In applicazione dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, non è necessaria la presenza della firma digitale del cancelliere sulla copia del provvedimento comunicato via PEC alle parti.
Questo il principio ripreso dalla Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. De Chiara – Rel. San Giorgio, con l’ordinanza n. 93 del 07.01.2020.
La vicenda nasce dall’ordinanza con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda proposta da un cittadino straniero tesa ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. L’ordinanza di rigetto veniva comunicata dalla cancelleria a mezzo pec.
Avverso la suddetta ordinanza veniva proposto appello da parte dell’originario ricorrente, che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello per tardività, in quanto proposto oltre i trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.
Pertanto, aveva proposto ricorso in Cassazione, deducendo la nullità dell’ordinanza in quanto la stessa era priva della firma digitale del cancelliere e di conseguenza l’appello era proponibile entro il termine di sei mesi ai sensi dell’art. 327 c.p.c. non essendo applicabile il termine breve di trenta giorni.
La Corte di Cassazione ha ritenuto valida l’ordinanza comunicata a mezzo pec dalla Cancelleria priva della firma digitale del cancelliere, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre appello. In tal senso, è stato richiamato il principio affermato con la sentenza n. 26479/2017 secondo la quale “ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, nel testo “ratione temporis” vigente, le copie informatiche del fascicolo digitale equivalgono all’originale, anche se prive della firma del cancelliere, ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, nel testo “ratione temporis” vigente, disposizione applicabile a tutti gli atti digitalizzati, come si desume dal tenore letterale della norma, riferito all’intero contenuto del fascicolo informatico”.
Gli Ermellini hanno quindi rigettato il ricorso.
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