ISSN 2385-1376
Testo massima
Poiché la relata di notifica costituisce un atto pubblico, in quanto proviene da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, le attestazioni di essa, inerenti alle attività che l’ufficiale giudiziario certifica di avere eseguito, le dichiarazioni da lui ricevute ed i fatti avvenuti in sua presenza, risultanti dall’atto da lui compilato, con le richieste modalità, nel luogo in cui è formato e che trovano riscontro nella relazione prevista dall’art. 148 c.p.c., sono assistite da fede pubblica privilegiata, ex art. 2700 c.c., per contrastare la quale l’unico strumento è la querela di falso, anche se l’immutazione del vero non sia ascrivibile a dolo, ma soltanto ad imperizia, leggerezza o a negligenza dell’ufficiale giudiziario.
Ne consegue che, in difetto della proposizione della querela di falso, non risultano più contestabili, in quanto assistite da tale fede privilegiata, le attestazione svolte dall’ufficiale giudiziario nell’esercizio della sua attività.
La relazione dell’ufficiale giudiziario notificante non fornisce invece la prova della veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese dal destinatario e consegnatario dell’atto notificato, che fanno fede fino a prova contraria.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Pres. Lamorgese Rel. Doronzo, con la sentenza n. 9793, depositata il 13.05.2015.
Con il provvedimento in commento, i Giudici di Palazzo Cavour si sono nuovamente pronunciati sul tema della efficacia probatoria delle attività compiute dall’Ufficiale Giudiziario nell’ambito del processo notificatorio di un atto, analizzando gli strumenti concessi al destinatario dello stesso per contestarne efficacemente la validità. Questione, invero, di fondamentale importanza, specie quando sia contestata la validità della notifica di un atto di citazione in giudizio o di un ricorso introduttivo del processo, atteso che essa si riverbera sulla stessa validità del contraddittorio, comportando la possibilità del ritorno del procedimento in primo grado, allorché la nullità venga fatta valere come specifico motivo di impugnazione di una sentenza sfavorevole per chi ha eccepito il vizio di notifica (cfr. art. 354 c.p.c.).
Orbene, la Suprema Corte, prendendo spunto da un caso in cui la notifica di una sentenza di appello era stata effettuata ad un soggetto che, ancorché “incaricato ivi addetto alla ricezione degli atti“, non aveva alcun legame con l’avvocato domiciliatario, al quale era stata destinata la sentenza, svolgendo attività di portiere in altro stabile rispetto a quello dell’effettivo domicilio dell’avvocato, ha fissato ulteriori “paletti interpretativi“, identificando chiaramente le modalità di contestazione riservate al destinatario per evitare il perfezionarsi del processo notificatorio.
Costituendo la relata di notifica un atto pubblico, in quanto proveniente da un Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, la Cassazione ha ribadito, alla luce del disposto dell’art. 2700 c.c., che le attestazioni in essa contenute, inerenti alla attività che l’Ufficiale Giudiziario certifica di aver eseguito, oltre che alle dichiarazioni da lui ricevute (limitatamente al loro contenuto estrinseco ed indipendentemente dalla loro veridicità sostanziale), sono assistite da fede pubblica privilegiata (cfr. Cass. n. 5305 del 01.06.1999 e Cass. n. 7763 del 20.07.1999, secondo cui l’Ufficiale Giudiziario, eseguendo la notifica ex art. 139 c.p.c. mediante la consegna dell’atto a familiare convivente, deve indicare le generalità del consegnatario e dare atto delle dichiarazioni del medesimo in ordine al rapporto di convivenza, ma non è tenuto a fare ricerche in ordine alla sua effettività), con la conseguenza che l’unico strumento per contrastare la relazione è la querela di falso, anche se la immutazione del vero non sia ascrivibile a dolo, ma soltanto ad imperizia, leggerezza o negligenza dell’Ufficiale Giudiziario stesso (in tal senso anche Cass. n. 8032 del 27.04.2004).
Occorre, pertanto, distinguere tra i casi in cui una determinata attività sia coperta da fede privilegiata (per contrastare la quale occorre la querela di falso), e quando invece essa possa essere contestata con il più semplice strumento della c.d. prova contraria.
