ISSN 2385-1376
Testo massima
Non è causa di nullità della sentenza la mancata astensione del giudice. L’incompatibilità a far parte del collegio giudicante non configura un difetto di capacità del magistrato. Nessuna sanzione processuale ma soltanto disciplinare per lo stesso.
Questo il principio affermato dalla Cassazione penale, sezione seconda, con la sentenza n. 11843 del 12 marzo 2014 in materia di astensione del giudice e nullità della sentenza.
Con la pronuncia in epigrafe il Giudice di legittimità reitera l’affermazione di un principio ormai costante nella propria giurisprudenza, relativo alla capacità del giudice all’espletamento della funzione giurisdizionale e, con specifico riferimento alla pronuncia in commento, a ciò che integra per eccellenza la funzione de qua: la pronuncia di una sentenza definitiva.
Con ricorso per cassazione, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 34 c.p.p. per incompatibilità del giudicante alla trattazione del giudizio direttissimo.
Orbene, sulla questione in discorso si è finanche pronunciato il Giudice di legittimità, a Sezioni Unite, stabilendo il principio confermato dalla sentenza in discorso: l’eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio di nullità (Cass., SS.UU. 23/2000).
Come agevolmente può riscontrarsi, la pronuncia in commento ha compiuto un ulteriore passo in avanti sostenendo, non solo, come già affermato dalle Sezioni Unite, che l’incompatibilità del giudice non è causa di nullità, costituendo soltanto motivo di ricusazione, ma affermando altresì che il mancato esercizio del diritto di ricusazione non osta alla validità della sentenza che, al contrario risulterebbe nulla ex art. 42 c.p.p., unitamente a tutti gli ulteriori atti compiuti, solo ed esclusivamente dopo l’accoglimento della ricusazione.
Da ciò, necessariamente deriva che, come la mancata ricusazione del giudice incompatibile ex art. 34 c.p.p., non cagiona la nullità della sentenza dallo stesso pronunciata, nello stesso ordine di idee si deve ragionare nell’ipotesi in cui sia il giudice stesso a violare il suo obbligo di astensione, comportando la violazione appena citata, non la nullità del provvedimento dallo stesso emanato, quanto piuttosto conseguenze di natura disciplinare.
La Corte di Cassazione pone alla base delle argomentazioni appena esposte un noto principio di teoria generale: la riserva di legge in tema di nullità. A ben vedere, infatti, non vi è alcuna norma di legge che fa discendere dalla mancata ricusazione ovvero astensione, la nullità della sentenza emanata dal giudice che doveva essere ricusato ovvero che doveva astenersi. Le condizioni di capacità del giudice di cui all’art. 178, lett. a), c.p.p., fanno infatti riferimento non all’incompatibilità del giudicante a pronunciarsi sul procedimento incompatibilità, quest’ultima appena citata, derivante dalla posizione soggettiva che quel giudice già ha assunto nello stesso procedimento, bensì dal difetto dei requisiti occorrenti allo svolgimento della funzione giurisdizionale.
In conclusione pertanto, correttamente la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ristabilisce il rapporto tra astensione, ricusazione e nullità della sentenza pronunciata dal giudice oggetto di ricusazione o soggetto di astensione, definendo i limiti in materia e, precisamente, affermando l’impossibilità per il vizio di incompatibilità del giudicante di inficiare la validità della sentenza pronunciata da quest’ultimo.
Testo del provvedimento
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