disconoscimento del concorso del reddito della moglie, la esenzione dall’Ilor, la risultanza del concorso economico dei genitori, la mancanza di abitazione secondaria e l’indispensabilità di un appartamento nel comune di residenza.
Ma – anche a prescindere dall’essere stata la questione consegnata alla categoria logica dell’art.360 cpc, n.5, che presidia il vizio di motivazione sulla questione di fatto, e non l’omessa pronuncia; e anche a prescindere dal non potersi ravvisare un’omissione di pronuncia laddove vi sia stato l’accoglimento di una tesi preliminare comportante l’assorbimento dei profilo aggiuntivi – rimane essenziale il rilievo che gli elementi posti a corredo del motivo di ricorso non risultando dall’impugnata sentenza. E il ricorrente, violando l’art.366 cpc, n.3, ha omesso qualunque indicazione al riguardo, onde consentire alla corte di appurare se, dove e quando simili elementi siano stati prospettati al giudice di merito. Donde in definitiva il ricorso incidentale non soddisfa il fine di autosufficienza richiesto dalla norma da ultimo citata.
6. – In conclusione, quindi, il ricorso principale va accolto e il ricorso incidentale rigettato. L’impugnata sentenza va conseguentemente cassata e la causa decisa nel merito ai sensi dell’art.384 cpc, comma 2.-
Invero la determinazione del reddito effettuata sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il c.d. redditometro, dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi; e legittima in tal senso gli accertamenti fondati sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella piena condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei precisi fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (v. per tutte Cass. n.19402/05).
In applicazione del citato principio, la causa può essere decisa nel merito perchè, in difetto di prospettazioni coerenti col criterio di ripartizione dell’onere della prova, non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto.
7. – Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono per intero la soccombenza del contribuente.
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