Alla luce della pronuncia in rassegna e di altre adottate dagli Ermellini in ordine alla specifica problematica, potrebbe essere elaborato il seguente schema sintetico.
La certificazione dell’avvenuto svolgimento di ricerche anagrafiche, indicate nella relata, fa fede fino a querela di falso, in mancanza della quale non può essere messo in dubbio che esse siano state effettivamente effettuate con esito negativo, legittimando il ricorso alla notifica ex art. 143 c.p.c. (v. anche la precedente pronuncia della Cassazione n. 8386 del 24.04.2015).
Queste potranno essere svolte, ad esempio, come si legge in molte relate di notifica, con l’accesso dell’Ufficiale Giudiziario negli Uffici Anagrafici del Comune di residenza del destinatario e/o con l’interrogazione delle persone vicine di casa o con altro mezzo utile all’accertamento (ai fini della notifica ex art 143 c.p.c., ovvero ex art. 140 c.p.c.).
La stessa fede privilegiata si ha con riferimento:
1) alla attestazione dell’identità del destinatario che ha ricevuto l’atto, in quanto circostanza frutto della diretta percezione del Pubblico Ufficiale nella sua attività di identificazione del soggetto cui è rivolta la notifica;
2) alle dichiarazioni rese da un soggetto in ordine alla sua qualità di “incaricato ivi addetto alla ricezione degli atti”, a prescindere dalla verità o meno di dette dichiarazioni (v. anche Cass. n. 5220 del 05.03.2014, in tema di notifica effettuata al portiere dello stabile addetto alla ricezione degli atti destinati alle persone ivi residenti);
3) alla sottoscrizione apposta e riscontrabile, sia pure con una sigla accanto al nome (v. anche già citata Cass. 8032/2004);
4) alla sottoscrizione apposta dall’Ufficiale Giudiziario sul timbro contenente le sue generalità, la qualifica, la sede del servizio, la data ed il luogo in cui dette attività sono state compiute.
Al contrario, la relazione di notifica non fornisce la prova della veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese dal destinatario e consegnatario dell’atto notificato, che fanno fede fino a prova contraria.
Trattasi di una presunzione iuris tantum che può essere vinta con una prova contraria, ossia attraverso la prova della loro intrinseca inesattezza, con tutti i mezzi disponibili senza la necessità di proporre querela di falso (in questo senso anche Cass. n. 21817 del 05.12.2012; Cass. n. 2658 del 24.07.2000).
Mette conto di rilevare, a tale riguardo, che la prova contraria deve essere rigorosa e non potrebbe essere affidata, come nel caso della pronuncia in rassegna, alla semplice dichiarazione del c.d. portiere di non aver mai svolto prestazioni a favore del Condominio ove era sito lo studio professionale dell’avvocato destinatario dell’atto, in quanto proveniente da soggetto avente interesse alla invalidazione dell’atto anche al fine di sottrarsi ad eventuali sue responsabilità. È invece necessario dimostrare l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro con compiti di portierato a favore di altro soggetto accompagnato dalla prova che il medesimo consegnatario non era addetto nei medesimi locali ad alcun incarico per conto e nell’interesse del destinatario (in questo senso anche Cass. S.U. n. 793 del 19.11.1999; Cass. n. 239 del 10.01.2007).
Gli stessi principi si trovano affermati in altre fattispecie simili, come nel caso esaminato da Cass. n. 18492 del 01.08.2013, in cui chi aveva ricevuto un atto, per conto del destinatario, qualificandosi come “moglie capace e convivente” e sottoscrivendo l’atto pur non rivestendo detta qualità, come dimostrato in giudizio. Ed ancora come nel caso di consegna dell’atto alla figlia dichiaratasi familiare con il destinatario (nella sentenza Cass. 9658/2000), in cui la presunzione di conoscenza dell’atto da parte del destinatario stesso non può dirsi superata dalla certificazione anagrafica che non include la consegnataria nell’elenco delle persone conviventi il nucleo familiare del destinatario stesso, non escludendo la convivenza di fatto, sulla quale si fonda la presunzione di conoscenza dell’atto notificato.
Testo del provvedimento
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